Amministrativo

Daspo, il reato spia commesso in trasferta deve essere connesso all’evento sportivo

Non qualsiasi condotta penalmente rilevante giustifica l’adozione della misura di prevenzione stabilita dal questore che non è libero di attribuire al fatto rilevanza in assenza di connessione con l’evento sportivo

di Pietro Alessio Palumbo

Non tutto fa Daspo, la lista dei reati ‘trigger’ è tassativa. Questa, in estrema sintesi, l’interpretazione fornita dai giudici amministrativi.
La sentenza del Trga di Bolzano n. 250/2025 segna un confine netto tra prevenzione e automatismo sanzionatorio in ambito di ordine pubblico sportivo: l’elenco dei reati “trigger” resta tassativo. Si parla del Daspo, cioè del divieto di accesso alle manifestazioni sportive. Lo strumento è noto ed è stato potenziato negli anni facendo registrare un impatto concreto sul contrasto a comportamenti violenti negli stadi.

Tuttavia serve un collegamento preciso tra la condotta e l’evento sportivo; e il reato deve essere uno di quelli espressamente previsti dalla normativa. Il principio di legalità resta un baluardo, anche per le misure preventive. Altrimenti si rischia non solo l’annullamento dell’atto ma anche una perdita di fiducia da parte dei cittadini. La prevenzione è un obiettivo legittimo. Ma la legittimità dell’obiettivo non può mai giustificare l’illegittimità dello strumento utilizzato.

Il fatto
Tutto accadeva una sera d’inverno quando, a partita finita, l’area della provincia era tornata tranquilla. I tifosi della squadra ospite si erano rimessi in viaggio. Nella notte lungo l’autostrada un gruppo di ragazzi faceva sosta in un autogrill. Entravano chiassosi come spesso capita dopo ore di adrenalina. Ma nulla di strano. Fino al mattino dopo. Era allora che il gestore si accorgeva che qualcosa non tornava: un furto. Le telecamere mostravano un gruppo di giovani riconducibili alla tifoseria della squadra in trasferta. I volti non erano coperti. Il Questore emetteva di conseguenza un Daspo.

Ebbene, la novità della sentenza risiede in un punto chiaro: non è sufficiente che un soggetto sia stato deferito all’autorità giudiziaria per far scattare automaticamente il Daspo. Occorre, invece, che quel reato sia espressamente previsto dalla legge come idoneo a fondare la misura. E se il comportamento non è violento, né intimidatorio, allora non c’è spazio per un provvedimento di tale impatto. Il Tribunale amministrativo di Bolzano spezza così una prassi spesso disinvolta nell’estendere il Daspo a fattispecie non contemplate. In aderenza al principio di legalità il Tribunale regionale della giustizia amministrativa afferma un principio fondamentale: prevenzione non significa repressione generica, né risposta automatica all’appartenenza a un gruppo ritenuto a rischio. Il Daspo, nella sua essenza, deve intervenire per evitare che soggetti connotati da concreta pericolosità possano creare situazioni di turbativa dell’ordine pubblico in ambito sportivo.
Altro aspetto innovativo è nella valorizzazione della contestualità del fatto rispetto alla manifestazione.

Non basta un nesso cronologico o l’appartenenza a una tifoseria per sostenere che un furto in autogrill sia occasione di una manifestazione sportiva. È un legame non solo temporale, ma causale, che non può essere presunto né generalizzato. La partecipazione a una trasferta non può di per sé trasformare ogni comportamento successivo in una condotta collegata all’evento sportivo. Così facendo il Tribunale amministrativo smonta il meccanismo automatico con cui si voglia gravare con un Daspo chi ha assistito a una partita e, in un secondo momento, sia coinvolto in un illecito comune privo di qualunque violenza. La decisione segna anche un punto di svolta nel rapporto tra diritto penale e misure amministrative di prevenzione. Stabilisce un confine: non tutto ciò che è penalmente rilevante legittima l’adozione di una misura di prevenzione amministrativa.

La sentenza ci ricorda che esiste una scala di gravità, ma anche una distinzione funzionale tra strumenti repressivi e strumenti preventivi. Il Daspo non può diventare un “riflesso condizionato” dell’amministrazione nei confronti del tifoso problematico, né può essere usato come risposta standardizzata a condotte scorrette. Deve fondarsi su un’analisi puntuale, individualizzata, concreta.

Il Tribunale sposa quindi una visione rigorosa, ma equilibrata, secondo cui la prevenzione deve muoversi su un terreno di evidenza e non di suggestione. Ed è proprio questa esigenza di concretezza che restituisce dignità sia al provvedimento amministrativo sia al soggetto che ne è destinatario.

In definitiva la sentenza del giudice amministrativo sudtirolese interrompe una deriva che, in nome della sicurezza, ha reso il Daspo una misura malleabile svincolata dalla specificità delle condotte. Il Collegio di Bolzano fa un passo indietro rispetto a interpretazioni eccessivamente estensive e ricorda che le norme di natura limitativa dei diritti devono essere applicate in modo rigoroso e senza scorciatoie. La giustizia amministrativa, in questa occasione, non si è limitata a verificare la legittimità formale del provvedimento, ma ha rifiutato un’impostazione basata su presunzioni, preconcetti e stereotipi. Ha scelto di riportare la misura all’interno di un perimetro logico, razionale e sostenibile. Ed è proprio in questa scelta di metodo, oltre che di merito, che risiede l’aspetto più innovativo della pronuncia. Ritorno alla legalità, sì, ma distinguendo una necessaria misura di prevenzione da un abuso del potere amministrativo.

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