Furto in «cassetta», sì al giuramento sui beni depositati
Rispetto alla prova nei giudizi che coinvolgono il servizio di cassetta di sicurezza, occorre tenere conto che costituisce una «primaria connotazione funzionale» del servizio stesso assicurare al cliente la segretezza sui beni contenuti nella cassetta nei confronti di ogni altro soggetto, inclusa la banca che predispone il servizio. Difficile, se non impossibile, quindi ricorrere ai tradizionali mezzi di prova, come quella testimoniale, circa il contenuto della cassetta in caso di furto: anche perché spesso si noleggia una cassetta di sicurezza proprio per evitare di pubblicizzare il possesso di valori. Per questo per ricostruire il contenuto della cassetta e stabilire il loro valore può essere utile disporre il «giuramento suppletorio», previsto dall’articolo 2736 del Codice civile, deferito dal giudice per il risarcimento dei danni subiti a seguito di furto del contenuto di una cassetta di sicurezza. Lo ha deciso la Cassazione che, con la sentenza 24647 del 5 novembre scorso, ha deciso il giudizio avviato da tre clienti nei confronti di una banca per chiedere di condannarla a risarcire i danni subiti a causa di un furto avvenuto nei locali dell’istituto di credito, adibiti a cassetta di sicurezza.
Il Tribunale ha respinto la domanda degli attori poiché - ha sostenuto - sfornita di prova sulla custodia effettiva dei gioielli nella cassetta di sicurezza al momento del furto. Gli attori hanno impugnato la sentenza di fronte alla Corte d’appello che ha invece accolto l’istanza anche perché «gli appellanti hanno reiterato la richiesta di giuramento suppletorio estimatorio, già formulato nel giudizio di primo grado e non ammesso dal Tribunale» e che la «Corte ha ritenuto ricorrenti le condizioni previste dalla legge per deferire il chiesto giuramento».
Contro questo provvedimento la banca ricorre in Cassazione.
La Suprema corte ricorda innanzitutto che, in base al suo orientamento consolidato, la decisione di ammettere il giuramento è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito. La sussistenza in concreto della “semiplena probatio” non è, pertanto, sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’adeguatezza della motivazione. E proprio rispetto al profilo dell’adeguatezza, la Cassazione sottolinea che quella del giuramento suppletorio è una discrezionalità dai tratti assai ampi ed è rimessa al giudice di merito, essendo sostenibile anche dalla presenza di semplici indizi e presunzioni, anche non forniti dei requisiti della gravità, della precisione e della concordanza.
Inoltre, la decisione del giudice di primo grado di non deferire il giuramento non pregiudica in alcun modo l’eventualità che lo facciano i giudici di secondo grado, anche sulla scorta di una loro diversa valutazione e sullo stesso materiale probatorio raccolto in concreto.
Nel caso esaminato, riferendosi al materiale probatorio prodotto in primo grado, la Corte d’appello ha rilevato che era già stata raggiunta la prova del possesso da parte degli attori di gioielli di cospicuo valore e dell’abitudine di custodirli nella cassetta di sicurezza noleggiata presso la banca. Motivazione che pare sufficiente, sotto l’unico profilo che nella fattispecie rileva, vale a dire quello dell’adeguatezza, a sorreggere la decisione della Corte d’appello di deferire il giuramento suppletorio.
La responsabilità dell’Asl non deve legittimare l’ingiustificato arricchimento del danneggiato
di Giampaolo Piagnerelli