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Investimenti esteri diretti: più controlli, armonizzazione e coordinamento nella proposta di un nuovo Regolamento UE

La Commissione europea prova a fare ordine tra i tanti regimi nazionali di controllo preventivo degli investimenti esteri diretti, con una proposta di modifica del regolamento europeo in materia

L’esame da parte dei Governi nazionali degli investimenti stranieri (“FDI” o, in Italia, Golden Power) è diventata una caratteristica strutturale della maggior parte delle operazioni di M&A.

La diffusione di regimi nazionali FDI ha registrato una forte accelerazione a seguito della pandemia e delle recenti tensioni geopolitiche globali. Ad oggi, nella UE, 22 Stati membri hanno adottato un regime FDI e ci si attende che almeno 3 dei rimanenti 5 Stati membri ne adotteranno uno entro la fine dell’anno (Bulgaria, Croazia e Irlanda, mentre a Cipro l’iniziativa legislativa stenta a decollare e in Grecia all’orizzonte non vi sono progetti di questo tipo all’orizzonte).

In questo quadro frammentato di regimi nazionali autonomi, si è affermata la necessità di armonizzazione e coordinamento. Infatti, spesso la medesima operazione di M&A è soggetta all’approvazione in più Stati membri, i quali effettuano le proprie valutazioni ai sensi delle rispettive normative nazionali. Esercizio che, per le imprese interessate, si traduce in una moltiplicazione di attività e rischi, allungamento dei tempi e, non da ultimo, incremento dei costi.

Attualmente, a livello UE, la materia è disciplinata da un Regolamento del 2019 che prevede un coordinamento minimo, obbligando gli Stati membri a informare la Commissione e gli altri Stati membri degli investimenti loro notificati da parte dei soli investitori extra-UE (mentre, in numerosi Stati membri, la normativa nazionale assoggetta a screening anche gli investimenti di soggetti europei, ciò che solleva dubbi di compatibilità con i Trattati, come di recente ha appunto rilevato anche la Corte di Giustizia nel caso Xella). La Commissione e gli Stati membri hanno così la possibilità di formulare domande, osservazioni e pareri, che tuttavia non sono vincolanti.

La recente proposta di Regolamento avanzata dalla Commissione mira a rafforzare il coordinamento esistente e ad ampliare l’armonizzazione tra i regimi nazionali, senza tuttavia stravolgere il modello attuale.

In particolare, si prevede di rendere obbligatoria – e non più facoltativa – l’introduzione di una normativa nazionale in materia. Similmente, si prevede l’obbligo per lo Stato membro in cui avviene l’investimento di informarne la Commissione e gli altri Stati membri qualora l’investitore sia controllato da Governi extra-UE, sia soggetto a sanzioni internazionali, o un suo investimento sia stato in passato oggetto di veto.

Inoltre, si propone di estendere il controllo anche agli investimenti effettuati da soggetti extra-UE attraverso società controllate stabilite in UE (una novità, anche alla luce della recente giurisprudenza della Corte di Giustizia, sempre nel citato caso Xella).

In ottica di rafforzamento del meccanismo di cooperazione, si introduce una logica di comply or explain rispetto alle osservazioni eventualmente ricevute dalla Commissione o dagli altri Stati membri. Si tratta di una novità importante in quanto, pur restando immutata la competenza nazionale esclusiva a esaminare l’investimento, la discrezionalità dei Governi nazionali è assoggettata a vincoli procedurali che escludono di poter semplicemente ignorare tali osservazioni.

In caso di operazioni che riguardino più Paesi, gli investitori dovranno effettuare tutte le notifiche nello stesso giorno, così da consentire un allineamento delle tempistiche nell’ambito del procedimento di cooperazione. In tal modo, si accorcerebbe il termine per effettuare la notifica in tutte le giurisdizioni interessate in coincidenza con quello più breve.

Da ultimo, ma non per importanza, si prevede la possibilità per i Governi nazionali o la Commissione di avviare procedimenti d’ufficio entro 15 mesi dal perfezionamento di un investimento estero non notificato, qualora vi siano ragioni per ritenere che questo possa incidere negativamente sulla sicurezza nazionale o l’ordine pubblico. Questa possibilità potrebbe indurre gli investitori, soprattutto in relazione a investimenti in settori più sensibili, a effettuare notifiche in via precauzionale, con conseguente aggravio del carico di lavoro dei Governi nazionali, dato che in molti Paesi è già prassi consolidata effettuare notifiche a titolo precauzionale (in Italia, in oltre la metà dei casi).

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*A cura degli Avv.ti Francesco Iodice ed Elio Maciariello - Studio Cleary Gottlieb

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