Classamenti massivi dal Catasto motivati da vere incongruità
È sempre più frequente, in momenti di ristrettezze economiche degli enti locali, ricorrere alle piccole casseforti costituite da immobili già accertati dall’ufficio catastale con rendita definitiva, provvedendo, con operazioni massive che investono una molteplicità di immobili, all’innalzamento delle rendite. Un classico esempio è la revisione che ha interessato il Comune di Napoli, una decina di anni fa, circa 57mila unità immobiiari, cui si riferisce la sentenza della Cassazione in esame e quella attualmente in corso che riguarda il Comune di Venezia e che vorrebbe interessare, indistintamente, tutti gli appartamenti che ospitano strutture turistiche extra-alberghiere.
Benché la normativa catastale consenta la revisione del classamento delle unità immobiliari urbane, alcuni Comuni ricorrono a volte a una scorciatoia procedurale che implica un’applicazione erronea dell’articolo 3, comma 58 della legge 662/96. Questa ultima norma, in effetti, prevede che il Comune possa chiedere all’Ufficio tecnico erariale la classificazione di immobili il cui classamento risulti non aggiornato ovvero palesemente non congruo rispetto a fabbricati similari e aventi medesime caratteristiche.
È evidente lo spirito della norma, qualora correttamente applicata, che impone di provare che esista una sperequazione di rendita rispetto a immobili del tutto simili accertati in epoca coeva. È del tutto pure evidente che le sperequazioni devono concernere un numero limitato di unità immobiliari e non un intero Comune o una particolare tipologia immobiliare.
È questo il concetto che la Corte di cassazione riprende con chiarezza nella sentenza 3107/2019 pronunciata dalla sezione tributaria. La Corte spiega (richiamando la sentenza della Cassazione 2184/15), che la motivazione dell’atto, in conformità all’articolo 3, comma 58 della legge 662/96, non può limitarsi a contenere l’indicazione della consistenza, della categoria e della classe attribuita dall’agenzia del Territorio, bensì deve specificare, a pena di nullità, in base all’articolo 7, comma l della legge 212/2000, a quale presupposto la modifica debba essere associata, se al non aggiornamento del classamento o, invece, alla palese incongruità rispetto a fabbricati similari, e, in questa seconda ipotesi, l’atto impositivo dovrà indicare la specifica individuazione di tali fabbricati, del loro classamento e delle caratteristiche analoghe che li renderebbero similari all’unità immobiliare oggetto di riclassamento, consentendo in tal modo al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa nella successiva fase contenziosa conseguente alla richiesta di verifica dell’effettiva correttezza della riclassificazione.
Ancora, la Corte ha ribadito che ogni elemento idoneo a supportare una motivazione generica debba essere allegato «non in corso di causa, ma ab initio».
La sentenza acquista ancora maggiore valore perché emessa nell’ambito di un ricorso per la revocazione (riconosciuta) della sentenza 988/2015.
Corte di cassazione – Sentenza 3107/2019