Civile

Scatta l’interdizione in caso di infermità mentale abituale

E’ stato precisato, inoltre, che anche in presenza di patologie particolarmente gravi deve accordarsi preferenza allo strumento dell’amministrazione di sostegno se è sufficiente a soddisfare le esigenze del caso concreto

di Domenico Maffei

Osserva in punto di diritto il Tribunale di Nola (sezione II, sentenza 5 novembre 2025 n. 2965) come, nel procedimento di interdizione, occorra verificare che il soggetto sia affetto da un’infermità mentale che abbia i caratteri dell’abitualità (stato di malattia duraturo anche se non necessariamente irreversibile) e che comprometta la sfera intellettiva e volitiva della persona in modo da renderla del tutto incapace di provvedere ai propri interessi. L’articolo 414 del codice civile, come sostituito dall’articolo 4, II, della legge n. 6/2004, richiede due condizioni per la dichiarazione di interdizione del maggiore di età o minore emancipato, che segnano il discrimine di tale forme di protezione dei soggetti incapaci da altri istituti meno invasivi della loro sfera personale e giuridica, quali l’inabilitazione e l’amministrazione di sostegno.

Infermità abituale

È richiesta, in primo luogo, una “condizione di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi”, ovverosia una particolare gravità della patologia che, diversamente dallo stato di limitata capacità dell’inabilitato, escluda totalmente la loro idoneità cognitiva e volitiva anche rispetto agli atti di ordinaria amministrazione. Occorre, poi, che lo status di interdetto sia “necessario per assicurare la loro adeguata protezione”, il che vale a dire che la misura, stante la gravità dei suoi effetti, ha carattere residuale ed è riservata a quelle ipotesi in cui la meno invasiva amministrazione di sostegno non sarebbe in grado di assicurare un’efficacia tutela dell’incapace.

Le patologie gravi

In altre parole, anche in presenza di patologie particolarmente gravi deve accordarsi preferenza allo strumento dell’amministrazione di sostegno ove, in ragione della specificità della singola fattispecie, esso sia sufficiente a soddisfare le esigenze del caso concreto. In particolare, ad ipotesi in cui non risulti necessaria una limitazione generale della capacità del soggetto, poiché la protezione dell’incapace richiede un’attività minima ed estremamente semplice, tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto, vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere (attinenti, ad esempio, alla gestione ordinaria del reddito da pensione) e per l’attitudine del soggetto protetto a non porre in discussione i risultati dell’attività di sostegno nei suoi confronti e vuoi per un sereno e pacifico contesto familiare, corrisponderà l’amministrazione di sostegno, da preferire alle più invasive misure dell’inabilitazione e della interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, non solo sul piano pratico, in considerazione dei costi meno elevati e delle procedure più snelle, ma altresì su quello etico-sociale, per il maggior rispetto della dignità dell’individuo.

Per converso, ove si tratti di gestire un’attività di una certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni, ovvero nei casi in cui appaia necessario impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sé, eventualmente anche in considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione che porti detto soggetto ad avere contatti con l’esterno, ovvero in ogni altra ipotesi in cui il Giudice ritenga lo strumento di tutela apprestato dalla interdizione l’unico idoneo ad assicurare quella adeguata protezione degli interessi della persona che la legge richiede, è quest’ultimo, e non già l’amministrazione di sostegno, l’istituto che deve trovare applicazione.

Al giudice la scelta

In definitiva, anche rispetto al soggetto totalmente incapace di provvedere ai propri interessi il legislatore affida al giudice il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità.

Solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle ben più invasive misure dell’inabilitazione o dell’interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità.

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