Famiglia

Il punto sull’istituto del collocamento paritetico

Si afferma con sempre maggior vigore l’orientamento che ravvede l’interesse superiore dei minori nel collocamento alternato, anche se i genitori non sono concordi su tale soluzione

Division of property and children among parents in case of divorce. Parental conflict resolution, custody of children. Justice, protection of child rights. Choose which parent to live with

di Rossella Pulci*

L’art. 337 c.c. stabilisce che, nei procedimenti di separazione, divorzio, annullamento e nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio, il giudice deve assicurare ai minori il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. A tale esclusivo fine, determina il regime di affidamento, collocamento e mantenimento dei figli.

Appare in primo luogo precisare la differenza tra affidamento e collocamento dei figli minori: il primo consiste nel potere di esercitare la responsabilità genitoriale, ossia l’insieme dei diritti e doveri che spettano ai genitori sulla prole; il secondo concerne il luogo presso cui i minori abitano insieme – normalmente – ad una delle due figure genitoriali.

Mentre l’affidamento è, di norma, quello condiviso, per cui le decisioni relative ai figli vengono prese in accordo tra i genitori, anche dopo la fine dell’unione della coppia, il collocamento dei figli suscita oggigiorno ancora un vivace dibattito nelle aule dei Tribunali.

All’epoca, fece scalpore l’ormai celebre decreto del Tribunale di Milano, sez. IX, 19/10/2016, (Pres. Laura Amato, Est. Giuseppe Buffone) in cui è stato stabilito, per la prima volta in modo espresso, l’abbandono del criterio della maternal preference a favore del solo preminente interesse del minore, in base al quale il genitore di prevalente collocamento poteva essere quindi sia il padre, sia la madre, a seconda del caso concreto di quella specifica famiglia.

Nonostante la Legge sull’affidamento condiviso (L. 54/2006) avesse proprio lo scopo di superare l’affido esclusivo dei figli alle madri, fino ad allora vigente (ricordiamo che i padri, prima di allora, potevano vedere i bambini pochissimi giorni a settimana e non avevano la possibilità di decidere quasi nulla in relazione alla prole) e fosse quindi rivoluzionaria nel campo del diritto di famiglia, nei fatti i Tribunali continuavano a collocare i minori prevalentemente presso le madri, assegnando ai padri un “ diritto di visita ” consistente, quasi sempre, in un pernottamento infrasettimanali ed a week end alternati, una settimana durante le vacanze natalizie e due ad agosto; se poi i figli erano molto piccoli, di norma i pernottamenti venivano esclusi in forza della necessità biologica e psicologica – così si riteneva – che gli infanti avessero di stare continuativamente presso la madre.

A quasi un decennio di distanza, assistiamo sempre più spesso a tempi di permanenza dei figli di fatto paritetici tra i genitori. La società è cambiata, i padri possono e vogliono occuparsi materialmente dei figli, anche se molto piccoli, nella quotidianità e le formule lavorative vengono sempre più incontro alla flessibilità necessaria in tal senso. La cura dei figli può essere realmente suddivisa in maniera equa tra i genitori.

I Tribunali accolgono quindi con favore le richieste dei padri di tenere con sé i figli per il 50% del tempo, spesso con rilevanti conseguenze anche sul contributo al mantenimento, che viene modulato come “ mantenimento diretto ” piuttosto che come un versamento mensile a favore del genitore collocatario prevalente, visto che – in questi casi – non vi è alcuna prevalenza.

Negli ultimi mesi, abbiamo assistito all’emissione di svariate pronunce sul c.d. collocamento alternato: i figli restano fissi nella casa familiare e sono i genitori ad alternarsi per i periodi di rispettiva spettanza. In tal modo, si ritiene che i minori possano godere di una maggiore stabilità nel proprio ambiente abitativo, mentre i genitori potranno cercare, per loro soli, una soluzione domestica anche più piccola e quindi meno costosa, visto che non avranno necessità di spazi per ospitare la prole.

Soluzione, questa, adottata già da tempo all’estero, ma fino ad oggi invisa al Giudice italiano, che non riteneva possibile imporre una scelta del genere se non recependo un accordo delle parti in tal senso.

Oggi però, abbiamo provvedimenti che ravvedono l’interesse superiore dei minori proprio nel collocamento alternato e ciò anche se i genitori non sono concordi su tale richiesta. Da ultimo, la Corte d’Appello di Torino n. 314 del 14 marzo 2024 ha confermato la sentenza del Tribunale di Cuneo, con cui si imponeva la rotazione settimanale dei genitori nell’abitazione familiare in quanto tale scelta risultava, nel caso specifico, conforme all’interesse superiore dei minori.

Ciò che ad oggi è essenziale tenere a mente è quindi la peculiarità del caso concreto e l’interesse specifico di quei minori, che non possono essere gestiti secondo un formulario standard, ma meritano di ricevere una regolamentazione cucita su misura per loro. Ecco perché la Riforma Cartabia ha indicato come obbligatoria la presentazione, sia da parte del ricorrente che da parte del resistente, di un “ piano genitoriale ”, ossia di un documento che indichi in maniera dettagliata gli impegni e le attività quotidiane dei figli in relazione alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze di solito godute. Ciò consente al Giudice, fin dalla prima udienza, di stabilire un regime di collocamento dei minori il più possibile aderente alle loro specifiche necessità.

Ricordiamo che un collocamento paritetico presenta indiscutibili vantaggi per tutti i membri della famiglia: per i figli, i quali possono godere davvero di entrambi i genitori anche dopo la loro separazione e non crescono con l’idea – ormai anacronistica – che esiste un genere, quello femminile, che si occupa dei figli gratuitamente e un altro, quello maschile, che invece svolge un lavoro più importante e retribuito e dunque non gli si può chiedere anche di gestire i bambini nella quotidianità; per i padri, i quali non vengono relegati ad un ruolo secondario, che spesso non avevano nemmeno quando la famiglia era unita; ma anche per le stesse madri, le quali non sono così costrette, da sole, a caricarsi dei compiti di accudimento della prole, rinunciando alla carriera lavorativa, sacrificando la propria autonomia economica.

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*A cura di Rossella Pulci – Avvocato Familiarista

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