Civile

«Ex-paradisi», via alle istanze

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di Alessandro Galimberti

Sui Panama papers, sulle polizze vita Credit Suisse e sui “recalcitrant i” - i contribuenti che hanno dribblato la voluntary disclosure del 2015 spostandosi in altri paradisi - l’agenzia delle Entrate passa al contrattacco. Sono, infatti, quattro le richieste di collaborazione internazionale già partite da Roma, destinazione Svizzera, Principato di Monaco, Hong Kong e Singapore.

Lo ha annunciato ieri mattina il direttore dell’agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, durante il convegno di compleanno de lavoce.info all’università Bocconi, in quella che sarà probabilmente la sua ultima uscita pubblica (il 12 scadrà il suo mandato, destinazione ministero dell’Economia e delle finanze).

Le liste inviate agli ex paradisi confinanti e in Asia riguardano le migliaia di posizioni già identificate dalle inchieste internazionali (Panama papers, passando per Credit Suisse), e i cosidetti «recalcitranti» che la Svizzera ha individuato da tempo. Si tratta dei correntisti italiani che non avevano dichiarato la compliance fiscale oltralpe (richiesta tassativamente dalla legge antiriciclaggio federale) o che, nelle more, avevano chiuso baracca e burattini spostandosi in Asia (molti) e nelle isole rimaste esotiche per tassazione.

A proposito di Panama papers, Orlandi ha rivelato che all’Italia - cioè all’Agenzia - era stato offerto il ruolo di team leader in riconoscimento del grande lavoro di intelligence sviluppato sui metodi elusivi, ruolo che è stato rifiutato per «mancanza di risorse (umane, ndr) da impegnare su un ulteriore fronte».

Perchè i risultati del triennio che Rossella Orlandi è tornata a elencare sono «importanti», danno ragione «all’enorme lavoro svolto dall’Agenzia» sia sul campo, sia nel ruolo di promotore, dal 2014, della rivoluzione culturale nei rapporti con il contribuente (iniziando dal ravvedimento lungo di due anni fa) e resteranno agli atti in un momento storico in cui «è essenziale continuare per la strada intrapresa, senza ripensamenti».

Risultati significativi che riguardano soprattutto l’attività di contrasto («19 miliardi di recupero di evasione “in cassa” nel 2016, non mi occupo delle sterili polemiche, questi sono fatti»), il rapporto con il contribuente («8% di ricorsi sugli accertamenti; 500 milioni incassati in adesione dalle 533mila lettere inviate lo scorso anno; 72% di adesione sui 60mila contenziosi Iva», 3mila fascicoli invece sono finiti ai reparti operativi della Gdf) e con gli investitori internazionali («l’interpello nuovi investimenti sta funzionando, abbiamo risposto a 10 società che portano oltre 4 miliardi di investimenti e 79 mila posti di lavoro»).

Molto però resta ancora da fare, ha aggiunto Orlandi, soprattutto sul versante nuovo che si è consolidato negli ultimi 7-8 anni, cioè l’evasione sui versamenti (quindi relativa a imposte già accertate e “consolidate”, ma non onorate): qui il gap supera i 13 miliardi, 8, 4 in materia di Iva - e solo in minima parte dovuti al ciclo economico - prevalgono elusione e frodi “classiche”.

L’Iva resta un capitolo dolente anche all’origine, considerato che il gap calcolato dall’agenzia delle Entrate tocca quasi 41 miliardi di evasione, che inocula nel sistema economico «un fattore di alterazione grave del mercato e della competitività». E qui l’ambito dove lavorare non è tanto nel popolo delle partite Iva (6 milioni, di cui 4 in ambito degli studi di settore) , ma nelle aziende medio-grandi e ovviamente più “avventuriere”.

Resta il fatto, ha concluso Orlandi, che l’evasione deve essere rincorsa e perseguita, ma non la si può battere se non la si stronca sul nascere «attraverso un nuovo approccio “culturale” con il contribuente ma, soprattutto, sfruttando le potenzialità della digitalizzazione, a cominciare dalle fatture elettroniche».

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