Complesso provare il dissenso alla diffusione di video e immagini
La legge sul Codice rosso introduce nel Codice penale due reati che prendono spunto dalle recenti cronache.
Il nuovo articolo 612-ter introduce il delitto di «diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti». Il comma 1 punisce «chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate». L’omissione non assume rilevanza penale: il dolo è generico perché basta che l’autore compia consapevolmente una delle condotte punite. Il comma 2 sanziona «chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento».
È un reato che chiude il cerchio della punibilità di tutte le forme di aggressione alla libertà personale legate alla circolazione di dati sensibili di natura sessuale su internet: è però necessario il dolo specifico, rappresentato dalla volontà di arrecare danno alla persona offesa. L’aggiunta non sembrava necessaria, perchè il danno è di fatto assorbito dalla mancanza di consenso della vittima ed è intrinseco alla condotta incriminata.
Il delitto sembra poter concorrere con quello di ricettazione: questo è infatti caratterizzato dal fine di lucro, che ben può aggiungersi alla volontà di causare nocumento alla persona offesa.
Qualche problema può investire la prova della consapevolezza del dissenso della persona ripresa nel video o nell’immagine alla sua diffusione. Si tratta di un elemento non semplice da dimostrare, soprattutto se la registrazione, e la prima diffusione, avvengono in forma scherzosa proprio da parte della vittima, ad esempio – come di frequente accade tra i più giovani - per la sottovalutazione delle conseguenze legate all’impossibilità di controllare la diffusione dei contenuti sul web. Poteva essere una ragione per estendere a questo reato l’obbligo per il Pm di interrogare la vittima entro tre giorni dalla querela. Tali considerazioni valgono, a maggior ragione, per la prova del dolo specifico di nocumento che caratterizza la fattispecie del comma 2.
Nel nuovo articolo 583-quinquies del Codice penale trova posto il delitto di «deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso»: la condotta è libera, nel senso che la lesione può essere causata con ogni mezzo e modo. Oggi il fatto è punito a titolo di lesioni gravissime, in base all’articolo 583, comma 2, numero 4, che viene soppresso.
La riforma innalza la pena e prevede l’interdizione perpetua, anche in caso di patteggiamento, dagli uffici attinenti tutela, curatela e amministrazione di sostegno. Viene inoltre previsto che il condannato possa ottenere i benefici penitenziari (misure alternative alla detenzione, permessi premio e lavoro fuori dal carcere) solo dopo avere partecipato positivamente a un periodo collegiale di osservazione in carcere di almeno un anno.