Casi pratici

I presupposti per la revisione dell'assegno di divorzio

Attribuzione dell'assegno divorzile

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di Giulia Sapi

la QUESTIONE
Quali sono i fatti sopravvenuti allo scioglimento del matrimonio che legittimano la revisione dell'assegno di divorzio? La costituzione di una nuova famiglia da parte dell' ex coniuge o l'acquisizione di beni in eredità può costituire motivo di revisione dell'assegno di divorzio?


Per un'adeguata trattazione della questione è indispensabile muovere dalla ricostruzione sistematica delle norme che disciplinano il procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti del matrimonio, che di quello di revisione costituisce il giudizio presupposto.
La disciplina della corresponsione dell'assegno di divorzio è regolata dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970. Secondo tale previsione, con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell'assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione.
Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.
L'accertamento del diritto all'assegno di divorzio va effettuato verificando innanzitutto l'inadeguatezza dei mezzi (o l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive), raffrontati a un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio. L'assegno che sarebbe necessario per assicurare detto tenore costituisce l'assegno massimo liquidabile.
La liquidazione in concreto dell'assegno, ove sia ritenuto dovuto non essendo il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri soli mezzi detto tenore di vita, va compiuta tenendo conto, sempre a norma dell'art. 5, delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.
Tali elementi funzioneranno normalmente come criteri di riduzione dell'assegno, come sopra stabilito, e potranno anche portare a escluderlo. In particolare, dovrà tenersi conto dei comportamenti che hanno determinato la fine della comunione spirituale e materiale della famiglia, cosicché l'assegno per il coniuge che ne sia responsabile potrà essere ridotto, nonché della durata del matrimonio la quale, quanto più sia protratta, tanto più legittimerà la conservazione all'avente diritto del livello di vita acquisito durante il matrimonio, e quanto meno si sia protratta, tanto più ne legittimerà la riduzione.

Procedimento di revisione
La possibile revisione dell'assegno di divorzio è subordinata alla sussistenza di imprescindibili presupposti disciplinati dall'art. 9 della legge n. 898 del 1970.
In base alla predetta disciplina, qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in Camera di Consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del p.m., può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere al coniuge e ai figli.
Circa la dinamica del procedimento, si può affermare che dal comune richiamo diretto o indiretto alla disciplina dei procedimenti camerali, e sia dalla norma contenuta nella legge n. 898 del 1970, art. 23, che estende "ai giudizi di separazione personale dei coniugi", in quanto compatibili, le regole di cui alla legge 1° dicembre 1970, n. 898, art. 4, emerge un innegabile parallelismo tra i due diversi procedimenti di revisione delle condizioni di separazione e di divorzio.
Tale parallelismo è confermato dalla comunanza del rito camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c.

Presupposti per le revisione dell'assegno
Per giurisprudenza ampiamente consolidata della Corte di Cassazione, nel procedimento di revisione dell'assegno divorzile, il giudice non può procedere a una nuova valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno, ma deve limitarsi a verificare se e in che misura le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio raggiunto, nonché ad adeguare l'importo dell'assegno alla nuova situazione patrimoniale (Cass. 20 giugno 2014, n. 14142).
La revisione dell'assegno in senso più favorevole all'avente diritto, prevista dall'art. 9 sopra citato per il sopravvenire "di giustificati motivi", è uno strumento volto ad assicurare all' ex coniuge, con riferimento all'assegno già liquidato, la permanente disponibilità di quanto necessario, nel tempo, per fruire di un tenore di vita adeguato alla pregressa posizione economico-sociale, tenendo conto dei mutamenti in negativo e in positivo della situazione economica di ciascun coniuge.
La rilevanza dei fatti sopravvenuti va considerata, quindi, con riguardo alla suddetta funzione dell'assegno divorzile e comporta una rinnovata valutazione comparativa della rispettiva situazione economica delle parti (Cass. 13 febbraio 2006, n. 3018). Con la specificazione che il tenore di vita al quale deve farsi riferimento non è solo quello riconducibile ai mezzi economici che i coniugi avevano durante il matrimonio, ma anche alla sopravvenienza di miglioramenti di reddito «che si configurino come ragionevole sviluppo di situazioni e aspettative presenti al momento del divorzio» (Cass. 4 aprile 1997, n. 5720) e siano quindi rapportabili «all'attività all'epoca svolta, e/o al tipo di qualificazione professionale» dell'onerato (Cass. 28 gennaio 2000, n. 958; Cass. 8 gennaio 1996, n. 2273), ovvero, comunque, alla prevedibile evoluzione economica (Cass. 16 novembre 1993, n. 11326) delle attività svolte in costanza di matrimonio.
Ciò non implica che in sede di revisione dell'assegno di divorzio debba essere compiuta una nuova determinazione della misura dell'assegno sulla base di tutti i criteri indicati della legge n. 898 del 1970, art. 5, in quanto il riferimento alla sopravvenienza dei giustificati motivi (contenuto nell'art. 9 della stessa legge) comporta la valorizzazione, unicamente, delle variazioni reddituali intervenute successivamente al divorzio (Cass. 26 novembre 1998, n. 12010) e, quindi, della loro idoneità a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il provvedimento attributivo dell'assegno (o con un precedente provvedimento di modifica), ferme rimanendo tutte le altre valutazioni compiute ai sensi del suddetto art. 5 nella liquidazione dell'assegno. Il giudice di merito non deve fondare la propria decisione in ordine alla misura dell'assegno divorzile su meri apprezzamenti probabilistici. Ma ai fini dell'accertamento della disparità reddituale dei coniugi ai fini della determinazione della misura dell'assegno, il giudice utilizza i parametri moderatori di cui all'art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970.
Da tanto consegue che l' ex coniuge tenuto, in forza della sentenza di divorzio, alla somministrazione periodica dell'assegno divorzile, il quale abbia ricevuto la notifica di atto di precetto con l'intimazione di adempiere l'obbligo risultante dalla predetta sentenza, non può in assenza di revisione, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970, delle disposizioni concernenti la misura dell'assegno di divorzio da corrispondere all' ex coniuge dedurre la sopravvenienza del fatto nuovo, in ipotesi suscettibile di determinare la modifica dell'originaria statuizione contenuta nella sentenza di divorzio, nel giudizio di opposizione a precetto, essendo del pari da escludere che il giudice di questa opposizione debba rimettere la causa al giudice competente ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970 (Cass. 19 marzo 2014, n. 6289).

Efficacia esecutiva dei provvedimenti di modifica dell'assegno di divorzio
Il provvedimento pronunciato dal giudice in sede di revisione ha la forma del decreto e pertanto modificabile e reclamabile, ma pur sempre provvisoriamente esecutivo come autorevolmente ritenuto dalle Sezioni Unite. È stato affermato, infatti, il principio di diritto secondo il quale, in materia di revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere a seguito dello scioglimento e della cessazione degli effetti del matrimonio, a norma della legge 1° dicembre 1970, n. 898, art. 9 e successive modificazioni, il decreto pronunciato dal tribunale è immediatamente esecutivo, in conformità di una regola più generale, desumibile dall'art. 4 della citata legge regolativa della materia e incompatibile con l'art. 741 c.p.c., che subordina l'efficacia esecutiva al decorso del termine utile per la proposizione del reclamo (Cass., Sez. Un., 26 aprile 2013, n. 10064).
L'art. 4 comma 8 della legge n. 898 del 1970, stabilisce che, nel processo di divorzio, si applica ai provvedimenti del Presidente del tribunale e a quelli del giudice istruttore l'art. 189 disp. att. c.p.c., quindi il provvedimento costituisce titolo esecutivo che non viene meno neppure nel caso che il processo si estingua, e conserva la sua efficacia fino a quando non venga sostituito da altro provvedimento del Presidente o del giudice istruttore a seguito di presentazione di un nuovo ricorso.
Nella materia in oggetto, tuttavia, il giudicato è da intendere sempre sottoposto alla clausola rebus sic stantibus , l'efficacia "definitiva", derivante dalla formazione del giudicato, non 62assume rilievo, perché non esclude la sua modificabilità in ragione delle circostanze sopravvenute, che siano state accertate all'esito del giudizio di revisione.
Costituzione di una nuova famiglia da parte degli ex coniugi
Venendo all'esame dei motivi di revisione, mentre ai sensi dell'art. 5, comma 10, della legge n. 898 del 1970 l'obbligo della corresponsione dell'assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze, diversa è l'ipotesi in cui è il coniuge onerato a costituire una nuova famiglia: ci si chiede se questi possa chiedere la revisione o la revoca dell'assegno di divorzio adducendo una situazione di decremento della propria capacità reddituale a causa dei maggiori oneri conseguenti alla costituzione di un nuovo nucleo familiare. Proprio per questo motivo in un caso recentemente affrontato dalla Suprema Corte, il ricorrente chiedeva la diminuzione dell'assegno di divorzio a seguito della nascita di un figlio con la nuova compagna. Nella specie, la Corte ha ritenuto che, ove a sostegno della richiesta di diminuzione dell'assegno di divorzio siano allegati sopravvenuti oneri familiari dell'obbligato, il giudice deve verificare se si determini un effettivo depauperamento delle sue sostanze in vista di una rinnovata valutazione comparativa della situazione delle parti, salvo che la complessiva situazione patrimoniale dell'obbligato sia di tale consistenza da rendere irrilevanti i nuovi oneri.
Se, quindi, la costituzione di una nuova famiglia non rappresenta un automatico presupposto che impone la rideterminazione dell'assegno di mantenimento, è altrettanto errato ritenere che il sistema normativo si basi su una considerazione di non necessarietà della scelta del coniuge obbligato. Al contrario, il diritto alla costituzione della famiglia è un diritto fondamentale anche nel contesto costituzionale e sovranazionale della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo del 1950 (art. 12), e come tale è riconosciuto anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (art. 9), senza che sia possibile considerare il divorzio come limite oltre il quale tale diritto è destinato a degradare al livello di mera scelta individuale non necessaria.
Nello specifico, la circostanza di un nuovo matrimonio e della nascita di un figlio è stata correttamente valutata come giustificativa della modifica dell'entità dell'assegno di mantenimento, in correlazione anche con l'altra circostanza dell'essere l' ex coniuge onerato in via esclusiva del mantenimento del figlio nato dal primo matrimonio (Cass. 19 marzo 2014, n. 6289).

Acquisizione di beni in eredità: effetti sulla revisione dell'assegno
In un caso recentemente affrontato dalla Suprema Corte l'oggetto della controversia verteva sulla richiesta da parte dell' ex coniuge della revoca o riduzione dell'ammontare dell'assegno divorzile per effetto dell'acquisizione di beni in eredità da parte del coniuge beneficiario dell'assegno successivamente allo scioglimento del matrimonio.
A seguito del mancato accoglimento della domanda da parte del giudice di merito, l'istante ricorreva in Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, rilevando che i giudici di merito non avevano valutato gli elementi indicati dalla norma citata e in particolare nessuna motivazione avevano speso circa il tenore di vita condotto dai coniugi in costanza di matrimonio, l'adeguatezza dei mezzi propri dell' ex coniuge a farle mantenere un analogo tenore di vita anche dopo la cessazione degli effetti civili, il raffronto fra i redditi e i cespiti patrimoniali degli ex coniugi, gli ulteriori parametri di valutazione fissati dall'art. 5.
A tale riguardo si lamentava l'omesso esame di fatti decisivi quali la donazione effettuata dalla madre dell' ex coniuge della nuda proprietà di immobili e l'acquisizione della piena proprietà pro quota di tali immobili alla morte della stessa madre, la successiva vendita di alcuni di essi con incasso di una considerevole somma di denaro.
Da tale omessa considerazione derivava, secondo il ricorrente, uno scostamento dai criteri di valutazione prescritti dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970, per l'accertamento del diritto all'assegno divorzile e la sua quantificazione; una considerazione che le dichiarazioni rese dalla ex coniuge nel corso del giudizio e la produzione documentale rendevano necessaria.
La Corte accoglie il ricorso e rinvia la causa al giudice di merito che rivaluterà le risultanze istruttorie alla stregua della giurisprudenza di legittimità secondo cui l'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati a un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto. A tal fine, il tenore di vita precedente deve desumersi dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall'ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali, e, nella determinazione dell'assegno divorzile, i beni acquisiti per successione ereditaria dopo la separazione, ancorché non incidenti sulla valutazione del tenore di vita matrimoniale, perché intervenuta dopo la cessazione della convivenza, possono tuttavia essere presi in considerazione ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge onerato (Cass. ord. n. 11797/2014).
In passato la Suprema Corte aveva affrontato la questione della revisione dell'assegno di divorzio in vicende dai connotati opposti nelle quali l' ex coniuge beneficiario dell'assegno ne richiedeva la modifica sia sotto il profilo del peggioramento della propria situazione economica, ma in particolare, sotto il profilo del miglioramento di quella dell' ex marito, per avere egli ereditato alcuni beni successivamente al divorzio.
In questo caso la giurisprudenza del giudice di legittimità ha chiarito che le aspettative ereditarie sono sino al momento dell'apertura della successione prive, di per sé, di valenza sul tenore di vita matrimoniale e giuridicamente inidonee a fondare affidamenti economici. Con la conseguenza che, mentre le successioni ereditarie che si verifichino in costanza di convivenza coniugale, incidendo sul tenore di vita matrimoniale, concorrono a determinare la quantificazione dell'assegno dovuto dal coniuge onerato, quelle che si verifichino dopo non sono idonee a essere valutate, sotto detto profilo, secondo i principi sopra indicati. (Cass. n. 12687/2007). In altri termini, l'acquisizione di beni per via successoria dopo la cessazione della convivenza non influisce nella valutazione del tenore di vita tenuto dalla famiglia in costanza di matrimonio e, sotto tale profilo, non rileva ai fini della determinazione dell'assegno divorzile.
Ciò, tuttavia, non vuol dire che i beni in questione non debbano essere presi in considerazione ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge che viene gravato dell'assegno divorzile, dovendo tale valutazione essere fatta sulla base dei criteri stabiliti dalla legge n. 898 del 1970, art. 5, in ragione delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.
Pertanto, secondo la Corte, le successioni ereditarie ricevute dopo il divorzio dal soggetto onerato del pagamento di un assegno divorzile, in mancanza di un peggioramento della situazione economica del soggetto beneficiario dell'assegno, non sono idonee a giustificare l'aumento dell'assegno, concorrendo il relativo incremento patrimoniale unicamente nella valutazione della capacità economica dell'obbligato a pagare l'assegno già in atto (Cass. 19 novembre 2010, n. 23506; Cass. 30 maggio 2007, n. 12687).

Possibile revisione dell'assegno corrisposto in un'unica soluzione
Si è posto il problema dell'applicabilità del procedimento di revisione nelle ipotesi in cui l'assegno divorzile sia già stato concordato tra i coniugi in un'unica soluzione nel procedimento di divorzio. A tale proposito si è sostenuto che nessuna circostanza sopravvenuta può valere a modificare le condizioni della pronuncia di divorzio, emessa sul presupposto di un accordo intervenuto fra i due ex coniugi che doveva avere l'effetto di escludere qualsiasi ulteriore obbligo di contribuzione economica dell'uno in favore dell'altro. Secondo la giurisprudenza del giudice di legittimità la corresponsione dell'assegno divorzile in unica soluzione su accordo tra le parti, soggetto a verifica giudiziale, esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge beneficiario, di qualsiasi ulteriore diritto, a contenuto patrimoniale o meno, nei confronti dell'altro coniuge, attesa la cessazione, per effetto del divorzio e della suddetta erogazione una tantum , di qualsiasi rapporto fra gli stessi, con la conseguenza che nessuna ulteriore prestazione può essere richiesta, neppure per il peggioramento delle condizioni economiche dell'assegnatario o, comunque, per la sopravvenienza dei giustificati motivi cui è subordinata l'ammissibilità della domanda di revisione del medesimo assegno periodico (cfr. Cass. civ., Sez. I, 5 gennaio 2001, n. 126, e Sez. lav., 8 marzo 2012, n. 3635).
Ferma restando la giurisprudenza citata, essa non può applicarsi anche all'assegno di mantenimento del figlio che, oltre a non partecipare, anche in ragione della sua minore età, all'accordo per la corresponsione una tantum dell'assegno divorzile, ha un interesse distinto e preminente rispetto a quello dei genitori a vedersi assicurato, sino al raggiungimento della propria indipendenza economica, un contributo al suo mantenimento, da parte di entrambi i genitori, che sia idoneo al soddisfacimento delle proprie esigenze di vita, cosicché la corresponsione dell'assegno divorzile in unica soluzione e anche in vista delle esigenze di mantenimento del minore non pregiudica la possibilità di richiedere, ex art. 9 della legge n. 898/1970, la modifica delle condizioni economiche del divorzio qualora esse per fatti intervenuti successivamente alla sentenza di divorzio, si dimostrino inidonee a soddisfare le esigenze di mantenimento del minore (Cass. 13 giugno 2014, n. 13424).
Possibile revoca dell'assegno e attribuzione dell'assegno originariamente negato
La valutazione delle circostanze sopravvenute nel procedimento di cui all'art. 9 della legge n. 898 del 1970 può condurre alla revoca dell'assegno divorzile.
Nella particolare ipotesi in cui il motivo di revisione si palesi di consistenza tale da condurre alla revoca dell'assegno divorzile, è indispensabile procedere al rigoroso accertamento dell'effettività dei mutamenti sopravvenuti e verificare l'esistenza di un nesso di causalità tra essi e la nuova situazione patrimoniale conseguentemente instauratasi, onde dedurne, con motivato convincimento, che l' ex coniuge titolare dell'emolumento abbia acquisito la disponibilità di mezzi idonei a conservargli un tenore di vita analogo a quello condotto in costanza di matrimonio o che le condizioni economiche del coniuge obbligato si siano a tal punto deteriorate da rendere insostenibile l'onere posto a suo carico.
Pertanto, in sede di revisione, il giudice non può procedere a una nuova e autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se e in che misura le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e ad adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale.
L'art. 9 della legge n. 898 del 1970 che consente la revisione delle condizioni di divorzio relative, tra l'altro, ai rapporti economici per sopravvenienza di giustificati motivi, può essere legittimamente applicata, in difetto di espresse distinzioni, anche all'ipotesi in cui l'assegno divorzile sia stato originariamente negato o non abbia costituito oggetto di richiesta al momento della pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
La giurisprudenza anche recente della Corte di Cassazione precisa che l'assegno divorzile, non richiesto in sede di divorzio, può essere richiesto successivamente, con il procedimento di cui all'art. 9 della legge n. 898/1970: in questo caso il giudice dovrà esaminare i presupposti per il riconoscimento dell'assegno e non già il mutamento di circostanze (Cass., Sez. VI, ord. n. 108/2014).

Considerazioni conclusive
La disamina della casistica dei procedimenti di revisione dell'assegno di divorzio ha fatto emergere la tendenza al superamento della funzione strettamente assistenziale dell'assegno di divorzio quale diritto alla conservazione del tenore di vita esistente al momento del matrimonio, venendo a tradursi nel diritto a mantenere quello che presumibilmente il coniuge si poteva aspettare in costanza di matrimonio: una vera e propria aspettativa di vita. Sul punto si tenga conto, tuttavia, della recente ordinanza del 22 maggio 2013 del Tribunale di Firenze che pare superare tale orientamento. Il Tribunale ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione relativa all'incostituzionalità delle disposizioni in materia di assegno di divorzio così come risultanti dalla costante interpretazione della giurisprudenza, tanto da costituire "diritto vivente". In particolare, secondo il Tribunale, il riconoscimento al coniuge economicamente più debole del diritto a un assegno divorzile funzionale a garantire il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, viola il principio costituzionale di ragionevolezza, non costituisce un arricchimento della funzione assistenziale indicata dalla legge, ma una sua alterazione, che travalica il dato normativo e la stessa intenzione del legislatore. In attesa della pronuncia della Corte Costituzionale si segnalano le recenti disposizioni contenute nell'art. 12 della legge 10 novembre 2014, n. 162 che, nell'ottica di ridurre il contenzioso in materia, valorizzano procedimenti di revisione delle condizione di divorzio in sede negoziale. È previsto che i coniugi possono concludere dinnanzi all'Ufficiale di Stato Civile del comune di residenza di uno di loro o del comune presso cui è iscritto o trascritto l'atto di matrimonio, un accordo di modifica delle condizioni di divorzio. L'Ufficiale di Stato Civile riceve da ciascuna delle parti personalmente, con l'assistenza facoltativa di un avvocato, la dichiarazione di essi contenente le modifiche alle condizioni di divorzio. L'atto contenente l'accordo è compilato e sottoscritto immediatamente dopo il ricevimento della dichiarazione e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di modifica delle condizioni di divorzio.

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Divorzio - Procedimento di revisione dell'assegno di mantenimento - Nuova valutazione da parte del giudice dei presupposti e dell'entità dell'assegno - Esclusione - Limiti valutativi - Verifica sulla misura in cui le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio raggiunto - Adeguamento dell'assegno alla nuova situazione patrimoniale - Caso di specie - Insussistenza di fatti nuovi idonei a giustificare una revisione del regime

Sezione 6

Formule