Civile

Fondo patrimoniale, è ammessa l’azione revocatoria

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di Adriano Pischetola

L’ordinanza emessa dalla Suprema corte (25423/2019) fa il punto su alcune questioni afferenti all’ammissibilità dell’azione revocatoria avente a oggetto l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale lesivo delle ragioni di creditori pregressi rispetto alla data di costituzione, consacrate tra l’altro in taluni decreti ingiuntivi.

I giudici di legittimità respingono tutte le eccezioni sollevate dai ricorrenti (i coniugi che avevano posto in essere l’atto, rimasti soccombenti nei primi due gradi di giudizio).

Affermano infatti che un atto siffatto non possa integrare (come invece i ricorrenti avevano sostenuto) uno strumento di adempimento dell’obbligo contributivo finalizzato al soddisfacimento dei bisogni della famiglia. Trattasi al contrario di un atto a titolo gratuito, senza alcuna contropartita in favore dei disponenti, ed è pertanto suscettibile di revocatoria, sia ordinaria (articolo 2901 del Codice civile) - a condizione che sussista la mera conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori - sia fallimentare (articolo 64 legge fallimentare), salvo che si dimostri l’esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale e il proposito del solvens di adempiere solo a quel dovere (Cassazione 29298/ 2017, 19029/2013 e 2530/2015).

In termini analoghi la Suprema corte si era già espressa con riferimento a un trust familiare (sentenza 19376/ 2017).

Ribadiscono poi che non si può contestare la gratuità di un atto siffatto solo perchè ne risulti tipizzata dal legislatore la funzione destinativa e solidaristica (a vantaggio del gruppo familiare), richiamando peraltro l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità per cui nei casi in cui il fondo patrimoniale sia costituito dopo l’assunzione del debito è sufficiente il presupposto della scientia damni quale consapevolezza da parte del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore (Cassazione 13343/ 2015).

Infine sottolineano che, in ordine alla questione dell’anteriorità dell’atto costitutivo rispetto ai crediti vantati e, nella fattispecie sottoposta ai giudici, solennizzati in altrettanti decreti ingiuntivi, quella anteriorità va valutata rispetto alla data di insorgenza del credito (che precede quella del decreto ingiuntivo) e che ai fini di quanto dispone l’articolo 2901 del Codice civile in materia di azione revocatoria, l’ordinamento ha accolto un’accezione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità.

Ciò induce i giudici supremi a ritenere che «anche un credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore (sentenza 5619/2016)».

E si fa notare come di questo principio ha fatto precisa applicazione quella giurisprudenza per cui, in materia di fideiussione, il credito non sorge nel momento dell’emissione del decreto ingiuntivo nei confronti del fideiussore, ma al momento in cui è venuta ad esistenza l’obbligazione restitutoria del debitore principale nei confronti del creditore (Cassazione 13591/2019).

Corte di cassazione - Ordinanza civile 25423/2019

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