Società

Aumento del capitale sociale delegato al C.d.A. e compatibilità con la clausola del voto "determinante"

L'ampia autonomia statutaria riconosciuta dall'art. 2388, comma 2, c.c. consente di introdurre nello statuto la clausola che stabilisce che le deliberazioni del c.d.a. siano prese anche diversamente dalla regola della maggioranza assoluta dei presenti e, dunque, anche con il riconoscimento del voto determinante in favore di uno o più membri del c.d.a.

di Giovanni Politelli*

Con il presente contributo viene esaminata l'operazione di aumento del capitale sociale delegato all'organo amministrativo in presenza della clausola statutaria che attribuisce il voto "determinante" a uno o più membri del consiglio di amministrazione.

È noto che l'aumento del capitale sociale delegato è quell'operazione prevista dall' art. 2443 c.c. con la quale l'assemblea dei soci non delibera direttamente l'aumento del capitale sociale, ma attribuisce all'organo amministrativo la delega per aumentare successivamente ed eventualmente il capitale sociale quando occorre, ciò non significa che l'assemblea si spogli dal diritto di deliberare l'aumento del capitale sociale, giacché l'assemblea dei soci può in qualsiasi momento non solo revocare la delega, ma anche procedere direttamente all'aumento del capitale sociale.

Inoltre, la delibera assembleare di delega all'aumento del capitale sociale deve necessariamente indicare i limiti previsti dall'art. 2443, comma 1, c.c. a cui si deve attenere l'organo amministrativo ossia deve determinare l'ammontare dell'aumento del capitale sociale e il termine massimo di cinque anni entro il quale l'organo amministrativo può deliberarlo.

Tali limiti legali consentono di non snaturare la struttura della s.p.a. conservando la netta separazione tra gli organi societari deputati alla funzione deliberativa e quelli alla funzione gestoria e, inoltre, rappresentano di fatto un ulteriore garanzia a che la facoltà di aumentare il capitale sociale non sia delegata in bianco all'organo amministrativo.

Come abbiamo osservato la delega a cui si riferisce il legislatore con l'art. 2443 c.c. non è all'esecuzione materiale dell'aumento del capitale sociale a cui è sempre tenuto l'organo amministrativo, bensì il legislatore con detta norma amplia entro circoscritti limiti normativi la portata della funzione gestoria dell'organo amministrativo, che delegato dall'assemblea dei soci viene incaricato di deliberare in futuro uno o più aumenti del capitale sociale.

La delega all'aumento del capitale sociale può essere introdotta al momento della costituzione della società e per un periodo massimo di cinque anni dall'iscrizione della nuova società nel registro delle imprese o può essere introdotta successivamente con la modifica dello statuto.

Sovente si disserta sulla dicotomia tra la c.d. "delega astratta", quale generica previsione statutaria di attribuzione all'assemblea dei soci del potere di delegare l'aumento del capitale sociale all'organo amministrativo, e la c.d. "delega concreta", quale conferimento specifico e puntuale della delega da parte dell'assemblea dei soci all'organo amministrativo nella quale sono fissati il tipo di aumento (oneroso o gratuito) e i limiti quantitativi e temporali dell'aumento delegato.

Taluni ritengono la prima necessario corollario della seconda, mentre la prassi ha dimostrato che è sufficiente che l'assemblea approvi una sola delibera contenente la delega concreta e proceda alla modifica dello statuto.

L'ampia autonomia statutaria riconosciuta dall'art. 2388, comma 2, c.c. consente di introdurre nello statuto la clausola che stabilisce che le deliberazioni del c.d.a. siano prese anche diversamente dalla regola della maggioranza assoluta dei presenti e, dunque, anche con il riconoscimento del voto determinante in favore di uno o più membri del c.d.a.

Nulla quaestio quando la delega viene attribuita all'organo amministrativo composto da un amministratore unico, in quanto l'esercizio della delega ossia la decisione in ordine all'aumento del capitale sociale viene posta in essere da un unico soggetto, mentre il discorso si complica quando l'organo amministrativo è composto da più membri che formano il c.d.a. e le delibere devono essere adottate sia nel rispetto dei quorum costitutivi e deliberativi e sia nel rispetto di una clausola statutaria che riserva anche a uno o più membri del c.d.a. il voto "determinante" nell'approvazione della delibera.

È da chiarire che per voto determinante si intende in sostanza un potere di veto attribuito a determinati membri del c.d.a. per l'adozione della delibera consiliare.
Precisamente, il Consiglio notarile di Milano (massima n. 195) distingue due diverse fattispecie di voto determinante: il c.d. "voto favorevole determinante" e il c.d. "voto contrario determinante".

La clausola che prevede il c.d. "voto favorevole determinante" non consente l'adozione della delibera consiliare anche se approvata con il voto favorevole della maggioranza del c.d.a. se tra i voti favorevoli non è compreso il voto determinante del membro del c.d.a. a cui lo statuto riserva tale diritto, mentre la clausola del c.d. "voto contrario determinante" non consente in ogni caso l'adozione della delibera se vi è il voto contrario del componente del c.d.a. che ha tale diritto, in quest'ultimo caso è però da precisare che non impedisce che la delibera sia adottata a maggioranza la circostanza che il voto contrario non sia stato affatto manifestato per assenza o astensione del membro del c.d.a.

Affinché non resti indeterminata e, quindi, priva di efficacia la clausola statutaria attributiva del c.d. "voto favorevole o contrario determinante" essa deve indicare anche i requisiti oggettivi di cui devono essere in possesso i destinatari di tale diritto, come ad esempio rivestire la carica di presidente del c.d.a. o di amministratore delegato o di membro del c.d.a. designato dai soci titolari di una categoria speciale di azioni, ecc., ma non è escluso che il voto favorevole determinante sia attribuito a tutti i soci, in tal caso si tradurrebbe in quorum deliberativo per unanimità e l'assenza o l'astensione anche di un membro impedirebbe l'approvazione della delibera consiliare.

Proprio su tale punto la citata massima n. 195 del Consiglio notarile di Milano apre al principio unanimistico per l'adozione delle delibere consiliari principio sempre osteggiato per l'approvazione delle delibere assembleari per evitare una non remota eventualità di stallo decisionale.

È da osservare che la citata massima notarile tace sul punto se il voto determinante possa essere attribuito ad personam esulando dai requisiti oggettivi.
Sicuramente per le caratteristiche proprie della s.p.a. il voto determinante non può essere attribuito a una data persona senza che il profilo corrisponda a determinati requisiti oggettivi. Discorso invece aperto per la s.r.l. società caratterizzata da una minore rigidità e da un maggiore carattere personalistico che la pone a metà strada tra la s.p.a. e le società di persone, basti pensare che l'art. 2468, comma 3, c.c. consente l'attribuzione statutaria a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società.

Lo statuto può riservare il voto determinante a tutti gli argomenti o anche solo a specifici argomenti di particolare interesse per la società, tra i quali sicuramente possono essere ricomprese le delibere riguardanti l'aumento del capitale sociale delegato all'organo amministrativo.

Il dubbio sulla liceità della concentrazione di un vero e proprio potere di veto nelle mani di uno o più determinati amministratori non sembra che possa essere sollevato se si prende in considerazione il fatto che il potere di deliberare l'aumento precedentemente delegato viene attribuito a un solo soggetto nel caso in cui la società non sia amministrata da un c.d.a., ma da un amministratore unico.
Ma è anche vero che sono legittime le critiche che possono essere sollevate nei confronti della clausola del voto determinante, giacché con detto diritto uno o più membri del c.d.a. possono rappresentare l'ago della bilancia nell'adozione delle delibere consiliari e, in particolare per il tema in questione, incidere sull'adozione delle delibere riguardanti l'aumento del capitale sociale delegato.

Difatti, il modello di governance plurisoggettivo retto spesso dal proposito di rappresentare la varietà degli interessi sociali rischia di essere mortificato da un uso distorto del voto determinante da parte di uno o più amministratori o addirittura potrebbe portare allo stallo nella gestione della società o all'ostruzionismo per interessi personali.

Certamente non è da tacere che è sempre presente il rischio di uno svilimento del principio maggioritario, che caratterizza le società, quando il voto determinante viene riservato a un amministratore che rappresenta gli interessi dei soci di minoranza.

In conclusione, in linea di principio la clausola attributiva del voto determinante a uno o più membri del c.d.a. è compatibile con l'operazione di aumento delegato del capitale sociale e le criticità che possono emergere nell'applicazione pratica non sono diverse di quelle sollevabili quando la società è amministrata da un amministratore unico.

Naturalmente, l'esaustività della clausola del voto determinante, con la previsione dei requisiti oggettivi che deve possedere il destinatario di tale potere di veto e l'indicazione degli argomenti sui quali esprimere il voto determinante, non è bastevole perché la clausola prima di essere introdotta nello statuto deve essere attentamente ponderata in considerazione dei diversi interessi sociali in gioco al fine di evitare che per via indiretta vi sia una forte influenza nella gestione dell'intera società.

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*A cura dell'Avv. Giovanni Politelli, il contributo è tratto da Sistema Società, Rivista on line di Plusplus24Diritto - Ed. 1 settembre 2021

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