Avvocati, il frazionamento abusivo del credito va provato dal cliente
Per la Cassazione (sentenza n. 30761), serve un accertamento in concreto: esigibilità, durata del rapporto e molteplicità delle domande non bastano a dichiarare l’abuso
Nel contenzioso tra avvocato e cliente per il recupero delle parcelle, non basta richiamarsi alla lunga durata del rapporto professionale, alla numerosità delle azioni intraprese o alla loro contemporanea esigibilità per dichiarare in modo automatico e apodittico l’abusivo frazionamento del credito. È necessario, invece, un accertamento in concreto che verifichi l’identità dei fatti costitutivi, la possibilità di un unico giudicato e l’eventuale interesse effettivo del creditore alla proposizione separata delle domande. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 30761 depositata oggi, accogliendo il ricorso di un avvocato nei confronti di una coppia.
I clienti, nel costituirsi davanti alla Corte di appello di Bologna (a seguito della dichiarazione di incompetenza del Tribunale di Forlì), eccepivano l’abusivo frazionamento, considerata la pendenza di altri undici procedimenti. Il Giudice di secondo grado, non ravvisando alcun interesse del creditore ad agire separatamente, dichiarò improponibile la domanda.
Nel ricorso in Cassazione, l’avvocato, tra l’altro, ha eccepito il difetto di motivazione dal momento che l’ordinanza impugnata si era limitata a dare atto della pendenza (nel 2020) di 12 distinti procedimenti. L’ordinanza della Suprema corte ricorda che, in tema di frazionamento, le S.U. (sentenza n. 7299/2025) hanno affermato che “i diritti di credito che, oltre a fare capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche in proiezione iscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato oppure fondati sul medesimo o su analoghi fatti costitutivi il cui accertamento separato si traduca in un inutile e ingiustificato dispendio dell’attività processuale, non possono essere azionati in separati giudizi, a meno che non si accerti la titolarità, in capo al creditore, di un apprezzabile interesse alla tutela processuale frazionata, in mancanza del quale la domanda abusivamente frazionata deve essere dichiarata improponibile, impregiudicato il diritto alla sua riproposizione unitaria”. Inoltre, “qualora non sia possibile l’introduzione di un giudizio unitario sulla pretesa arbitrariamente frazionata, per l’intervenuta formazione del giudicato sulla frazione di domanda separatamente proposta, il giudice è tenuto a decidere nel merito sulla domanda anche se arbitrariamente frazionata […]”.
Applicando questi principi, per la Suprema corte l’ordinanza impugnata non poteva fondare il riconoscimento dell’abusivo frazionamento “sulla base della sola esistenza di un rapporto di durata tra professionista e clienti, al quale i vari crediti, pur fondati su distinti titoli costitutivi, fossero riconducibili, e sulla contemporanea esigibilità dei crediti nel 2020, senza accertare che quei crediti fossero inscrivibili nell’ambito oggettivo di uno stesso giudicato, o fondati sul medesimo o su analoghi fatti costitutivi il cui accertamento separato si sarebbe tradotto in un inutile ed ingiustificato dispendio dell’attività processuale”. E senza nemmeno fare una “concreta valutazione dell’oggettivo interesse del creditore ad una tutela giudiziale separata sulla base delle caratteristiche specifiche delle singole cause patrocinate dallo stesso professionista e della diversità delle prove disponibili, che eventualmente consentisse solo per alcune di esse, e non per altre, una rapida definizione”. Né, continua il ragionamento, la decisione aveva “minimamente” considerato “l’appesantimento istruttorio, ai limiti dell’ingestibilità, che sarebbe potuto derivare dall’unificazione di tutti i giudizi in un’unica causa”.
Se è vero, infatti, che trattandosi di un accertamento di fatto la materia è pacificamente riservata al giudice di merito, “è anche vero che tale valutazione dev’essere sorretta da una motivazione riferita alla fattispecie concreta esaminata, e non dev’essere espressa in termini meramente assertivi ed astratti”.
Mentre, con “valutazione apodittica ed astratta”, la sentenza impugnata non ha considerato che a seguito della declaratoria d’incompetenza del Tribunale di Forlì (in due casi a favore della Corte d’Appello di Ancona, in un caso del Tribunale di Roma, e nei restanti nove della Corte d’Appello di Bologna), “la stessa individuazione di diversi giudici competenti precludeva la trattazione congiunta delle dodici cause”.

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