Comunitario e Internazionale

Danno da prodotto difettoso e nozione “estensiva” di produttore, la CGUE delinea nuovi profili di responsabilità per il fornitore

A parere della Corte deve essere ritenuto responsabile alla stregua del produttore il fornitore che, pur non apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, utilizzi un nome, marchio o segno distintivo che sia in tutto o in parte uguale a quello del produttore stesso

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di Christian Di Mauro*

Con la sentenza del 19 dicembre 2024 (causa C-157/23), la Corte di giustizia dell’Unione europea (“CGUE”) ha fornito un’interpretazione, a nostro avviso eccessivamente estensiva e non in linea con la più recente normativa europea, della nozione di “produttore” di cui all’art. 3, paragrafo 1 della direttiva 85/374/CEE. In particolare, la CGUE ha sostenuto che deve essere ritenuto responsabile alla stregua del produttore il fornitore che, pur non apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, utilizzi un nome, marchio o segno distintivo che sia in tutto o in parte uguale a quello del produttore.

La CGUE, in linea con le conclusioni dell’Avvocato Generale M. Campos Sànchez-Bordona, adotta l’ipotesi interpretativa più ampia della nozione di produttore apparente, indicata dal giudice di rinvio, in tal modo favorendo l’esigenza di tutela dei consumatori, per i quali potrebbe non essere agevole identificare il produttore, a discapito degli interessi dei diversi soggetti che intervengono nel processo di produzione distribuzione dei prodotti.

Il caso

Nel luglio 2001, un consumatore ha acquistato un’autovettura “Alfa” da un concessionario italiano di tale marchio. Il veicolo era stato prodotto da “Alfa” WAG, con sede in Germania, e distribuito in Italia da “Alfa” Italia S.p.A.. Nel gennaio 2004, il consumatore ha intentato un’azione legale contro il concessionario e F. Italia per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa di un presunto difetto del veicolo. “Alfa” Italia ha sostenuto di non essere responsabile perché non aveva prodotto il veicolo. Il caso è giunto al vaglio della Corte di Cassazione, la quale, sollevando dubbi sull’interpretazione dell’espressione “apponendo il proprio nome” nell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva PLD, ha sospeso il procedimento e ha chiesto chiarimenti alla CGUE per stabilire se il fornitore di un prodotto difettoso debba essere considerato una “persona che, apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso”, ai sensi della direttiva, anche se tale fornitore non ha fisicamente apposto il proprio nome sul prodotto, ma il marchio che il produttore ha apposto sul prodotto e che corrisponde al nome di tale produttore è lo stesso elemento distintivo utilizzato dal fornitore.

La sentenza della CGUE

La CGUE ha sottolineato che, per garantire la tutela del consumatore, il concetto di “persona che si presenta come produttore” di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva non può riferirsi esclusivamente a chi ha fisicamente apposto il proprio nome, marchio o altro elemento distintivo sul prodotto. Al contrario, deve includere anche un fornitorequalora quest’ultimo non abbia fisicamente apposto il proprio nome, marchio o altro elemento distintivo sul prodotto, ma il marchio che il produttore ha apposto su tale prodotto sia identico, da un lato, al nome del fornitore o a un suo elemento distintivo e, dall’altro, al nome del produttore”.

Secondo la sentenza della CGUE, non fa differenza se il fornitore ha apposto personalmente il proprio nome, marchio o altro elemento distintivo sul prodotto o se il suo nome contiene la dicitura apposta dal produttore, che corrisponde al nome del produttore. Il fattore decisivo è l’impressione suscitata nei consumatori - dalla somiglianza tra la dicitura in questione e la ragione sociale del fornitore - che la persona sia coinvolta nel processo di produzione o si assuma la responsabilità della qualità del prodotto, infondendo così una fiducia paragonabile a quella che si avrebbe se il prodotto fosse venduto direttamente dal produttore.

Commento

Il ragionamento seguito dalla CGUE non sembra condivisibile anche perché nel caso di specie non sembra ravvisabile l’esigenza di tutela dei consumatori i quali, secondo quanto indicato dalla Corte, non avrebbero facile accesso all’informazione sull’identità del produttore. In realtà, il legislatore europeo ha previsto adeguati presidi idonei a garantire che i consumatori possano agevolmente conoscere l’identità del produttore. In particolare, l’art. 9 del Reg. (UE) 2023/988 relativo alla sicurezza generale dei prodotti, prevede che “I fabbricanti indicano il loro nome, la loro denominazione commerciale registrata o il loro marchio registrato, il loro indirizzo postale ed elettronico e, se diverso, l’indirizzo postale o elettronico del punto unico di contatto al quale possono essere contattati. Tali informazioni sono apposte sul prodotto oppure, ove ciò non sia possibile, sull’imballaggio o in un documento di accompagnamento del prodotto”. Analoga disposizione è prevista per le vendite on-line all’art. 19 del regolamento, il quale prevede che “Se gli operatori economici mettono i prodotti a disposizione sul mercato online o attraverso altri mezzi di vendita a distanza, l’offerta di tali prodotti deve indicare in modo chiaro e visibile almeno le seguenti informazioni: a) nome, denominazione commerciale registrata o marchio registrato del fabbricante, così come l’indirizzo postale ed elettronico al quale può essere contattato”. È dunque evidente che, ai sensi della normativa europea, i consumatori possono agevolmente conoscere l’identità del produttore. Dunque, un’interpretazione estensiva della nozione di produttore apparente, ossia del soggetto che appone il proprio marchio sul prodotto, volta ad estendere la responsabilità del produttore anche al fornitore, non appare necessaria.

Sebbene la decisione della CGUE non sembri esente da critiche e non sia facile allo stato prevedere in che misura i tribunali nazionali seguiranno l’interpretazione del giudice europeo, è possibile attendersi che la stessa avrà un impatto significativo in diversi settori (non solo quello automobilistico) in particolare su società che fanno parte di gruppi multinazionali e che operano quali distributori di prodotti fabbricati da altre società del gruppo in Europa. Infatti, non è raro che le entità locali di gruppi multinazionali dedicate alla distribuzione abbiano una ragione sociale che coincide, in tutto o in parte, con il marchio dei prodotti distribuiti e/o con il nome del relativo produttore. In proposito, si ricorda che i criteri interpretativi espressi dalla CGUE sopravviveranno quasi certamente al nuovo regime introdotto dalla Direttiva (UE) 2024/2853, che contiene all’art. 4 paragrafo 10, lettera b) la medesima definizione di produttore apparente.

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* Christian Di Mauro - Partner, Head of Italy Litigation, Hogan Lovells

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