Il segreto professionale nelle verifiche fiscali: la tutela non è allineata ai canoni CEDU
Manca una forma di protezione legale che, come avviene in altri paesi europei, salvaguardi la riservatezza dei dati, notizie e informazioni scambiati tra il contribuente ed il professionista nell’ambito dei poteri investigativi del fisco
Il sistema tributario, pur caratterizzato da una articolata e complessa disciplina dei poteri dell’Amministrazione finanziaria, non sempre garantisce al contribuente una piena ed effettiva tutela dei suoi diritti fondamentali nell’ambito delle attività di controllo, e ciò anche con riguardo alla riservatezza del rapporto fiduciario che intercorre con il professionista incaricato di svolgere le sue difese o altra attività professionale.
Manca difatti una organica disciplina di quello che potrebbe essere definito “tax privilege”, ossia di una forma di protezione legale che, come avviene in altri paesi europei, salvaguardi la riservatezza dei dati, notizie e informazioni scambiati tra il contribuente ed il professionista nell’ambito dei poteri investigativi del fisco.
L’art. 52, co. 3, del DPR 633/72 (richiamato nell’art. 33, co. 1, del DPR 600/73) si limita a prevedere l’obbligo per i verificatori di sospendere le operazioni e richiedere una specifica autorizzazione all’autorità giudiziaria qualora, nel corso dell’attività di controllo presso i locali ove il professionista svolge l’attività professionale, questi opponga il rispetto del segreto professionale all’acquisizione e all’esame di documenti e notizie riguardanti il rapporto con il cliente. Alcuni orientamenti giurisprudenziali hanno delineato la portata delle dette disposizioni chiarendo innanzitutto che il segreto professionale può essere eccepito unicamente dal contribuente la cui attività è oggetto di verifica e che, per la sua qualità professionale, sia tenuto ad osservarlo e dunque dal solo contribuente-professionista (cfr. Cass. 9515/2023).
E’ stato altresì evidenziato che l’imposizione ai verificatori dell’obbligo di richiedere e di ottenere una preventiva e specifica autorizzazione ad esaminare i documenti e/o richiedere le notizie in ordine ai quali il contribuente-professionista abbia eccepito il segreto professionale, costituisce lo strumento di bilanciamento tra i due doveri che incombono sullo stesso, ovverosia tra quello di subire, al pari di qualsiasi contribuente, una verifica fiscale involgente tutti i documenti e le notizie attinenti l’attività da esso svolta rinvenuti nei luoghi destinati all’esercizio dell’attività professionale e il dovere dello stesso di “mantenere il segreto su quanto appreso in ragione del compimento di attività proprie della professione” (cfr. SS.UU 11082/2010).
La Suprema Corte, quanto alla tutela del segreto professionale, si è poi recentemente espressa a favore di un approccio di chiaro segno garantista statuendo che un’autorizzazione generica o antecedente all’opposizione del segreto professionale è invalida, con conseguente inutilizzabilità della prova e nullità dell’accertamento, precisando che detta autorizzazione deve sempre essere specifica, successiva e, soprattutto, adeguatamene motivata attraverso l’esplicitazione dell’avvenuta comparativa valutazione delle contrapposte ragioni offerte dalle parti ovverosia dei “motivi per i quali il contribuente-professionista ha opposto il segreto professionale e delle ragioni che, secondo l’organo verificatore, rendono necessari e/o indispensabili, ai fini della verifica fiscale in atto, l’esame dei documenti e/o l’acquisizione delle notizie ”secretati“” (Cass. 17228/2025).
E dunque, da un lato, la giurisprudenza valorizza il controllo giudiziario a tutela della riservatezza laddove invocata dal professionista, dall’altro, le norme non prevedono alcuna tutela alla medesima riservatezza laddove invocata dal contribuente non professionista, garantendo di fatto una tutela parziale di diritti fondamentali, ivi compreso quello di difesa.
Viceversa, nel Regno Unito, l’istituto del legal professional privilege inibisce l’acquisizione e la visione da parte dell’autorità fiscale di documenti coperti da detto privilegio e ciò anche qualora l’opposizione dello stesso avvenga ad opera del cliente sottoposto a controllo fiscale. La protezione si applica infatti sia ai documenti detenuti dal professionista sia a quelli in possesso del cliente, con la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria e di accedere dunque ad una tutela immediata in caso di violazione delle norme poste a presidio di detto privilegio.
In Francia, il secret professionnel, riconosciuto come strumento essenziale per preservare la fiducia e la lealtà del rapporto professionale, gode di una protezione generale che si estende anche alla materia tributaria. La corrispondenza e i documenti tra avvocato e cliente, comprese e-mail e note, risultano difatti coperti da segreto professionale e l’amministrazione finanziaria può utilizzarli solo con il preventivo consenso del cliente, pena l’invalidità delle conseguenti rettifiche fiscali.
Emerge dunque l’esigenza di un adeguamento della tutela del diritto alla riservatezza e del diritto di difesa del contribuente nell’ambito delle verifiche fiscali anche sulla scia del monito espresso dalla CEDU con la sentenza I. del 6 febbraio 2025 e ciò ancora al fine di eliminare ambiti operativi non presidiati da puntuali regole di legalità e che l’esigenza di efficienza dell’azione ispettiva possa travolgere detti diritti fondamentali.
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*A cura di Beatrice Fimiani (partner) e Lavinia Parma (senior associate) di CMS


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