La giurisdizione sulla rete: porte aperte a un potenziale conflitto di poteri a livello planetario?
La prima storica decisione che ha portato alla ribalta dell'opinione pubblica il tema dell'extraterritorialità delle sentenze relative agli illeciti commessi sul Web, risale al 15 luglio 1998 quando il Tribunale di Monaco di Baviera inflisse una pena di due anni (poi sospesa) all'amministratore della Compuserve, Felix Bruno Somm, il quale non avrebbe impedito la pubblicazione sui bulletin board ospitati sul sito di tale impresa alcune immagini pedopornografiche caricate dagli utenti. Gli effetti di tale decisione colpivano sia un soggetto residente in Germania, sia un'impresa con sede negli USA, costretta poi a rimuovere i contenuti illeciti.
Ulteriori sentenze di simile tenore hanno riguardato atti di antisemitismo compiuti attraverso la rete su server installati oltre Oceano, interessando imprese come Yahoo!, condannata con più provvedimenti del Tribunale di Parigi a rimuovere i contenuti offensivi della stirpe ebraica. In tale contesto, fortemente influenzato dal differente impatto delle norme applicabili in materia di libertà di pensiero, in base al Primo Emendamento negli Stati Uniti e sulla scorta della CEDU, in Europa, si pongono numerose questioni riguardanti l'estensione territoriale degli ordini giudiziali che coinvolgono soggetti non residenti nello Stato in cui essi vengono emessi e, talvolta, come nel nostro caso, imprese che non sono state parti delle controversie da cui l'imperativo giudiziale ha avuto origine.
Ci riferiamo, specificamente, alla sentenza della Corte Suprema del Canada emessa il 28 giugno 2017 che, non senza scalpore e in presenza di opinioni discordi in seno al Collegio giudicante, ha riguardato una causa di contraffazione e di violazione del segreto industriale fra imprese, coinvolgendo anche le società del gruppo Google e altri stakeholder intervenuti nel giudizio, alcuni a sostegno delle tesi liberiste promosse dal motore di ricerca, altri, favorevoli alla responsabilizzazione sul piano extracontrattuale della società californiana nella deindicizzazione delle informazioni relative all'impresa contraffattrice oggetto dell'azione legale, la Datalink. I fatti, complessi e articolati, si possono così riassumere: la parte attrice e danneggiata, la Equustek aveva ottenuto diversi provvedimenti cautelari dalle Corti canadesi nei confronti della Datalink la quale si sarebbe, fra l'altro, appropriata della tecnologia dei prodotti della prima. Dopo averli servilmente copiati, quella li avrebbe posti in commercio attraverso alcuni siti web da essa stessa amministrati, ledendo fortemente gli interessi della titolare dei diritti, il crollo delle cui vendite sarebbe stato conseguenza degli illeciti della controparte. Per impedire che Datalink proseguisse con tale attività abusva, la compagnia canadese ha ottenuto una misura interinale con cui il giudice ha ordinato la cessazione delle attività commerciali e il sequestro dei beni della Datalink, la quale – nel frattempo – dal Canada si era trasferita in località ignota e non raggiungibile neppure dagli ordini di cattura emessi nei confronti del suo titolare.
Inoltre, Equustek ha chiesto e ottenuto che il giudice ordinasse a Google di disabilitare l'accesso alle pagine web della controparte al fine di impedire la commercializzazione dei prodotti contraffattivi della concorrente, la quale dopo il trasferimento all'estero, aveva trovato acquirenti in paesi diversi da quello in cui aveva inizialmente operato, il Canada. Da parte propria, Google aveva ottemperato a tale comando del giudice, ma lo aveva fatto limitatamente ai siti web raggiungibili attraverso il motore di ricerca basato in Canada, con esclusione invece dei risultati delle ricerche poste in essere con quello situato in California (Google.com). La Corte Suprema canadese nel censurare il comportamento dei manager di Mountain View, ha considerato che Google, così facendo, non avrebbe garantito la corretta applicazione degli ordini del giudice ottenuti da Equustek, in quanto quella, oltre a trarre profitto dalla vendita della pubblicità collocata sulle pagine raggiunte dalla search engine, e in ragione del fatto che il motore di ricerca di Google è utilizzato dalla maggiore parte degli utenti, i clienti di Datalink avrebbero potuto in tal modo raggiungere i numerosi siti web creati da tale impresa, al di fuori del Paese nordamericano. Nel proprio ragionamento, la Corte ha soggiunto che, per quanto si possa eccepire che gli effetti degli ordini giudiziali debordino l'ambito territoriale dello Stato che li ha emessi, non può porsi in discussione il potere del giudice di emettere ordini di tale portata. In questa stessa direzione, ha rimarcato la Suprema Corte, militano numerose decisioni, sia interne che internazionali, inclusa la nota sentenza in tema di diritto all'oblio resa dalla Corte di Giustizia nel caso Google / Costeja (C-131/12). Se questa dunque è la situazione, appare quanto mai urgente che gli Stati provvedano a trovare intese capaci di limitare il potenziale effetto dirompente di decisioni la cui valenza ultraterritoriale possa vanificare principi di legge fortemente radicati nei territori cui esse sono dirette.
* C-Lex Studio Legale