Penale

Bancarotta fraudolenta documentale quando la contabilità finisce nella spazzatura

di Giampaolo Piagnerelli

Bancarotta fraudolenta documentale per l’imprenditore che - per evitare la ricostruzione di operazioni che hanno poi portato al fallimento societario - decida di disfarsi delle carte contabili gettandole nel cassonetti della spazzatura. Questo il principio espresso dalla Cassazione con la sentenza n. 45998/2016. La Corte, nella fattispecie, si è trovata alle prese con un imprenditore che era stato condannato dalla Corte di appello di Perugia per il reato di bancarotta fraudolenta documentale quale amministratore unico di un srl.

Il ricorso dell’imprenditore. Contro la sentenza l’imprenditore ha proposto ricorso per Cassazione evidenziando come non fossero stati considerati i testimoni. Questi ultimi, infatti, avrebbero confermato che i documenti fiscali erano contenuti in scatoloni unitamente ad altro materiale cartaceo di nessuna rilevanza e nel fare un trasloco, tali scatoloni erano stati gettati nei cassonetti dell’immondizia. I Supremi giudici hanno ritenuto il ricorso inammissibile per una serie di ragioni. Prima fra tutte non hanno compreso perché il soggetto, sentito come testimone ed estraneo all’azienda, avesse di propria iniziativa, gettato via quanto il personale della ditta aveva avuto cura di sistemare in scatoloni, senza prima controllarne accuratamente il contenuto e senza consultare l’amministratore o altra persona che potesse autorizzarlo a ciò. Unica risposta possibile è che la “mossa” fosse stata a lungo meditata e, quindi, frutto di un comportamento necessariamente doloso.

Il precedente. A tal proposito va ricordata anche la precedente sentenza n. 9746/2014 secondo cui configura il delitto di bancarotta fraudolenta documentale la condotta di un ex amministratore di società dichiarata fallita che non aveva consegnato la documentazione contabile al curatore per evitare che la stessa fosse utilizzata in suo pregiudizio in un processo penale già in corso, posto che il principio del “nemo tenetur se detegere” comporta la non assoggettabilità ad atti di costrizione tendenti a provocare un’autoincriminazione, ma non anche la possibilità di violare regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva. È del tutto evidente come nell’attuale sentenza i giudici abbiano individuato nel comportamento dell’amministratore una precisa volontà di disfarsi di quelle carte che avrebbero rappresentato la prova evidente della propria responsabilità penale. Inammissibile pertanto il ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 2000 euro in favore della Cassa delle ammende.


Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 2 novembre 2016 n. 45998

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