Lavoro

Gig worker al test dei 5 criteri per capire se sono dipendenti

Gli scenari che si aprono con la proposta di Direttiva della Commissione Europea dello scorso 9 dicembre sui lavoratori digitali

di Giampiero Falasca

Fanno parte della nostra quotidianità, presenti ma nell’ombra. Sono i lavoratori digitali o meglio i lavoratori al servizio di quelle piattaforma digitali che dai nostri acquisti ai servizi fanno ormai parte della nostra vita. Esploso vorticosamente questo mondo ora fa i conti con l’organizzazione dei diritti e dei doveri a partire dall’inquadramento. L’ultima parola arriva dalla Ue: la proposta di Direttiva della Commissione Europea dello scorso 9 dicembre sui lavoratori digitali potrebbe infatti imprimere una svolta decisiva all’annosa diatriba sulla tipologia contrattuale da utilizzare per chi collabora con le piattaforme digitali.

La subordinazione

L’articolo 4 della proposta prevede, infatti, un sistema di presunzioni, in virtù del quale il rapporto del “platform workers” si considera subordinato, sino a prova contraria, se sussistono almeno due delle cinque condizioni individuate come indici potenziali di subordinazione. Il primo di questi indici è il potere unilaterale della piattaforma di determinare il compenso. Il secondo indice consiste nel potere della piattaforma di imporre alcune specifiche condotte (ad esempio l’utilizzo di una certa attrezzatura). Il terzo indice di subordinazione attiene al controllo, e si verifica quando la piattaforma digitale verifica e supervisiona i risultati del lavoro svolto, anche tramite mezzi tecnologici. Il quarto indice di subordinazione attiene al potere organizzativo, e si presenta quando la piattaforma digitale limita l’autonomia del lavoratore di individuare i tempi di lavoro o i periodi di assenza dal lavoro e la libertà di accettare o rifiutare gli incarichi. L’ultimo indice consiste nel divieto per il lavoratore di acquisire clientela o di lavorare per più committenti. Quando si presentano due di questi cinque indici, opera il meccanismo della “presunzione semplice”: il lavoratore deve essere considerato titolare di un rapporto di subordinazione, ma la piattaforma digitale può fornire prova contraria, dimostrando la natura autonoma del rapporto di lavoro riqualificato.

L’impatto in Italia

L’impatto nel nostro Paese di questo meccanismo, una volta che la proposta sarà trasformata in Direttiva e che saranno adottate le norme attuative, potrebbe essere forte ma non dirompente, in quanto i principi espressi dall’Ue sono coerenti con gli orientamenti che stanno prevalendo sul tema.

Attualmente, infatti, tanto il legislatore quanto la giurisprudenza già procedono speditamente nella costruzione di meccanismi e tecniche volte ad agevolare il riconoscimento della subordinazione dei lavoratori “digitali”. Il legislatore, con una norma del Jobs Act, molto importante seppure a lungo sottovalutata, ha già approvato da anni un meccanismo che, seppure con tecniche e forme diverse, sembra arrivare a forme di tutela analoghe a quelle cui mira la proposta comunitaria. L’articolo 2, comma 1, del Dlgs. 81/2015, impone l’applicazione delle regole del lavoro subordinato a tutti i rapporti di collaborazione caratterizzati dal potere organizzativo del committente; norma che si applica espressamente anche ai collaboratori delle piattaforme digitali. Questa norma già determina una forma impropria di presunzione di subordinazione, quanto meno dal punto di vista delle conseguenze concrete che derivano dalla sua applicazione, come confermato dalla famosa sentenza 1663/2020 della Corte di Cassazione, con la quale i giudici di legittimità hanno rafforzato in maniera importante l’impatto di tale disposizione.

E proprio la giurisprudenza ha costruito l’altra gamba di quel percorso verso che sta portando i lavoratori delle piattaforme sotto il grande ombrello della subordinazione, mediante molte decisioni che hanno reso difficile l’adozione di modelli contrattuali diversi.

In tribunale

Le pronunce in tale direzione sono molte; basti ricordare le sentenze che hanno riqualificato in senso subordinato il rapporto di lavoro dei rider, ritenendo sussistenti gli indici classici di subordinazione (è il caso, ad esempio, della sentenza 3570 del 24 novembre 2020 del Tribunale di Palermo), e quelle che, utilizzando il sistema sopra ricordato del Dlgs. 81/2015, hanno sancito l’applicabilità nei confronti dei lavoratori digitali che siano titolari di un rapporto di collaborazione, autonoma o coordinata, delle regole del lavoro subordinato. In tale direzione, va ricordata l’ordinanza del 28 marzo 2021 del Tribunale di Milano, con la quale è stata riconosciuta l’applicabilità della procedura per condotta antisindacale anche nei confronti degli “shopper” formalmente inquadrati come collaboratori autonomi, e della sentenza del 23 novembre 2021 del Tribunale di Firenze, con la quale è stata sancita l’applicabilità delle norme sui licenziamenti collettivi per i recessi intimati nei confronti dei fattorini titolari di rapporti di collaborazione.

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