Comunitario e Internazionale

Consob, facoltà di non rispondere nel procedimento

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di Marina Castellaneta

Il diritto al silenzio nei procedimenti amministrativi, che possono sfociare in una sanzione sostanzialmente penale, deve essere garantito. Di conseguenza, è contraria alla Carta dei diritti fondamentali Ue la previsione di sanzioni sostanzialmente penali nei casi in cui una persona sottoposta a un procedimento Consob si avvalga della facoltà di non rispondere. È questa la posizione dell’avvocato generale della Corte Ue, Pikamäe, nelle conclusioni depositate il 27 ottobre (C-481/19) che aprono la strada a cambiamenti nel quadro sanzionatorio, fissato dall’articolo 187 del Testo unico sull’intermediazione finanziaria, nei casi di mancata cooperazione con le autorità di vigilanza.

La questione pregiudiziale è stata sollevata dalla Corte costituzionale italiana che ha chiesto agli eurogiudici, con l’ordinanza 117/2019 se, per le regole Ue, coloro che siano sospettati di market abuse abbiano diritto di non rispondere o se il diritto al silenzio valga solo nei procedimenti propriamente penali.

Al centro della vicenda, il caso di un amministratore di una società destinatario di una sanzione pecuniaria elevata per non aver risposto alle domande della Consob su alcune operazioni finanziarie sospette.

La Corte di cassazione aveva sollevato la questione di costituzionalità e la Consulta ha chiesto agli eurogiudici di chiarire se le regole fissate nella direttiva 2003/6 e nel regolamento 596/2014 vadano interpretate nel senso che il diritto a non rendere dichiarazioni autoaccusatorie debba essere garantito anche a chi è sottoposto a un procedimento amministrativo che si conclude con sanzioni di natura punitiva.

Prima di tutto, l’avvocato generale ha precisato che gli articoli 47 (equo processo) e 48 (presunzione d’innocenza) della Carta Ue assicurano, implicitamente, il diritto al silenzio. È vero che le norme fissate nella direttiva 2003/6 e, poi, nel regolamento 596/2014, chiedono agli Stati di combattere gli abusi di mercato sanzionando l’utilizzazione illecita di informazioni privilegiate e la mancata collaborazione nelle indagini delle autorità di vigilanza, ma nel rispetto dei diritti fondamentali.

Per Pikamäe, le regole Ue non impongono sanzioni penali o sanzioni amministrative aventi natura penale poiché agli Stati è richiesto unicamente di garantire che le sanzioni siano “efficaci, proporzionate e dissuasive”. Sul diritto al silenzio, l’avvocato generale ha fatto ricorso alla clausola di omogeneità dell’articolo 52 della Carta dei diritti fondamentali in base al quale il significato e la portata dei diritti fissati nella Carta, che corrispondono a quelli della Cedu, devono essere uguali a quelli assicurati da Strasburgo. Di conseguenza, tenendo conto che l’articolo 6 della Convenzione è stato interpretato dalla Corte di Strasburgo nel senso che il diritto al silenzio deve essere assicurato anche nei procedimenti amministrativi che conducono a sanzioni sostanzialmente penali e che le sanzioni adottate in Italia per recepire la direttiva 2003/6 rientrano nel nucleo del diritto penale (sentenza Stevens), le norme Ue si interpretano assicurando il diritto a non autoaccusarsi anche nei procedimenti Consob. Ora spetta alla Corte Ue l’ultima parola.

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