Il marito separato resta persona di famiglia e commette maltrattamenti se vessa la moglie
Il requisito della convivenza richiesto dalla fattispecie penale è integrato fino allo scioglimento del vincolo matrimoniale
Il marito che vessa con violenze e minacce la moglie - anche dopo la separazione legale o di fatto - commette il reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di stalking.
Infatti, il requisito della convivenza previsto dall’articolo 570 del Codice penale è ugualmente integrato, anche se non vi è più coabitazione stabile, fino alla dichiarazione di scioglimento del vincolo matrimoniale in quanto il coniuge separando resta “persona di famiglia”. E a maggior ragione nel caso vi siano figli minori verso i quali i genitori sono chiamati a collaborare per la loro gestione ed educazione.
La Cassazione penale - con la sentenza n. 34368/2025 - ha respinto il ricorso dell’uomo che una volta separato dalla moglie e lasciato il tetto coniugale pretendeva che ella gli preparasse i pasti quotidiani giocando la minaccia economica di non versarle il mantenimento.
Il concetto di persona di famiglia, cioè colui che agisce ancora nell’ambito familiare dell’altro coniuge con cui conviveva, è perciò rivestito dall’altro coniuge in pendenza della separazione. E se, come nel caso risolto, il marito vessa la moglie con minacce e violenze dopo la separazione e in presenza dei figli minori e contro gli stessi, il reato da contestargli non potrà essere rubricato come stalking.
Il ricorso viene anche respinto sul punto dove si voleva far passare la condotta del ricorrente come paritaria e inserita in una dinamica litigiosa di coppia, causa della stessa separazione, e che le reazioni dell’uomo fossero da attribuire al proprio deficit psicologico dell’incapacità di contenere la rabbia se non addirittura come mera risposta a una provocazione reciproca. Comunque sia la tendenza a cedere alla rabbia non è di per sé un’attenuante che vada riconosciuta a meno di un’accertata malattia che determini incapacità del soggetto affetto.
Inoltre, il ricorrente impugnava la condanna per tentata violenza - che ben può concorrere con il reato di maltrattamenti senza esserne assorbito - perché a suo avviso andava riconosciuta in suo favore la circostanza di aver desistito volontariamente dalla consumazione del rapporto sessuale che chiedeva alla moglie agendo con violenza. Al contrario i giudici hanno ritenuto che fosse stato il rifiuto opposto dalla donna ad aver fatto desistere l’uomo, ciò che non vale come attenuante inquadrabile come desistenza.