Avvocati: responsabilità deontologica anche via WhatsApp
Il CNF chiarisce che la responsabilità deontologica può provarsi anche mediante i messaggi WhatsApp
«La responsabilità disciplinare dell’incolpato ben può essere provata anche tramite i messaggi scambiati su WhatsApp, che hanno valore probatorio anche nel caso in cui vengano contestati dalla parte nei confronti della quale sono prodotti, alla luce del principio del libero convincimento del giudice, che ha ampio potere discrezionale nel valutare la conferenza e la rilevanza delle prove acquisite». È quanto ha chiarito il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 140/2025 pubblicata il 5 novembre sul sito del Codice deontologico, decidendo il ricorso di un’avvocata sanzionata con la sospensione dall’esercizio della professione per quattro mesi.
La vicenda
La legale, a seguito di esposto da parte di un ex assistito, veniva sottoposta a procedimento disciplinare dinanzi al CDD di Catanzaro per inadempimento del mandato.
L’incolpata contestava l’esistenza di un incarico professionale che, tuttavia emergeva dalle comunicazioni WhatsApp col cliente, allegate all’esposto, e che il Consiglio di Disciplina riteneva sufficienti per confermare il capo di incolpazione e la responsabilità della professionista, comminando la sanzione sopraindicata.
Avverso il provvedimento del CDD l’incolpata proponeva ricorso al CNF lamentando, tra l’altro, l’inutilizzabilità delle conversazioni a mezzo WhatsApp e l’eccessività della sanzione irrogata.
La decisione
Il CNF rigetta il ricorso su tutta la linea.
Contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, conferma infatti il Consiglio, «i messaggi scambiati su WhatsApp costituiscono una forma di prova legale e possono essere presentati come tale in un processo giudiziario in quanto assumono un valore probatorio anche nel caso in cui vengono contestate dalla parte nei confronti della quale vengono prodotti (cfr. Cass., Sez. Unite, n. 11197/2023; CNF n. 139/2023)».
La censura relativa al materiale probatorio acquisito, quindi, non coglie nel segno atteso che, «in base a costante e uniforme giurisprudenza, in sede disciplinare opera il principio del libero convincimento del giudice che ha ampio potere discrezionale nel valutare la conferenza e la rilevanza delle prove acquisite, con la conseguenza che la decisione assunta sulla scorta delle testimonianze e agli atti acquisiti in conseguenza degli esposti deve ritenersi legittima quando risulti coerente con le risultanze documentali».
Nulla di fatto neanche sul fronte dell’entità della sanzione che, dato il grado “particolarmente intenso della colpa”, per il CNF risulta congrua.



