La filiera della moda tra eccellenza e sfruttamento: strumenti di tutela e prospettive di riforma
Gli orientamenti dei Tribunali dimostrano una progressiva espansione della responsabilità, civile e penale, delle imprese committenti, in linea con gli orientamenti europei. Le proposte di riforma della dottrina
Il settore della moda, da sempre emblema del Made in Italy e leva strategica dell’economia nazionale, costituisce uno dei pilastri dell’economia italiana e fattore di riconoscimento a livello globale. Tuttavia, a fianco della creatività e dell’innovazione, sono spesso emersi fenomeni di sfruttamento lavorativo che minano la sostenibilità del comparto, soprattutto nelle fasi di subfornitura.
Sono stati, infatti, non di rado invero riscontrati sistemi produttivi piramidali in cui i marchi (anche di lusso) trasferiscono il rischio economico sugli ultimi anelli della catena, alimentando dinamiche di dumping sociale e vulnerazione dei diritti dei lavoratori.
La tutela del lavoro nel settore moda si colloca all’intersezione tra diritto nazionale, diritto europeo e standard internazionali.
Il tema della responsabilità lungo le catene di approvvigionamento è oggi al centro del diritto europeo e già oggetto di interventi in diversi stati Europei
- Unione Europea: la prossima entrata in vigore della Direttiva sulla due diligence di sostenibilità aziendale (CSDDD), imporrà ai grandi gruppi di monitorare sistematicamente le condizioni di lavoro e il rispetto dei diritti fondamentali da parte dei fornitori e dei subfornitori;
- la Loi de vigilance francese (2017) e il Lieferkettengesetz tedesco (2021) rappresentano esempi concreti di obblighi di vigilanza estesi alla catena di fornitura.
Meritano menzione, altresì
- le Convenzioni OIL n. 29 (1930) e n. 105 (1957) sul lavoro forzato, le n. 87 (1948) e n. 98 (1949) su libertà sindacale e contrattazione, e la n. 155 (1981) in tema di sicurezza sul lavoro, peraltro già ratificate dall’Italia;
- i Principi Guida su imprese e diritti umani (2011) dell’ONU che hanno introdotto il paradigma Protect, Respect, Remedy, imponendo agli Stati doveri di protezione e alle imprese obblighi di rispetto.
In tale contesto abbiamo recentemente assistito a diversi interventi istituzionali e iniziative che si sono sviluppati in tre direzioni principali:
- 1. Certificazione della filiera: il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha annunciato l’avvio di un meccanismo di attestazione della regolarità contrattuale e contributiva dei fornitori del settore moda. Tale strumento, ispirato a esperienze analoghe in ambito alimentare e ambientale, mira a conferire un marchio di affidabilità alle imprese che dimostrino il rispetto della normativa giuslavoristica e di sicurezza;
- 2. Protocollo di Milano: sul piano locale, la Prefettura di Milano ha promosso un protocollo d’intesa tra istituzioni, associazioni di categoria e brand, finalizzato alla creazione di una white list di operatori affidabili e “virtuosi”. Le imprese inserite nell’elenco dovrebbero costituire la base prioritaria di selezione per i committenti;
- 3. Rafforzamento dei controlli: l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha intensificato le verifiche nei distretti tessili e calzaturieri, applicando il d.lgs. 81/2008 (tutela della salute e sicurezza) e il d.lgs. 276/2003 (disciplina degli appalti e responsabilità solidale).
Dottrina e giurisprudenza hanno offerto importanti contributi e chiarimenti
- In giurisprudenza rilevanti appaiono:
- diverse decisioni, sia di legittimità che di merito (cfr tra le altre Cassazione Penale, Sez. 4, 22 giugno 2021 n. 24441 e n. 24388 del 24 giugno 2022 nonché Tribunale di Milano — 3 aprile 2024), che hanno riconosciuto l’applicabilità del reato di caporalato (art. 603-bis c.p.) anche a contesti urbani e manifatturieri;
- le numerose sentenze anche di Cassazione, Sezione lavoro, che hanno confermato la responsabilità solidale del committente nei confronti dei lavoratori impiegati da subappaltatori;
- l’orientamento del Tribunale di Milano che, in diverse decisioni, soprattutto del 2024 (cfr provvedimenti 6 giugno 2024, 3 aprile 2024 e 15 gennaio 2024), ha censurato, sotto il profilo della “agevolazione colposa”, ai fini della applicazione della misura dell’amministrazione giudiziaria ex art. 34 D.Lvo 159/2011, la condotta di imprese dell’alta moda per carenza della verifica della catena produttiva
atteso che dimostrano una progressiva espansione della responsabilità, civile e penale, delle imprese committenti, in linea con gli orientamenti europei
- mentre le proposte di riforma avanzate in dottrina comprendono
1. l’estensione della responsabilità solidale lungo l’intera filiera (art. 29, d.lgs. 276/2003);
2. obblighi di tracciabilità digitale, tramite piattaforme pubbliche;
3. incentivi fiscali per imprese virtuose e sanzioni effettive per condotte elusive;
4. estensione erga omnes dei contratti collettivi nazionali di settore.
Nonostante i progressi, l’approccio istituzionale e le iniziative locali di cui si è detto, sicuramente d’interesse, permangono criticità strutturali quali:
- la frammentazione delle catene di subappalto;
- la prevalenza di strumenti volontari, con rischio di social washing;
- la debolezza contrattuale delle microimprese subfornitrici.
Per garantire che il Made in Italy rimanga sinonimo non solo di creatività e qualità ma anche di legalità e dignità sociale, occorrerà trasformare gli attuali strumenti di soft law in obblighi giuridici vincolanti, capaci di incidere concretamente sulle condizioni lavorative lungo l’intera filiera, in linea con gli impegni assunti in sede OIL e ONU e con le imminenti direttive europee.
Solo così il Made in Italy potrà preservare il proprio prestigio internazionale.
_______
*Giovanna Ventura, Partner di BSVA Studio Legale