Decreto di espulsione non tradotto, la conoscenza della lingua può presumersi
Lo ha ribadito la Cassazione, con l’ordinanza n. 28132 depositata oggi
La mancata traduzione nella lingua madre dell’interessato - l’albanese - non invalida il decreto di espulsione dello straniero irregolare se vi sono elementi per presumere che comprenda l’italiano, come nel caso specifico l’aver lavorato tre anni nel Paese. Lo ha ribadito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 28132 depositata oggi, dichiarando inammissibile il ricorso dell’extracomunitario.
Secondo il Giudice di pace, che aveva respinto l’opposizione all’espulsione, la mancata traduzione in albanese “non costituiva una violazione di legge essendo sufficiente che il testo fosse espresso in una lingua conosciuta e ove non possibile in inglese, francese e spagnolo”. E allora “l’indicazione del testo in inglese ed in italiano non risultava incomprensibile posto che l’opponente, dopo alcuni anni di permanenza nel territorio italiano, era in grado di comprendere i tratti salienti del contenuto dell’atto qui impugnato e per le parti in cui non era in grado di comprendere sarebbe venuto in soccorso il testo redatto in lingua inglese”.
Nel ricorso in Cassazione, lo straniero ha continuato a sostenere che la mancata traduzione ledeva il suo diritto di difesa e che era ammissibile solo nel caso in cui non fosse noto il paese di provenienza o la lingua fosse sconosciuta, elementi che certamente non ricorrevano per un cittadino albanese.
Per la Prima sezione civile l’argomento non confuta le ragioni alla base della decisione: “la prova presuntiva della conoscenza lingua italiana – si legge nel testo - può essere desunta da parte del giudice del merito sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti”. E nel caso di specie il Giudice di Pace aveva ritenuto provato che il ricorrente comprendeva la lingua italiana, considerato che era stato in Italia per tre anni, ed era stato titolare di permesso di soggiorno per lavoro autonomo.
Con riguardo poi all’altro motivo di ricorso, la Corte ricorda che l’espulsione prefettizia non è preclusa dalla pendenza di un procedimento penale, e lo strumento chiave è il nulla osta dell’autorità giudiziaria. Nel caso però in cui esso non sia stato formalmente richiesto lo straniero che ricorra contro il decreto di espulsione, e nei cui confronti penda un procedimento penale o che sia parte offesa nel medesimo, non può far valere, quale motivo di invalidità del provvedimento, la mancanza del nulla osta stesso. Egli, infatti, “non ha alcun interesse protetto alla denunzia di tale omissione, essendo detta previsione posta a salvaguardia delle esigenze della giurisdizione penale, mentre l’interesse dell’espulso all’esercizio del diritto di difesa e alla partecipazione al processo penale è tutelato dall’autorizzazione al rientro” contemplata dall’art. 17 del Dlgs n. 286 del 1998.