Civile

Illegale il respingimento collettivo, migranti risarciti con 15mila euro

Illegale il respingimento collettivo verso la Libia, uno Stato che viola i diritti umani. Così ha deciso la prima sezione civile del Tribunale di Roma con la sentenza 28 novembre 2019 n. 22917. E lo Stato dovrà risarcire ciascun migrante respinto ingiustamente con 15mila euro e consentire loro di entrare in Italia per presentare la domanda di riconoscimento della protezione internazionale o della protezione speciale.

I fatti – Il 30 giugno 2009 una nave della marina soccorreva a largo di Lampedusa una nave di migranti con il motore rotto e in balia delle onde. Ottantanove cittadini eritrei venivano soccorsi e portati a bordo della nave Orione dove venivano fotografati, identificati con un numero e rassicurati sul fatto che sarebbero stati portati in Italia. La mattina dopo i migranti si rendono conto che la nave li sta riportando in Libia e protestano chiedendo protezione internazionale perché in Libia erano già stati torturati, incarcerati e perseguitati. Nonostante le proteste i militari italiani hanno trasferito i migranti su una imbarcazione libica. Da questo episodio nasce la richiesta di alcuni cittadini eritrei di avere un risarcimento per i danni subiti e di poter entrare in Italia per chiedere la protezione internazionale. Una richiesta respinta da ministero della Difesa e presidenza del Consiglio dei ministri che si sono difesi sostenendo che la consegna alle autorità libiche era avvenuta «in virtù di quanto previsto dall'art. 1, comma 4, del d.m. 14 luglio 2003 e dal Trattato di Amicizia, partenariato e collaborazione firmato a Bengasi, il 30 agosto 2008, tra l'Italia e la Libia».

La sentenza – Il giudice ricorda che l'articolo 4 del protocollo 4 addizionale alla Cedu dispone il divieto delle espulsioni collettive degli stranieri. La ratio della norma è quella di evitare che gli Stati possano allontanare un certo numero di stranieri senza esaminare la loro situazione personale. Quindi – precisa la sentenza - «si ritiene che laddove le autorità di uno Stato intercettino in alto mare dei migranti sorga in capo alle stesse l'obbligo di esaminare la situazione personale di ciascuno e non attuare il respingimento dei rifugiati verso un territorio in cui la loro vita o la loro libertà sarebbero minacciate». Inoltre all'epoca dei fatti erano già stati diffusi dei rapporti nei quali venivano denunciate e condannate le condizioni detentive dei migranti irregolari in Libia. Quindi le autorità italiane sapevano che la Libia non poteva considerarsi un porto sicuro. E non valgono i protocolli bilaterali firmati con la Libia perché «la loro vigenza non poteva esonare l'Italia dal rispettare gli obblighi assunti per la ratifica di strumenti internazionali».
Alla luce di queste considerazioni il giudice ha ritenuto «che la condotta delle autorità italiane sia posta in essere in contrasto con gli obbligi di diritto interno (di rango costituzionale) e internazionale gravanti sull'Italia e sia conseguentemente connotata dal crisma dell'antigiuridicità, con conseguente illegittimità della condotta contestata». E dall'illegittimità della condotta deriva il diritto al risarcimento del danno quantificato in 15mila euro come già fatto dalla Cedu in un caso analogo. Accolta infine anche la richiesta di poter entrare in Italia per far richiesta di protezione internazionale.

Tribunale di Roma – Sezione I civile – Sentenza 28 novembre 2019 n. 22917

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