Civile

Una tantum sui fondi immobiliari, i criteri per superare la presunzione sulle quote familiari

Le Sezioni unite, sentenza n. 30657 depositata oggi, hanno accolto il ricorso del Fisco e chiarito i tre requisiti per poter definire la quota autonoma

di Francesco Machina Grifeo

Per superare l’obbligo di versare l’imposta sostitutiva del 5% - dovuta una tantum nel 2011 dai partecipanti ai fondi immobiliari che al 31 dicembre 2010 detenevano una quota superiore al 5% - la presunzione di legge secondo cui le quote dei familiari si sommano può essere vinta solo dimostrando l’autonomia della propria quota. E può farlo provando: l’origine dei soldi investiti, l’incasso dei guadagni e le scelte d’investimento proprie. Lo hanno chiarito le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 30657 depositata oggi, accogliendo il ricorso del Fisco.

Il caso era quello di un padre e di un figlio che avevano chiesto il rimborso dell’imposta corrisposta ai sensi dell’art. 32, co. 4-bis, d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito con modificazioni nella l. 30 luglio 2010, n. 122), in conseguenza della detenzione, al 31 dicembre 2010, di partecipazioni qualificate in fondi comuni di investimento immobiliare. Secondo le Entrate i ricorrenti detenevano complessivamente una partecipazione superiore al 5% nei due fondi di investimento immobiliare, sicché erano tenuti al versamento dell’imposta sostitutiva. Prima la Ctp e poi la Ctr hanno invece parzialmente accolto l’impugnazione sull’assunto che i ricorrenti non facevano parte di un unico nucleo familiare avendo residenze diverse.

Proposto ricorso, la Sezione tributaria ha rimesso la causa alle Sezioni Unite, ravvisando un contrasto. Per i giudici va innanzitutto esclusa la rilevanza “del dato costituito dalla convivenza, dalla residenza o dall’appartenenza al medesimo stato di famiglia”. Si tratta infatti di una “circostanza di fatto priva di rilievo o, al più, di incidenza meramente neutra posto che non fornisce alcun elemento concreto idoneo a dimostrare (o meno) l’effettività e l’autonomia delle singole partecipazioni”.

La Cassazione afferma poi che la verifica dell’eventuale carattere fittizio della intestazione va articolata “su una pluralità di indici, tali da rivelare che la partecipazione alla singola quota risponde ai caratteri dell’effettività e dell’autonomia”. I parametri da considerare sono: a) la provenienza effettiva delle risorse; b) il godimento di guadagni e benefici; c) a chi siano riferibili gli atti di effettiva gestione dell’investimento. La convergenza dei tre indici “appare suscettibile di far ritenere che il singolo investimento sia effettivo e autonomo rispetto a quelli degli altri quotisti”, costituendo una prova idonea a superare la presunzione di fittizietà.

La Corte ricorda poi che il regime transitorio (art. 32, co. 4-bis, d.l. n. 78/2010) ha previsto l’introduzione di una imposta sostitutiva del 5% del valore medio della quota posseduta per gli investitori non istituzionali (con cumulo delle quote) in luogo del più favorevole regime (art. 7 d.l. n. 351/2001) della ritenuta del 20% limitata ai proventi dei fondi in sede di distribuzione. Si è poi chiesta se tale norma contrasti con i principi costituzionali o della CEDU o, ancora, sia incompatibile con il diritto eurounionale, e ha risposto negativamente.

La norma transitoria, spiega la decisione, non mirava a “fare cassa”, ma a rafforzare la funzione originaria dei fondi immobiliari come strumento di raccolta del risparmio diffuso, correggendo usi anomali e accompagnando il passaggio al nuovo regime. Banca d’Italia e Notariato, del resto, avevano segnalato da anni abusi dei fondi familiari, perciò non esisteva un affidamento tutelabile su un regime più favorevole.

La Cassazione ha dunque affermato il seguente principio di diritto: «In tema di fondi comuni di investimento immobiliare, l’art. 32, comma 3-bis, quinto periodo, Dl n. 78 del 2010, ha una finalità antielusiva ed integra una presunzione legale relativa, la cui prova contraria incombe su colui che ne contesta l’applicazione. A tal fine, la parte ha l’onere di provare l’effettività e l’autonomia della propria quota di partecipazione al fondo rispetto a quelle degli altri familiari, dimostrando l’originarietà delle fonti di investimento, il godimento dei guadagni e dei benefici derivanti dal fondo, nonché l’autonomia delle scelte sull’an e sul quomodo dell’investimento». È stato così accolto il ricorso delle Entrate.

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