Civile

Gaza, il Tribunale di Roma sblocca i visti per i familiari

Il Tribunale di Roma - preso atto dell’urgenza estrema e della situazione oggettiva nella Striscia di Gaza - ha accolto in via cautelare l’istanza, ordinando il rilascio immediato del visto

di Pietro Alessio Palumbo

Una decisione che guarda in faccia la realtà umanitaria e interviene per proteggerla. Con una pronuncia cautelare di particolare rilevanza, il Tribunale di Roma (ordinanza 9 settembre 2025 – r.g.n.37790-1/2025) riconosce il diritto all’ingresso in Italia dei familiari di cittadini italiani provenienti dalla Striscia di Gaza, mettendo al centro non solo i legami familiari, ma l’estrema gravità della crisi umanitaria in corso. È una svolta che rilegge i concetti di “convivenza”, “sostentamento” e “necessità di assistenza” alla luce di una realtà oggettiva di guerra, fame e pericolo generalizzato. Non c’è formalismo che tenga di fronte a una carestia certificata e ad attacchi che colpiscono la popolazione civile. L’intervento del giudice si colloca in una prospettiva di tutela effettiva ed immediata, riconoscendo che il diritto al ricongiungimento familiare non può restare ostaggio delle burocrazie quando in gioco c’è la sopravvivenza delle persone.

La vicenda all’esame del Tribunale di Roma

Il caso riguarda due coniugi, lui cittadino palestinese, lei cittadina italiana, che hanno chiesto il visto di ingresso per alcuni loro familiari, residenti nella Striscia di Gaza. L’Amministrazione non si era pronunciata in merito, malgrado la documentazione allegata: trasferimenti economici costanti da parte dei ricorrenti, certificazioni di convivenza nel Paese di origine e, soprattutto, prova dell’aggravarsi delle condizioni umanitarie. Il Tribunale, preso atto dell’urgenza estrema e della situazione oggettiva nella Striscia di Gaza – dove la carestia, i bombardamenti, la mancanza di acqua e di medicine, e il collasso dei servizi essenziali mettono a rischio la sopravvivenza di milioni di persone – ha accolto l’istanza, ordinando il rilascio immediato del visto.

L’ordinanza del giudice capitolino

Il provvedimento si distingue per la capacità di superare le rigidità interpretative che spesso, nella prassi amministrativa, si traducono in ostacoli insormontabili alla tutela dei diritti fondamentali. Il giudice non si ferma alla mera verifica del dato formale – la prova del sostegno economico o della convivenza – ma inquadra il diritto all’ingresso in un contesto concreto in cui la permanenza nel Paese di origine rappresenta, evidentemente, un pericolo esistenziale. 

Il legame familiare, normalmente sufficiente a radicare una pretesa al ricongiungimento, viene qui rafforzato da una condizione di emergenza permanente, che richiede un approccio sostanzialista: non si tratta solo di diritto alla famiglia, ma di diritto alla vita.

L’ordinanza, peraltro, attribuisce rilievo dirimente alla documentazione fornita dai ricorrenti, non contestata dall’Amministrazione: rimesse economiche costanti fin dal 2023, certificazioni che attestano la convivenza pregressa, prove dello stato di grave necessità.

Non è richiesta una verifica ulteriore: ciò che conta, chiarisce il giudice, è che sia dimostrato il sostegno materiale e morale in una situazione in cui l’assistenza è impossibile se non attraverso l’ingresso immediato in Italia.

 Una presa di posizione che valorizza quindi il principio di proporzionalità e quello di effettività della tutela giurisdizionale: non si può chiedere al cittadino di attendere l’esito di lunghe burocrazie quando ogni giorno trascorso può significare una morte evitabile.

Altro aspetto centrale è il riconoscimento, da parte del giudice, dell’effettivo pericolo derivante dalla situazione nella Striscia di Gaza. I dati citati nell’ordinanza sono drammatici: carestia conclamata, tassi di malnutrizione acuta nei bambini, sfollamenti di massa, bombardamenti su civili, carenza totale di beni essenziali, blackout ospedalieri, diffusione di malattie e violenze di genere nei rifugi sovraffollati. In questo contesto, viene affermato che la necessità di assistenza personale da parte del cittadino italiano al proprio familiare non è solo giuridicamente configurabile, ma è umanamente necessario. Non si può chiedere una prova ulteriore quando l’evidenza dei fatti è schiacciante. Il provvedimento rompe anche con una certa inerzia giurisprudenziale che ha finora spesso differito la concessione di visti a momenti successivi, talvolta irreparabili. Qui, invece, l’urgenza è pienamente accolta come presupposto fondante dell’intervento cautelare. Il pericolo nel ritardo non è ipotetico, è reale, attuale e documentato. Il Tribunale non esita a riconoscerlo e a ordinare ciò che l’Amministrazione avrebbe dovuto già fare: consentire l’ingresso a chi rischia la vita restando dov’è.

In definitiva, si tratta di una decisione che restituisce centralità al giudice nella protezione dei diritti umani, in un contesto in cui le garanzie formali rischiano di diventare strumenti di disumanizzazione. La famiglia non è solo un dato anagrafico, ma un legame attivo che, in tempo di guerra, può fare la differenza tra la vita e la morte. La cittadinanza italiana, allora, non è solo un titolo astratto, ma un vincolo che obbliga anche alla solidarietà istituzionale. E la giurisdizione, come in questo caso, può farsi carico di renderla concreta.

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