Penale

Il rischio fiscale e l'adeguato assetto organizzativo d' impresa nella contingenza della crisi pandemica

La sentenza della Cassazione n. 28488/2020 conferma i criteri di definizione di reato omissivo e la suitas della condotta del contribuente puntualizzando che, il mancato pagamento del debito tributario penalmente perseguibile, non deve dipendere dalla mancata organizzazione economica dell'impresa

di Monica Peta*


Le affermazioni della Corte destano interesse verso un'analisi più approfondita in considerazione della nuova normativa che disciplina e regola gli adeguati assetti organizzativi e nella contingenza dell'emergenza pandemica.

Il fatto afferisce al mancato versamento all'erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione iva annuale, che la Corte ha precisato costituire ai sensi dell'art. 10-ter del D. lgs. n. 74/2000 reato omissivo a carattere istantaneo e punibile a titolo di dolo generico, essendo sufficiente ad integrarlo l'elemento oggettivo, ovvero la coscienza e volontà di non versare all'erario il tributo entro il termine di scadenza. Ovvero, la prova del dolo è insita oggettivamente nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge il debito tributario ed il termine fiscale del versamento.

La valutazione di un'eventuale configurabilità dell'elemento soggettivo legato all'applicabilità di circostanze scriminanti di forza di causa maggiore e di stato di necessità, prende le mosse dalla nozione insita nella sopracitata norma penale: ‘l'organizzazione economica dì impresa per il pagamento dei tributi si articola su base annuale'. Di conseguenza, il contribuente non può invocare la colpevolezza al momento della scadenza per il pagamento del tributo, ove non si dimostri che l'omesso versamento non dipende da una scelta di non fare debitamente fronte all'adempimento.

Ai fini di far valere l'assenza del dolo o l'assoluta impossibilità di adempiere all'obbligazione tributaria è necessario che il contribuente assolvi agli oneri di allegazione attinenti la crisi di liquidità, che dovranno riguardare non solo all'aspetto della non imputabilità della crisi economica, ma anche la circostanza che detta crisi non possa essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto.

Sul contribuente incombe l'onere di provare che non sia stato possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie e di aver posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale dirette a consentirgli di recuperare le somme necessarie ad assolvere il debito erariale senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e quindi a lui non imputabili. Non può ritenersi una circostanza scriminante dello stato di necessità, ad esempio, il fatto che le obbligazioni siano rimaste inadempiute per l'esigenza di adempiere prioritariamente al pagamento delle retribuzioni dei dipendenti (che viceversa è prova inequivocabile del dolo del reato perché rappresenterebbe la consapevole scelta di non pagare il tributo).

Invero, la causa di forza maggiore rileva solo come causa esclusiva dell'evento e mai causa concorrente di esso, vale a dire che nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l'assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omissivo.

In conclusione:

a) l'esistenza di un margine di scelta per il contribuente esclude sempre la forza maggiore, perché non esclude la suitas della condotta;

b)la mancanza di liquidità necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria penalmente rilevante non può essere addotta come causa di forza maggiore quando sia comunque una scelta dell'imprenditore volta a fronteggiare la crisi di liquidità;

c) l'inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a causa di forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà. Tali valutazioni possono rientrare nel mero apprezzamento da parte del giudice.

Questo quadro accende più alert guardando allo scenario prevedibile prossimo che vede già attuativo l'art. 2086 c.c. e la responsabilità di società ed enti circa la verifica dell'adeguato assetto organizzativo, con il primo banco di prova le dichiarazioni fiscali 2019, che si stanno redigendo. Mentre l'entrata in vigore del Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza è slittata in avanti nella contingenza dell'epidemia Covid e del lockdown, , tale rinvio non ha riguardato le norme del Codice Civile, che impongono agli imprenditori gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e alle dimensioni dell'impresa, già previsti dal D.lgs. 231/2001, in tema di prevenzioni di azioni penalmente rilevanti, di doveri degli amministratori e dei sindaci.

Una sorta di doppio binario, per il quale la nuova prescrizione introdotta dal Codice della crisi e trasfusa nell'art. 2086 del c.c., assume una valenza più segnante sul principio di insindacabilità delle scelte gestionali, il rischio di impresa di fatto viene condizionato e dipende dalla creazione di un sistema organizzativo adeguato, che tuttavia allo stato dell'arte sarà oggetto di interpretazione all'atto pratico, in quanto le scelte di attuazione degli assetti organizzativi adeguati si dovranno rifare ad opzioni che guarderanno al merito gestorio, ma nella piena responsabilità dell'organo amministrativo e questo interesserà soprattutto le PMI, che in Italia rappresentano il tessuto imprenditoriale prevalente. Per conseguenza, viene vanificato l'effetto originario della norma che sarebbe dovuto essere la tutela nei confronti di possibili forme di violazione di un espresso dovere di gestione in mancanza di adeguati assetti organizzativi.

In più c'è da dire che, a fronte della crisi pandemica e delle conseguenze dei provvedimenti restrittivi sanitari per il Covid, non sono stati varati adeguati strumenti di riprogrammazione delle scadenze fiscali e tributarie, se non pillole di proroghe, né interventi più ampi di riadeguamento del sistema sanzionatorio per eventuali tardivi o omessi pagamenti dei debiti tributari. Di conseguenza, a fronte degli invii dei dichiarativi, aumenta il rischio fiscale di impresa, laddove tra l'altro la causa di forza maggiore deve valere come causa esclusiva e non concorrente. Un quadro che previsionalmente andrà ad appesantire la responsabilità fiscale ed il contenzioso tributario, a discapito del contribuente.

Sarebbe auspicabile il riequilibrio del quadro normativo complessivo nella contingenza degli effetti della crisi pandemica.

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*Dottore Commercialista - Revisore Legale
PhD in Scienze Aziendali
Componente del Comitato Scientifico Nazionale Fondazione School University

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