Civile

Domicilio digitale “non volontariamente eletto”, i dubbi sulla validità della notifica

Con l’introduzione del domicilio digitale si sono aperti nuovi scenari, rispetto ai quali, con opportuni aggiustamenti, possono essere rivisitate alcune vecchie riflessioni

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di Andrea Migliavacca*

Tra le eccezioni sollevate dal contribuente nel contenzioso con gli Uffici finanziari e/o gli Enti previdenziali (ma il discorso potrebbe essere esteso anche agli Enti locali), ancora oggi, compare frequentemente quella sulla invalidità della notifica degli atti cd. presupposti.

Chi abbia avuto modo di confrontarsi con questa problematica è consapevole del fatto che gli atti di accertamento o della riscossione, oltre che tramite gli ufficiali giudiziari od i messi notificatori, possano essere recapitati al contribuente con modalità “semplificata, quella dell’art. 8 L. n. 890/1982, quindi mediante raccomandata con ricevuta di ritorno. Attività un tempo attività affidata esclusivamente alle poste universali, oggi anche alle poste private ove, beninteso, autorizzate dal Ministero dello Sviluppo Economico.

La notifica con modalità semplificata, tuttavia, ha sollevato numerosi dubbi, soprattutto nelle ipotesi di “irreperibilità relativa” (locuzione adoperata per descrivere la temporanea assenza del destinatario) e talvolta anche per quella cd. “assoluta”, quando, cioè il mittente non trova il destinatario, né conosce il suo attuale recapito. Dubbi apparentemente fugati dalla Corte di Cassazione, nella sua più alta composizione (le Sezioni Unite), con la nota sentenza n. 10.012/2021, con cui ha affermato che “… la prova del perfezionamento della procedura notificatoria può essere data dal notificante esclusivamente mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della raccomandata …”.

Il mancato rispetto delle formalità prescritte per l’una o per l’altra ipotesi (irreperibilità relativa o assoluta) determina l’invalidità della notificazione. Allo stesso modo, anche la notifica ad una residenza non più attuale è parimenti invalida, sebbene – in astratto – il mittente istituzionale (uffici finanziari, enti previdenziali, enti locali) abbia seguito (sbagliando) le regole nei confronti di chi sia da considerare irreperibile assoluto. Come è noto, infatti, ove il cittadino abbia tempestivamente comunicato al Comune il cambio di residenza, sarà quest’ultimo a trasmettere l’informazione della variazione – salvo i tempi tecnici – agli uffici finanziari (ed agli enti previdenziali). Al contribuente è, tuttavia, consentita la facoltà di eleggere un domicilio fiscale diverso dalla residenza anagrafica. In assenza delle richiamate esplicite manifestazioni di volontà, l’anagrafe tributaria trova corrispondenza con la residenza anagrafica.

Nel tempo, l’argomento – per come si può facilmente desumere – è stato esaminato in tutte le sue declinazioni, anche dalla dottrina, al punto da indurre a ritenere esaurite tutte le osservazioni.

Al contrario, con l’introduzione del domicilio digitale, quale luogo etereo ove recapitare, mediante pec, atti (anche esattoriali), si sono aperti nuovi scenari, rispetto ai quali, con opportuni aggiustamenti, possono essere rivisitate alcune vecchie riflessioni ed articolarne di nuove.

La digitalizzazione è un processo irreversibile che ad una inattesa velocità sta travolgendo ogni ambito della vita quotidiana; non è rimasto indenne neppure il mondo giuridico, riluttante ai cambiamenti, forse per la sua vocazione, spiccatamente umanistica. In ultimo, con la creazione del richiamato domicilio digitale, i cui contorni sono tratteggiati nel nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) di cui al D.lgs n. 82/2005, novellato dal D.lgs. n. 179/2016.

Sull’onda impressa dall’Unione Europea (col Regolamento UE del 23/07/2014 n. 910 del Parlamento europeo e del Consiglio, cd. Regolamento eIDAS), dunque, il legislatore italiano, ha stabilito che, per facilitare la comunicazione (da e) con la Pubblica Amministrazione, ogni cittadino “avrà diritto a richiedere ed ottenere” un proprio indirizzo di posta elettronica certificata, quale domicilio digitale.

Quella che la legge definisce “diritto” (art. 3 CAD) e che si presenta, almeno in apparenza quale facoltà, allo stato, si manifesta, piuttosto, come “obbligo”; almeno, lo è per i professionisti, tenuti ad essere dotati di una pec “professionale”, perché iscritti ad un albo o negli elenchi istituiti con legge dello Stato. L’attivazione di una pec, per queste categorie, è adempimento di rilevanza tale che, ove non rispettato, potrebbe comportare anche la sospensione dall’albo (art. 16 c. 7 D.L. n. 185/08, convertito dalla L. n. 2/2009).

L’art. 6-quater CAD, infatti, dispone – con una forma non immediatamente intelligibile – che (ndr) gli indirizzi PEC dei professionisti presenti nell’elenco INI-PEC vengano traslati sull’elenco INAD (Indice Nazionale dei Domicili Digitali), facendo così eleggere un domicilio digitale (anche) al titolare dell’account professionale, quale “persona fisica”. C’è da dire che anche le imprese (esercitate in forma individuale o societaria) sono, ugualmente, obbligate a comunicare il proprio account di posta certificata alla competente Camera di Commercio; l’inosservanza comporta, per inciso, una sanzione amministrativa. Le pec delle imprese, pure, si rinvengono nell’elenco INI-PEC.

Consultando la pagina principale del portale ministeriale dell’Indice Nazionale dei Domicili Digitali, si distinguono trecategorie, in corrispondenza delle quali risultano – alla data in cui è stato esteso il presente contributo – i numeri dei corrispondenti domicili digitali che, a partire dal 06/07/2023 (inizio del servizio), hanno alimentato l’elenco. Sorprendentemente, i “cittadini” (2.525.376) sono in numero decisamente più elevato rispetto ai “professionisti (9.522) – quelli non obbligati ad essere iscritti ad un albo o ad un elenco – ed alle “imprese” (644). Il dato relativo ai “cittadini” non è frutto della libera scelta dei “professionisti”.

L’AgiD, ovvero l’Agenzia per l’Italia digitale – istituita con il compito di garantire la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana – nella stessa pagina internet di INAD sotto il banner “News ed avvisi”, precisa: “tutti i professionisti che svolgono una professione non organizzata in ordini, albi o collegi ai sensi della legge n. 4/2013 e gli enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione nell’INI-PEC, possono eleggere il proprio domicilio digitale su INAD”.

Tra le immancabili domande ricorrenti (FAQ) da conservare (tutte) a futura memoria, qui se ne esamina solo una:

  • Sono un professionista iscritto in un albo/ordine professionale: che differenza c’è per me tra INI-PEC e INAD?

Su INI-PEC riceverai le comunicazioni aventi valore legale concernenti la tua attività professionale; su INAD, invece, riceverai le comunicazioni aventi natura legale riguardanti la tua persona.

Nel caso in cui le comunicazioni legate alla tua persona giungano sul tuo domicilio iscritto in INI-PEC oppure le comunicazioni legate alla tua attività professionale giungano sul tuo indirizzo iscritto in INAD, tali comunicazioni non avranno efficacia.

L’Agenzia per l’Italia digitale ha profondamente inciso sull’evoluzione sul funzionamento degli uffici anagrafici, con l’istituzione dell’ANPR, ovvero Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente, concepita per informatizzare e centralizzare i dati dei cittadini.

Come si legge nel documento titolato Linee Guida INAD: “… INAD e ANPR delineano e implementano meccanismi per assicurare il costante allineamento delle informazioni relative ai domicili digitali presenti in entrambi i database, assicurando la protezione dei dati sin dalla progettazione e per impostazione … nel rispetto scrupoloso dei principi di cui all’articolo 5 del GDPR”.

L’INAD costituisce, in ogni caso, la base dati di primario e specifico riferimento in merito al domicilio digitale delle persone fisiche.

Se, dunque, per la parte privata, il riferimento è ai registri INI-PEC ed INAD, per la Pubblica Amministrazione, c’è l’Indice dei domicili digitali delle Pubbliche Amministrazioni (o Indice IPA) e dei gestori di pubblici servizi, istituito dall’art. 6-ter del richiamato CAD, per il quale si rimanda al sito https://indicepa.gov.it/ipa-portale/.

Secondo le disposizioni normative e le conseguenti linee guida, nell’indice IPA, tutte le pubbliche amministrazioni riportano il proprio domicilio digitale a cui il cittadino possa validamente notificare un atto. Tipico è l’esempio dell’impugnazione avverso un provvedimento dell’amministrazione pubblica, mediante ricorso (generalmente secondo lo schema della provocatio ad opponendum).

Singolare è il caso dell’INPS, che con nota del 13/03/2024, ha comunicato che a far data dal 08/03/2024 (con efficacia retroattiva), “la notificazione (…) degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale, è validamente effettuata, a tutti gli effetti, solo ai nuovi indirizzi PEC indicati nell’elenco previsto dall’articolo 6-ter” CAD. Tuttavia, la ricerca per pec, nell’Indice IPA, allo stato, non consegna il risultato univoco che ci si attende; immettendo uno qualunque dei 640 indirizzi dedicati alle notifiche, il sistema pare non riconoscerlo.

Al momento, solo il Garante per la privacy è intervenuto sul punto, alimentando per poco ed in modo inefficace le già flebili aspettative dei professionisti, con la nota DRP/PS/147434 del 27/10/2021, poi richiamata dal Ministero dell’Interno nella circolare n. 300/STRAD/2/100060.U/2021: non si potrà procedere alle notifiche di multe stradali tramite PEC ai professionisti, salvo che l’indirizzo di pec non appaia come (locuzione poco puntuale) “strettamente personale”.

Con l’entrata in vigore di INAD, col suo travolgente flusso di informazioni, anche questa remora possibilità parrebbe essere svanita. Qualunque atto, provvedimento avviso e comunicazione della pubblica amministrazione, dunque, ex art. 1, c. 402, L. n. 160/2019, potrà essere notificato al domicilio digitale “… con risparmio per la spesa pubblica e minori oneri per i cittadini”.

Dopo questa lunga digressione, tutt’altro che esaustiva, permane qualche diffidenza, aggiuntiva, rispetto a quelle menzionate in premessa.

Intanto, ci si deve domandare se la formazione degli elenchi dei cittadini, nell’indice INAD, presenti (o meno) qualche profilo di illegittimità, soprattutto in relazione a quell’automatismo, che ha di fatto impedito una espressa manifestazione di volontà: il parallelismo è al domicilio fiscale rispetto alla residenza anagrafica.

Inoltre, seguendo le indicazioni contenute nelle FAQ di INAD, ci si dovrebbe aspettare che ove le comunicazioni della pubblica amministrazione giungano al domicilio INI-PEC (professionale), per questioni legate alla persona fisica, come pure quelle legate all’attività professionale giungano all’indirizzo INAD, non abbiano efficacia.

Per contro, pare abbastanza diffusa la prassi, per cui alla pec registrata nell’indice INI-PEC del professionista, siano stati (e continuino ad essere) notificati atti rivolti al contribuente, quale persona fisica. Sotto questo profilo, dottrina e giurisprudenza, almeno sino ad ora, paiono abbastanza refrattarie a ritenere quelle notifiche prive di efficacia.

Si registra, infine, un’altra anomalia, oggi resa più evidente dall’entrata a regime del Codice dell’Amministrazione Digitale: la notifica di accertamenti tari o IMU, avvisi di addebito, cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento rivolte al contribuente persona fisica, attraverso la pec della società (accade di frequente, per le società di persone), della quale evidentemente è socio. Fattispecie sicuramente interessante sotto il profilo della violazione della riservatezza, ma anche dal punto di vista della coerenza della norma che regola l’elezione del domicilio digitale. Occorrerebbe – per fugare ogni perplessità – un più puntuale raccordo con le norme del codice processuale civile (art. 137 e ss. c.p.c.): sino ad allora potrebbero considerarsi illegittime.

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*A cura di Andrea Migliavacca, Avvocato specializzato in diritto tributario e diritto previdenziale - SLTI

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