Penale

La responsabilità degli enti si allarga al traffico di influenze illecite

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di Andrea Fedi


La recente legge 9 gennaio 2019 n. 3 ha riformulato le fattispecie del millantato credito (ex articolo 346 del codice penale – ora abrogato) e del traffico d'influenze illecite (articolo 346 bis Cp, profondamente modificato). Il nuovo articolo 346 bis Cp, così come profondamente riscritto, merita grande attenzione, anche (ma non solo) perché la legge 3/2019 inserisce tale fattispecie penale nell’ormai sconfinato catalogo dei reati 231 suscettibili d’innescare la responsabilità di società, persone giuridiche e associazioni per reati commessi da loro amministratori, rappresentanti, manager, dipendenti e altri subordinati.

Vale la pena, dunque, scomporre la nuova norma nei suoi elementi essenziali e tentarne una prima lettura che ne evidenzi le implicazioni. I soggetti passivi del divieto sono sia l’illecito mediatore, sia chi abbia indebitamente pagato o promesso di pagare, purché non si sia giunti per qualche ragione a un vero e proprio “concorso in corruzione”, nel quale ultimo caso di applicheranno le norme sulla corruzione vera e propria.

L’illecito mediatore
Quanto all’illecito mediatore, viene punito chiunque, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite, abbia fatto dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, o come prezzo della propria mediazione illecita, ovvero per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio (o membri delle Corti internazionali o delle Comunità europee, o di assemblee parlamentari o di organizzazioni internazionali, o funzionari delle Comunità europee o di Stati esteri) in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri.
•Dunque, la fattispecie copre sia il millantatore (vanteria su relazioni asserite ma inesistenti) sia chi abbia sfruttato vere e proprie relazioni con il pubblico funzionario.
•La condotta illecita, dal canto suo, si perfeziona sia con il “dare”, sia con il semplice “promettere”, purché dazione o promessa siano “indebite”.
•L’oggetto della dazione o promessa può essere tanto denaro, quanto altra utilità (un gioiello, ma anche l'assunzione di un parente).
•Il beneficiario può essere lo stesso illecito mediatore, il pubblico funzionario, ma anche altri (ad esempio, un coniuge o un amico, dell’uno o degli altri).
•E tale dazione o promessa può sia compensare l’illecita mediazione, o remunerare l’atto compiuto da pubblico funzionario: tanto nel caso in cui tale atto sia contrario ai doveri d’ufficio, quanto nel caso rientri nell'esercizio della funzione (ad esempio, promessa di pagamento al fine di accelerare il rilascio di un permesso cui si ha diritto).
•La stessa pena si applica al pagatore o all’offerente, sempre a condizione, però, che dazione o promessa siano “indebite”.

Lo scopo della norma
Non v'è dubbio che lo scopo della norma sia d’anticipare la tutela del bene pubblico e reprimere condotte preparatorie e funzionali alla corruzione.
Da un punto di vista 231, un modello di organizzazione e gestione ben fatto (anche se elaborato prima della novella) dovrebbe essere già essere in grado d'intercettare molte delle condotte ora espressamente punite, ad esempio prevedendo il pagamento solo di fatture per operazioni esistenti, la selezione dei professionisti e consulenti che operano per la persona giuridica, l’assunzione di personale solo per motivate esigenze e a seguito d’idonea selezione, limitazioni nell’erogazione di omaggi e regalie, procedure per le sponsorizzazioni.
Tuttavia la norma apporta alcune novità degne di rilievo, specie nel campo del lobbying, tenuto conto che la nuova fattispecie criminosa punisce chi da o promette denaro o altre utilità anche al pubblico funzionario che esercita le proprie funzioni e poteri.
Potrebbe dunque rimanere il dubbio se e in che misura il lavoro del lobbista possa in qualche modo innescare la fattispecie. E potrebbe altresì opinarsi che il lobbista (che agisce per conto e nell’interesse della persona giuridica) almeno in alcuni casi possa ricadere tra i subordinati della persona giuridica (nel senso esageratamente ampio che parte della giurisprudenza 231 dà questo termine).
Il discrimen sembra risiedere nell’avverbio (“indebitamente”) che deve qualificare l’attività del mediatore. In tal senso, un'interpretazione ragionevole dovrebbe essere quella secondo la quale l'indebito non scatta ogni qual volta l’“altra utilità” non è prevista come dovuta da una norma, ma solo quando quantitativamente e qualitativamente sia in grado di perturbare l’imparzialità del pubblico funzionario.

Codice penale, articolo 346 bis

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