Danno morale, la sofferenza interiore ha un peso autonomo nel risarcimento
La differente valutazione delle conseguenze della lesione del diritto alla salute non fa scattare la duplicazione del risarcimento
L’autonoma valutazione della sofferenza interiore patita a causa della lesione del diritto alla salute, non fa scattare una duplicazione del risarcimento. La Corte di cassazione, con la sentenza 24473, considera legittima la quantificazione al rialzo del pregiudizio morale, se il danno permanente alla salute, sotto l’aspetto della componente dinamico relazione, va oltre i criteri standard stabiliti per il danno biologico dalle tabelle milanesi. I giudici respingono, sul punto, così il ricorso delle parti, considerate responsabili di un incidente sul lavoro che aveva comportato, per un operaio un’invalidità permanente del 65 per cento. Postumi che impedivano alla vittima dell’infortunio, di svolgere le attività quotidiane senza l’aiuto di terze persone. Con conseguenze non solo sulla sfera relazionale ed esistenziale, ma anche sul piano delle sofferenze morali e soggettive.
La Consulta e la riforma del Codice assicurazioni
Un “disagio” non usuale che può avere un peso autonomo, come lesione del diritto alla salute, in linea con quanto stabilito dalla Consulta (sentenza 235/2014), secondo la quale la norma del Codice delle assicurazioni (articolo 139) non è chiusa anche al risarcimento del danno morale. Una lettura confermata anche dalla nuova formulazione dell’articolo 138, lettera e) dello stesso codice, introdotta, con valenza evidentemente interpretativa, dalla legge di stabilità del 2016. Una nuova rubrica sul «danno non patrimoniale» in sostituzione della precedente dedicata al «danno biologico», che insieme al verdetto del giudice delle leggi, consente di distinguere definitivamente, sottolinea la Suprema corte, il danno dimanico relazionale causato dalle lesioni, da quello morale. Criterio che il giudice di merito deve seguire nel valutare «la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale e, cioè, tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (cosiddetto danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sè, della paura, della disperazione), quanto quello dinamico- relazionale (destinato a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto)». Il giudice ha dunque il compito di dare un peso sia alle sofferenze morali, che riguardano dunque il rapporto con sè stesso, quanto quelle di realzione rispetto al rapporto con gli altri.