È applicabile la messa alla prova anche per il delitto di furto in abitazione e con strappo
La Cassazione con la decisione precisa sia la possibile sospensione del processo con conseguente estinzione del reato ex articolo 624 bis del Cp sia la sussistenza dell’interesse ad agire contro la condanna a pena sostitutiva di Lpu
Con la sentenza n. 38670/2025 la Cassazione penale ha affermato che il furto in abitazione o con strappo previsto con l’inserimento dell’articolo 624 bis del Codice penale rientra tra i reati per i quali è ammessa la procedura di sospensione del processo per messa alla prova in base al combinato disposto degli articoli 168 bis del Codice penale e 550, comma 2, del Codice di procedura penale.
La decisione afferma la sussistenza dell’interesse a ricorrere in capo all’imputato sottoposto a giudizio con citazione diretta del Pm anche se condannato con pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità.
Il ragionamento sull’interesse ad agire
La scelta della soluzione non può che prendere le mosse dalle differenze tra i due istituti, soprattutto sul piano degli effetti sostanziali e processuali.
Sul piano sostanziale, l’esito positivo della messa alla prova, comporta l’estinzione del reato, con conseguente cessazione della punibilità e di tutti gli effetti penali, tra i quali, per citare quelli più incisivi, di ostare alla configurabilità della recidiva e di non costituire ostacolo alla concessione di una futura sospensione condizionale della pena.
Mentre le sanzioni sostitutive, che attengono al trattamento sanzionatorio, perseguono soprattutto l’obiettivo di scongiurare il rischio che brevi periodi di detenzione possano pregiudicare il fine rieducativo della pena e il reinserimento sociale del con-dannato. Esse presuppongono un accertamento di responsabilità e, in caso di mancata esecuzione ovvero in presenza di gravi e reiterate violazioni, comportano il ripristino della pena detentiva sostituita. Quindi l’interesse concreto del ricorrente si situa nella circostanza che le sanzioni sostitutive non estinguono il reato e neanche la pena in alcuni casi.
Inoltre, rileva la differenza delle due misure in termini di durata:
- il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della pena detentiva sostituita mentre
- la durata della sospensione del processo fino all’eventuale declaratoria di estinzione del reato non può essere superiore a due anni.
Diverso è poi l’impatto in materia di iscrizioni nel casellario giudiziale.
Per la messa alla prova è esclusa la menzione dei provvedimenti che dispongono la sospensione del procedimento e delle sentenze che dichiarano estinto il reato per esito positivo della prova in esito alla richiesta di certificati rilasciati a richiesta dell’interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione. Proprio sul punto la Consulta aveva osservato che «la menzione nel certificato finisce per contraddire la ragion d’essere della dichiarazione di estinzione del reato (con cui si chiude il processo se la prova è positiva), che è l’esclusione di qualunque effetto pregiudizievole, anche in termini di reputazione, a carico dell’imputato».
Viceversa, le sanzioni sostitutive, proprio perché presuppongono un accertamento di responsabilità, non compaiono tra i casi di esclusione delle iscrizioni nel casellario giudiziale ex articolo 24 del Dpr 313/2022.
Afferma quindi la Cassazione che “la sospensione del procedimento con messa alla prova sia più favorevole sul piano sostanziale e processuale, e che tanto consenta di ritenere certamente sussistente l’interesse all’impugnazione del ricorrente, stante l’evidente idoneità del provvedimento giudiziale in esame a produrre la lesione concreta della sua sfera giuridica”.
L’accoglimento del ricorso
Il ricorrente si contrappone all’affermazione del Gip che aveva negato all’imputato l’applicabilità dell’istituto della messa alla prova per il delitto ex articolo 624 bis del Codice penale (furto in abitazione o con strappo) ritenendo che il trattamento sanzionatorio previsto fosse superiore al generale limite di legge dei 4 anni edittali previsto dall’articolo 168 bis del Codice penale, modificato dalla Cartabia, e che la fattispecie non rientrasse neanche nell’elenco tassativo dei reati contemplati dall’articolo 550, comma 2, del Codice di procedura penale che indica i casi di citazione diretta in giudizio che sono ugualmente considerati tra i casi ammissibili alla messa alla prova.
Su tale ultima considerazione vale la pena riportare il ragionamento della Cassazione dove afferma che - aderendo a giurisprudenza già consolidata - la fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 624 bis del Cp rientra nel novero dei reati per i quali è ammessa l’operatività dell’istituto della sospensione del processo per messa alla prova, dal momento che questo è applicabile, secondo la chiara dizione dell’articolo 168 bis del Cp ai delitti indicati nel comma 2 dell’articolo 550 del Cpp sulla citazione diretta a giudizio, tra i quali è certamente da ricomprendere il delitto contestato.
La Suprema Corte rilevando la mancanza di coordinamento tra le norme coinvolte, quelle modificate e quelle preesistenti, sostiene che l’impasse vada colmato attraverso un’interpretazione che tenga conto delle diverse epoche in cui le regole in gioco sono state emanate e del criterio sistematico, nonché del principio del favor rei, cui è evidentemente ispirato l’istituto.
Si giunge così ad affermare che il Legislatore del 2014 che - con l’articolo 3, comma 11, della legge n. 67 ha introdotto la causa di estinzione - nel definire la tipologia dei reati ammissibili tramite il criterio della citazione diretta a giudizio, ha evidentemente tenuto conto dell’elaborazione giurisprudenziale, che ritiene questo il modo corretto di esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero per il reato ex articolo 624 bis del Cp con conseguente inclusione tra quelli per cui si applica la messa alla prova.
Conclude la Corte facendo rilevare poi che secondo interpretazione storico-sistematica la norma incriminatrice autonoma (introdotta nel 2001) ha assorbito le precedenti fattispecie di furto in abitazione e di furto commesso strappando la cosa di mano o di dosso alla persona, previste dagli articoli del Codice penale 624 (furto) e 625, comma 1, numeri 1) e 4) (circostanze aggravanti). E tali ultime figure di reato erano tra quelle per le quali era contemplata la citazione diretta a giudizio, dovendo, così, presumersi che la volontà del Legislatore del 2001 fosse stata quella di immaginare per la nuova figura di delitto, assorbente delle due precedenti, la stessa regola di esercizio dell’azione penale da parte del Pm con citazione diretta, cioè saltando il passaggio dell’udienza preliminare.




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