Penale

L'illegittimità della perquisizione non si riverbera sugli esiti probatori

Francesco Machina Grifeo

L'illegittimità della perquisizione non ha come conseguenza l'inutilizzabilità a fini probatori del sequestro del corpo del reato che resta un atto dovuto. La Consulta, sentenza n. 219 di oggi, ha dichiarato inammissibile in quanto avrebbe richiesto un intervento additivo e manipolativo del codice di procedura penale, la questione di costituzionalità proposta dal Gup di Lecce in relazione alla utilizzabilità della prova raggiunta in modo non corretto.
A seguito di una perquisizione personale eseguita dai Carabinieri nei confronti dell'imputato per asseriti «atteggiamenti sospetti», gli erano stati trovati in tasca tre involucri di sostanza stupefacente. A questo punto i militari avevano esteso la perquisizione all'abitazione, dove avevano rinvenuto il resto della droga sottoposta a sequestro.

Così stando le cose, secondo il giudice rimettente si sarebbe dovuta desumere l'automatica "inutilizzabilità" degli atti di sequestro, attraverso il "trasferimento" su di essi dei "vizi" relativi agli atti di perquisizione personale e domiciliare dai quali i sequestri sono scaturiti.

Per la Consulta, la tesi secondo la quale la illegittimità della perquisizione dovrebbe condurre - come soluzione costituzionalmente imposta - alla "inutilizzabilità" del sequestro del corpo del reato, «secondo la nota teoria dei "frutti dell'albero avvelenato", rinverrebbe la propria ragion d'essere nella circostanza che l'art. 191 c.p.p. svolgerebbe una funzione di tipo "politico costituzionale", disincentivando le violazioni finalizzate all'acquisizione della prova». In tal modo però osserva la Consulta si «finisce ineluttabilmente per coinvolgere scelte di "politica processuale" che la stessa Costituzione riserva al legislatore». Il giudice del rinvio cioè si pone un obiettivo ben specifico: «disincentivare gli abusi (o quelli che lui ipotizza esser tali) rendendo gli abusi stessi "non paganti" sul piano processuale, attraverso un passaggio che estende ad un atto in sé valido (il sequestro) la illegittimità (e inutilizzabilità) di quello che ne costituisce la occasio (la perquisizione ed ispezione)».

La questione sollevata nell'ordinanza di rimessione, infatti, è proprio la seguente: va dichiarata l'illegittimità dell'articolo 191 del Cpp «nella parte in cui non prevede che la sanzione dell'inutilizzabilità ai fini della prova riguardi anche gli esiti probatori, ivi compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla p.g. fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge o comunque non convalidati dall'A.G. con provvedimento motivato, nonché la deposizione testimoniale in ordine a tali attività».
La richiesta di «addizione», dunque, argomenta la Consulta, «non soltanto mira ad introdurre un nuovo caso di inutilizzabilità di ciò che l'ordinamento prescrive come attività obbligatoria (il sequestro del corpo del reato), ma si propone altresì di introdurre, ex novo, uno specifico divieto probatorio, sancendo la inutilizzabilità delle dichiarazioni a tal proposito rese dalla polizia giudiziaria» Va da sé, conclude la Corte, che se è vero che le regole che stabiliscono divieti probatori riposano sulla esigenza di introdurre misure volte anche a disincentivare possibili "abusi", «è altrettanto vero che un simile obiettivo viene in ogni modo perseguito dall'ordinamento attraverso la persecuzione diretta, in sede disciplinare o, se del caso, anche penale, della condotta "abusiva" che possa essere stata posta in essere dalla polizia giudiziaria».

Corte costituzionale – Sentenza 3 ottobre 2019 n. 219

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