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E’ davvero necessaria una nuova figura di “diritto d’autore personale” sui dati identitari? La proposta Danese

La fisionomia umana come nuovo oggetto del diritto d’autore: è questa la sfida che la Danimarca ha deciso di lanciare contro i deepfake

di Giuseppe Rizzo, Francesca Arangino*

Tra le applicazioni dell’intelligenza artificiale che oggi pongono le maggiori criticità giuridiche, spicca l’uso dei sistemi generativi per produrre contenuti digitalmente simulati. Questa evoluzione tecnologica incide direttamente sulla sfera della rappresentazione identitaria, dando origine a fenomeni complessi come quello dei cosiddetti deepfake. Con tale termine si fa riferimento a contenuti multimediali aventi a oggetto soggetti umani digitalmente manipolati e ricombinati mediante algoritmi di machine learning e deep learning, al fine di generare una nuova entità audiovisiva apparentemente autonoma e credibile.

Il nodo dei deepfake

Tali contenuti, proprio in virtù delle sofisticate tecniche di apprendimento automatico impiegate nella loro realizzazione, sono in grado di riprodurre con estrema precisione mimica facciale, tono di voce, cadenza e inflessione linguistica dei soggetti presi a modello, raggiungendo livelli di iperrealismo tali da rendere difficile, se non impossibile, distinguerli dalla persona reale cui si ispirano. Non parliamo più di semplici manipolazioni digitali, bensì di repliche credibili e autonome di persone reali, spesso create senza alcun consenso, con potenziali gravi ricadute sul piano identitario, etico e giuridico.

La proposta danese

Il 26 giugno 2025 il Ministero della Cultura danese ha avanzato una proposta di modifica alla normativa nazionale sul diritto d’autore (cfr. Testo Unico n. 202/2010, come modificato dalla L. n. 380/2013 e dalla L. n. 741/2014) con l’obiettivo dichiarato di “sending an unequivocal message that everybody has the right to their own body, their own voice and their own facial features, which is apparently not how the current law is protecting people against generative AI” (cit. Jakob Engel-Schmidt, Ministro della Cultura danese).

In particolare, la proposta di riforma si fonda su tre interventi cardine:

  • 1. l’introduzione di una tutela esplicita e specifica contro le “imitazioni realistiche generate digitalmente delle caratteristiche fisiche individuali”;
  • 2. l’estensione di una protezione analoga a favore degli artisti interpreti;
  • 3. l’introduzione, in via indiretta, di una disciplina volta a garantire la tutela autoriale dei tratti somatici e identitari delle persone fisiche.

Dall’analisi del disegno di legge si evince come la tutela delle imitazioni digitali realistiche è riservata esclusivamente a quelle riproduzioni che, per il loro elevato grado di realismo, risultino idonee a generare confusione con la persona rappresentata. Il presupposto dell’intervento legislativo è, dunque, la verosimiglianza della simulazione, tale da indurre il pubblico a ritenere autentica la rappresentazione. In presenza di tali presupposti, le imitazioni digitali realistiche delle caratteristiche fisiche personali non possono essere messe a disposizione del pubblico senza il consenso espresso della persona interessata per un periodo di tempo pari a 50 anni dalla morte di quest’ultima.

Il criterio del realismo svolge quindi una funzione selettiva: solo le riproduzioni che superano una soglia di somiglianza tale da creare un rischio concreto di identificazione rientrano nell’ambito applicativo della norma. In mancanza di tale rischio, la diffusione del contenuto non sarà soggetta alla disciplina proposta.

Quanto alla protezione riconosciuta agli artisti interpreti, invece, la riforma mira a tutelare la riproduzione digitale delle loro esibizioni, considerate nella loro dimensione espressiva e professionale. I termini della tutela rimangono analoghi ma l’oggetto della protezione, in questo caso, non è l’identità fisica del soggetto, bensì il “prodotto artistico” degli artisti interpreti, ossia la loro performance intesa come opera dell’ingegno o manifestazione artistica.

Più precisamente, nelle osservazioni generali allegate al disegno di legge si afferma che è necessario “non solo prevedere la protezione delle esecuzioni di opere da parte di artisti interpreti, bensì anche che la disposizione preveda la protezione delle esecuzioni che non consistono nell’esecuzione di un’opera (cfr. pag. 24, par. 2.1.2). Solo in questo modo, infatti, si garantirebbe agli artisti una tutela piena ed effettiva delle loro prestazioni, riconoscendo loro un diritto autonomo sulla propria esecuzione artistica, indipendentemente dal fatto che sia o meno collegata a un’opera.

Al fine di evitare un potenziale contrasto con gli obblighi internazionali assunti dalla Danimarca – in particolare con quanto previsto dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in materia di libertà di espressione – la proposta legislativa introduce specifiche eccezioni, tra cui quelle relative alla satira e alla caricatura. Tali eccezioni, tuttavia, non trovano applicazione qualora l’uso dell’immagine generata digitalmente comporti un pericolo concreto per diritti o interessi fondamentali di terzi (quali la vita, la salute, la reputazione o la proprietà).

Secondo il Ministro della Cultura danese, allo stato attuale né il diritto vigente interno, né i trattati internazionali e tantomeno i regolamenti e le direttive dell’Unione europea sarebbero in grado di offrire un sistema di tutela paragonabile a quello che si intende introdurre nella legge danese sul diritto d’autore.

Difatti, quanto alla posizione degli artisti interpreti, l’attuale legge danese sul diritto d’autore si limita a prevedere una protezione in relazione all’imitazione delle opere, senza tuttavia estenderla alle performance in quanto tali, né offrire alcuna forma di tutela contro la loro eventuale riproduzione o imitazione digitale.

Per quanto concerne, invece, le imitazioni digitali realistiche, pur esistendo nel sistema giuridico danese diverse disposizioni che offrono una tutela, diretta o indiretta, del diritto all’immagine – nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge vengono citati l’art. 70 della legge sul diritto d’autore che disciplina l’uso del ritratto, l’art. 264 del codice penale che sanziona la diffusione non autorizzata di immagini personali, la normativa in materia di protezione dei dati personali, il regolamento sulla pubblicità, nonché agli obblighi di trasparenza introdotti dal Regolamento sull’intelligenza artificiale in relazione alla generazione e diffusione di contenuti multimediali da parte dei fornitori di sistemi di AI – nessuna di tali fonti giuridiche appare al legislatore danese sufficiente, da sola o nel complesso, a garantire una tutela piena ed effettiva come quella che la proposta legislativa intende conferire.

Nemmeno i principi generali in materia di utilizzo dell’immagine altrui, ormai consolidati nella giurisprudenza danese – secondo cui l’uso commerciale dell’immagine di una persona non può avvenire senza il suo consenso, come stabilito in modo costante dalla Corte Suprema sin dal 1965 – vengono ritenuti idonei a coprire l’ambito applicativo della nuova disciplina proposta.

La proposta danese è stata accolta da numerosi commentatori europei come una riforma di portata rivoluzionaria, lodata per il suo carattere pionieristico e per l’ambizione di offrire una tutela rafforzata all’identità personale nell’era dell’intelligenza artificiale generativa.

Tuttavia, ci si può legittimamente domandare se tale entusiasmo sia del tutto giustificato e se la novità normativa rappresenti effettivamente un avanzamento sostanziale rispetto ai sistemi giuridici esistenti. In particolare, è lecito chiedersi se un intervento analogo risulti necessario anche in altri ordinamenti, come quello italiano, o se, al contrario, l’apparato normativo già vigente sia sufficiente a garantire una protezione adeguata contro i rischi posti dalle tecnologie di sintesi digitale dell’identità.

Un raffronto con l’Italia

Guardando all’ordinamento italiano, il nostro Paese dispone già di un impianto normativo complesso e articolato che, se correttamente interpretato ed applicato, sembra idoneo a offrire una protezione efficace contro le principali criticità sollevate dall’AI generativa.

Il diritto all’immagine trova un solido fondamento nell’art. 10 del Codice civile, che tutela la persona contro la pubblicazione non autorizzata della propria immagine, quando tale pubblicazione rechi pregiudizio alla reputazione o al decoro. A questo si affiancano gli articoli 96 e 97 della Legge sul diritto d’autore, che subordinano l’uso e la riproduzione del ritratto al previo consenso dell’interessato, fatta eccezione per determinati casi di interesse pubblico, necessità di giustizia o notorietà. Si tratta di disposizioni che, pur risalenti nel tempo, hanno conosciuto una notevole evoluzione interpretativa, adattandosi progressivamente ai mutamenti tecnologici e ai nuovi contesti comunicativi, inclusi quelli digitali e audiovisivi.

La giurisprudenza nazionale è costante nel ritenere che, nell’ordinamento giuridico italiano, il diritto all’immagine costituisca una proiezione dell’identità personale e, in quanto tale, rappresenti un diritto inviolabile della persona, tutelato anche a livello costituzionale. L’immagine, infatti, si configura come una delle manifestazioni esteriori più significative della personalità dell’individuo, poiché ne riflette l’identità, ne esprime la personalità e consente l’identificazione del soggetto, distinguendolo dagli altri. In tale prospettiva, la più recente giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, ai sensi dell’art. 10 c.c. e degli artt. 96 e 97 della L. n. 633/1941, qualunque utilizzazione dell’immagine altrui priva del consenso dell’interessato configura un illecito civile (cfr. Cass. Civ., Sez. I, ord. n. 19515/22). E ciò a prescindere dal supporto o dal mezzo di diffusione, non potendosi ammettere una distinzione tra un uso illecito su supporto analogico e un utilizzo digitale che, seppur non espressamente disciplinato, non può per ciò solo ritenersi lecito.

A questa tutela si aggiunge quella garantita dalla normativa in materia di protezione dei dati personali. Il D.lgs. 196/2003, come modificato dal D.lgs. 101/2018, e il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), assicurano un presidio particolarmente rilevante rispetto ai trattamenti di dati biometrici, vocali o fisionomici, tipicamente coinvolti nei processi di generazione dei deepfake. In particolare, il GDPR impone limiti stringenti al loro trattamento in assenza di un’espressa base giuridica o del consenso dell’interessato. In tal senso, l’uso di tecnologie AI per riprodurre digitalmente l’identità di una persona senza il suo esplicito assenso potrebbe costituire una violazione sia in ambito civilistico che amministrativo.

Ulteriore protezione deriva dalle norme a tutela degli artisti interpreti ed esecutori. Gli artt. 80 e ss. della L. n. 633/1941 riconoscono a tali soggetti una serie di diritti esclusivi sulle proprie prestazioni artistiche, tra cui il diritto di autorizzare la registrazione, la riproduzione e la comunicazione al pubblico delle loro esecuzioni. Questi diritti, strettamente legati alla performance, consentono agli interpreti di opporsi a qualsiasi utilizzo non autorizzato delle loro prestazioni, comprese eventuali imitazioni o riproduzioni digitali che ne sfruttino voce, mimica o presenza scenica.

In conclusione, pur mancando nell’ordinamento italiano una disposizione espressa paragonabile a quella danese, si può sostenere che l’insieme delle norme vigenti, se lette in modo sistematico e coerente, sia già in grado di offrire una protezione adeguata. Per questo, più che un intervento legislativo ex novo, sembrerebbe auspicabile un lavoro di armonizzazione interpretativa, volto a coordinare le norme esistenti e ad aggiornarne l’applicazione alla luce delle nuove tecnologie, anche attraverso linee guida delle autorità di regolazione e un consolidamento giurisprudenziale.

Peraltro, un’analisi più approfondita della proposta normativa danese solleva alcuni dubbi anche circa la coerenza sistematica di tale intervento rispetto ai principi fondamentali del diritto d’autore.

Tradizionalmente, infatti, la protezione autoriale è riservata alle opere dell’ingegno, ossia a quelle creazioni che siano il frutto di un’attività intellettuale originale dell’essere umano. Questo presupposto è sancito non solo dalla normativa italiana e dalle convenzioni internazionali ma è espressamente ribadito anche dalla legge danese sul diritto d’autore, secondo cui: “Chi produce un’opera letteraria o artistica ha il diritto d’autore sull’opera”. Ne deriva che l’oggetto della tutela autoriale è l’opera creativa, non il dato, né tantomeno l’aspetto fisico di una persona.

In questo senso, i tratti identificativi dell’individuo non costituiscono “opere”, ma semmai dati biometrici, cioè rappresentazioni misurabili di caratteristiche fisiche individuali. Si tratta di elementi costitutivi dell’identità personale che certamente meritano una protezione giuridica ma che non sono “creati” dal soggetto cui appartengono, né rappresentano un’opera dell’ingegno. Dunque, non rientrano logicamente nel perimetro applicativo del diritto d’autore.

Anche da un punto di vista concettuale, il diritto d’autore è stato costruito per tutelare la libertà creativa, non per proteggere l’identità. I due ambiti, pur talvolta contigui, rispondono a logiche differenti e si fondano su principi distinti: da un lato, la protezione dell’originalità dell’opera come espressione della personalità dell’autore; dall’altro, la tutela della dignità, della reputazione e dell’autodeterminazione individuale.

L’equiparazione tra immagine personale e opera d’ingegno rischia di produrre confusione sistematica, aprendo a interpretazioni estensive difficilmente sostenibili alla luce dell’impianto teorico e giurisprudenziale consolidato del diritto d’autore.

Le criticità sistematiche

Alla luce di ciò, resta da chiedersi se la strada scelta dal legislatore danese sia davvero la più adeguata per rispondere alle nuove sfide tecnologiche. In particolare, sono due le questioni che emergono:

  • è davvero necessaria una nuova figura di “diritto d’autore personale” sui dati identitari, oppure si potrebbe ricorrere a strumenti già esistenti, come il diritto all’immagine, alla riservatezza e alla protezione dei dati personali, opportunamente aggiornati?
  • il diritto d’autore è il contenitore giuridico più coerente e funzionale per accogliere una tutela di questo tipo o si rischia di forzare i suoi confini teorici e sistematici in modo improprio?

Uno sguardo al futuro europeo

Sono interrogativi ancora aperti, che richiedono una riflessione approfondita, anche in vista di futuri sviluppi normativi europei e nazionali. La vera partita, tuttavia, potrebbe giocarsi a Bruxelles: l’Unione europea dovrà presto decidere se seguire la via danese o puntare su un’armonizzazione degli strumenti già esistenti.

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*Giuseppe Rizzo (Partner) e Francesca Arangino (Associate), Eversheds Sutherland

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