Il Codice della crisi d’impresa slitta al 2022
L’intervista a Ilaria Pagni - Rinviata la riforma la cui entrata in vigore era prevista per settembre. Più tempo per recepire la direttiva sull’insolvenza
Per l’entrata in vigore del Codice della crisi è previsto uno slittamento? Se sì a quando e per quali ragioni?
Sì, abbiamo proposto uno slittamento alla prima metà del 2022, che consenta di tenere conto delle indicazioni provenienti dalla direttiva Ue 2019/1023, in modo da evitare una adozione a tappe della nuova disciplina e permettere l’introduzione, già nel testo che entrerà in vigore, di alcuni principi per il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ristrutturazione e di insolvenza, e per il miglior raccordo fra le norme della direttiva e quelle già contenute nel Codice.
Le misure di allerta quando dovrebbero entrare in vigore secondo la nuova agenda?
Su questo punto la strada in parte era già tracciata, dato che il rinvio della disciplina dell’allerta esterna, auspicato da più parti, era già stato disposto per effetto degli interventi in sede di conversione del decreto Sostegni. Anche per questo si è ritenuto opportuno un rinvio al 2022, dato che il Codice, privato di una parte della sua base fondante, avrebbe visto un ingresso nelle procedure non preceduto da una allerta adeguata, con il rischio che si creasse uno scalino tra le condizioni di accesso al nuovo concordato preventivo e il momento in cui l’imprenditore avesse preso l’iniziativa di accedere alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza.
Quanto all’allerta interna, abbiamo ritenuto opportuno rimodularla, mantenendo e riscrivendo solo i doveri di tempestiva segnalazione dell’organo di controllo, per tenere conto delle mutate condizioni. Per dare modo al nuovo sistema di sperimentare la propria efficienza, e uniformare le date di entrata in vigore dei diversi obblighi di segnalazione esterni, abbiamo proposto il rinvio degli articoli 12 e seguenti del Codice della crisi a una data diversa rispetto a quella prevista per l’entrata in vigore del Codice, e portata al 31 dicembre 2023.
In questo periodo di tempo su quali percorsi potrebbero contare le imprese per risolvere situazioni di crisi temporanea oppure strutturale e ormai con insolvenza più che probabile?
Una volta che i meccanismi di allerta esterna erano stati rinviati, si è valutato con attenzione se fosse opportuno mantenere la disciplina del titolo II del Codice, o non fosse meglio ripensare l’intero titolo, per tenere conto del mutato contesto economico.
Poiché la direttiva Insolvency richiedeva che gli Stati membri adottassero sistemi di early warning (diversi dall’allerta del Codice e pensati più come meccanismi che richiamassero l’attenzione delle imprese a situazioni di crisi e di pre-crisi e fornissero soluzioni di tipo stragiudiziale), abbiamo ritenuto di introdurre uno strumento che rispondesse tanto alle esigenze dell’emergenza quanto alle indicazioni della direttiva.
Uno strumento che consentisse alle imprese in difficoltà, di qualunque dimensione, tanto commerciali quanto agricole, indipendentemente dalle soglie di fallibilità, di avviare negoziazioni coi creditori potendo contare sull’aiuto di un esperto, competente nella ristrutturazione aziendale, attento conoscitore della disciplina della crisi d’impresa e dotato di capacità quale facilitatore, e perciò in grado, grazie alla propria indipendenza e terzietà, di favorire le trattative volte all’individuazione di soluzioni negoziali di composizione della crisi. Ci sono già esperienze di questo tipo, in progetti pilota anche delle Università: non si rinuncia all’assistenza dei professionisti di fiducia del debitore, ma a essi si affianca un soggetto terzo che offra quelle garanzie di indipendenza che il diritto eurounionale richiede.
Lo strumento si rivolge anche alle micro imprese, tenendo conto delle loro specificità. E tiene altrettanto conto della realtà dei gruppi, prevedendo che la composizione negoziata possa svolgersi tanto in modo unitario quanto per singole imprese o raggruppamenti di imprese.
Con quali obiettivi prioritari?
Si è cercato di puntare al risanamento e al mantenimento di valore dell’impresa. Ovviamente questo nei casi di probabilità di crisi, o anche di probabilità di insolvenza, purché ci siano prospettive concrete di risanamento. Altrimenti l’esperto indirizzerà il debitore verso le nuove forme di liquidazione semplificata e accelerata del patrimonio che si vorrebbero introdurre.
Si è anche immaginato di anticipare alcune norme del Codice, che prevedono procedure di regolazione negoziale della crisi rispondenti alle indicazioni della direttiva e utili a facilitare la ristrutturazione. Si è poi provato a costruire meccanismi che consentano una rinegoziazione del contratto affidata alla volontà delle parti, che faccia leva sul supporto di consulenti seri e l’aiuto di facilitatori capaci, prevedendo che in caso di insuccesso il debitore possa chiedere al tribunale di determinare equamente le condizioni economiche sulla base della proposta dell’esperto, purché per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale e il miglior soddisfacimento dei creditori, ma soprattutto a condizione che il sacrificio imposto all’altro contraente sia proporzionato a ciò che potrebbe ricevere altrimenti.
E sarebbe anche un bel segnale per il sistema poter creare un fondo di solidarietà tra le imprese, messo al servizio di chi necessita dell’intervento dell’esperto.
Centrale, ancora una volta la figura dell’esperto, su quali categorie puntare, con quale preparazione, con quali garanzie di successo?
Le categorie sono disegnate dalle competenze che ho appena menzionato: dottori commercialisti ed esperti contabili, avvocati di comprovata esperienza nel settore della crisi d’impresa, altri professionisti, come i consulenti del lavoro che abbiano concorso alla conclusione di accordi di ristrutturazione omologati, di accordi sottostanti a piani attestati o alla presentazione di concordati in continuità omologati.
Non abbiamo rinunciato all’occasione di includere, tra i possibili esperti, anche i manager che documentino di avere gestito l’impresa in operazioni di ristrutturazione concluse con successo.
Abbiamo anche previsto uno specifico percorso formativo, che si andrà ad aggiungere alla preparazione maturata dalle varie categorie professionali in questi mesi che hanno preceduto l’entrata in vigore del Codice.
Fondamentale anche il ruolo delle Camere di commercio, che metteranno a disposizione una piattaforma dedicata sulla quale gireranno le informazioni necessarie all’esperto per svolgere al meglio il proprio compito. E per le imprese più piccole è mantenuta la nomina dell’esperto da parte degli organismi di composizione della crisi, lasciando intoccata la disciplina del sovraindebitamento.
Quanto alle garanzie di successo, le norme puntano sulla competenza, la trasparenza, l’indipendenza e l’imparzialità dell’esperto. Il resto ce lo dovranno mettere le categorie professionali sulle quali abbiamo scommesso: ma dalle audizioni è emersa una grande attenzione e sensibilità da parte degli Ordini e delle associazioni, per cui siamo certi che faranno ogni sforzo per assicurare i risultati sperati.
L’accesso alle nuove procedure sarà verosimilmente volontario. È da escludere in ogni caso una ricaduta davanti all’autorità giudiziaria?
Crediamo che l’accesso a un percorso come questo, che non è una procedura ma una sede privilegiata per le trattative che precedono qualunque forma di composizione negoziale della crisi, debba essere su base volontaria. Incentivata da misure premiali e rafforzata da una adeguata specificazione dei doveri dell’organo di controllo, chiamato a vigilare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento, e perciò anche sul ricorso a questo strumento, ma comunque volontaria.
Sarà fondamentale il ruolo di informazione e supporto delle associazioni di categoria, che sono state sentite e che hanno convenuto sulla opportunità dell’introduzione di uno strumento che favorisca le trattative, costringa le parti al rispetto dei tempi necessariamente rapidi imposti dall’esigenza di risolvere la crisi o optare velocemente per soluzioni liquidatorie accelerate, non crei un cordone sanitario intorno all’imprenditore e al tempo stesso preveda le opportune cautele ad evitare pregiudizi a cascata per i creditori, col rischio di crisi di questi ultimi.
Quanto all’eventualità di ricadute dinanzi all’autorità giudiziaria, le responsabilità rimarranno quelle previste dal Codice civile e dalla legge fallimentare: l’imprenditore mantiene la gestione, ma deve tenere condotte coerenti con l’andamento delle trattative e non pregiudicare gli interessi dei creditori, cosa che dovrebbe fare peraltro anche se non accedesse a questo percorso. Le trattative potranno essere protette, sotto il controllo del tribunale, con le novità previste dalla direttiva; potranno servire autorizzazioni in ipotesi particolari, ma il ruolo del tribunale non sarà quello del giudice delegato ad una procedura concorsuale, perché questa non è una nuova procedura.
I principi cui ci siamo ispirati sono semplificazione, flessibilità, rapidità ed economicità dei costi, e la solidarietà tra tutti i soggetti coinvolti nella crisi.