Civile

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 28 marzo e il primo aprile 2022

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 28 marzo e il primo aprile 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello trattano i temi dell'incapacità di disporre per testamento, dell'assegnazione della casa familiare nella fase patologia del matrimonio, degli illeciti endofamiliari, dell'assicurazione contro i danni e, infine, della responsabilità da circolazione stradale (investimento di un pedone).
Da parte loro i Tribunali si pronunciano in materia di usura, di tabelle millesimali, di inadempimento del contratto di locazione al tempo della pandemia, di responsabilità civile della Pa, e, infine, di stampa.


TESTAMENTO
Testamento – Casi di incapacità – Onere della prova (Codice civile, articolo 591)
La Corte d'Appello di Torino si sofferma sul contenuto, e sui limiti, della nozione di "incapacità di intendere e di volere" tale da determinare l'incapacità di testare ex articolo 591, II, n. 3, c.c.. Tale nozione implica di accertare che il testatore versasse in condizioni intellettive tali da dover far escludere la permanenza di qualsiasi facoltà di discernimento o della possibilità di potersi determinare liberamente e autonomamente nelle proprie scelte.
In tale prospettiva, osserva ancora l'adita Corte, non ogni anomalia o alterazione delle facoltà intellettuali implica incapacità di testare, occorrendo, a tale effetto, che l'anomalia incida totalmente sulla coscienza dei propri atti ovvero di quell'attitudine ad autodeterminarsi. Si richiede cioè che, a causa di una infermità, il soggetto, al momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi. La prova dell'incapacità può essere data con ogni mezzo: presunzioni, prova testimoniale, analisi della scheda testamentaria, documenti e consulenza tecnica.
Si tratta di elementi che devono essere interpretati unitariamente e non separatamente, al fine di verificare se il testatore versi in uno stato di incapacità permanente o temporanea.
La distinzione è rilevante, in quanto, in caso di infermità tipica, permanente ed abituale l'incapacità si presume e la prova che il testamento sia stato redatto in un momento di lucido intervallo spetta a chi afferma la validità del testamento; nel caso di infermità intermittente o ricorrente, poichè si alternano periodi di capacità a periodi di incapacità non sussiste la presunzione di incapacità e la prova dell'incapacità deve essere data da chi impugna il testamento. Ai fini del giudizio sulla capacità naturale del testatore, il Giudice di merito, in particolare, non può ignorare il contenuto dell'atto di ultima volontà e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serietà, normalità e coerenza dalle disposizioni nonchè ai sentimenti ed ai fini che risultano averle ispirate.
Corte d'Appello di Torino, sezione II, sentenza 28 marzo 2022, n. 340

SEPARAZIONE DEI CONIUGI
Separazione dei coniugi – Casa familiare - Assegnazione (Codice civile, articolo 337 sexies)
La Corte d'Appello di Palermo tratta del godimento della casa familiare nella fase patologica del rapporto coniugale evidenziando come l'articolo 337 sexies c.c., nello stabilire che "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli", non determini espressamente le caratteristiche identificative di questa peculiare destinazione, di modo che può essere problematica la qualificazione giuridica di un immobile come abitazione familiare in tutte le ipotesi in cui non risulti in modo inequivoco che la situazione preesistente al conflitto giudiziale sia caratterizzata da una stabile e continuativa utilizzazione dello stesso come abitazione del nucleo familiare, composto da genitori e figli minori.
A tal fine occorre verificare - avendo riguardo alla destinazione impressa non solo in astratto ma anche in concreto, attraverso la convivenza - se, prima del conflitto familiare, vi fosse una stabile e continuativa utilizzazione dell'abitazione da parte del nucleo costituito da genitori e figli e sia così possibile ritenere che l'unità abitativa costituisse a quell'epoca il centro di aggregazione della famiglia, cioè il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola il nucleo familiare.
Il godimento della casa familiare è attribuito - secondo la richiamata disposizione codicistica - tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli e, dunque, dell'esigenza, che ne costituisce l'unica ragione, di conservare alla prole di genitori che hanno interrotto la loro convivenza l'habitat domestico, da intendersi nei termini appena descritti.
Al fine di provvedere all'assegnazione della casa familiare il Giudice del merito deve perciò valutare l'esistenza di uno stabile legame fra il minore e l'immobile già adibito a casa familiare, verificando, in caso di allontanamento e in considerazione del tempo trascorso, la persistenza di tale legame tra il minore e l'abitazione.
In altre parole il godimento della casa familiare a seguito della separazione dei genitori, anche se non uniti in matrimonio, ai sensi dell'articolo 337 sexies c.c. è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli, occorrendo soddisfare l'esigenza di assicurare loro la conservazione dell'habitat domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, e la casa può perciò essere assegnata al genitore, collocatario del minore, che pur se ne sia allontanato prima della introduzione del giudizio.
Corte d'Appello di Palermo, sezione I, sentenza 29 marzo 2022, n. 535

ILLECITO ENDOFAMILIARE
Illecito endofamiliare – Matrimonio – Obbligo di fedeltà – Violazione - Danni (Codice civile, articolo 2 059)
La Corte d'appello di Perugia tratta, nella sentenza qui in esame, il delicato tema dell'illecito endofamiliare. così sottolineando che, nell'ambito del rapporto matrimoniale tra i coniugi, opera il principio dell'autonoma risarcibilità del danno da violazione dell'obbligo di fedeltà.
Precisamente, il comportamento del coniuge che violi i doveri derivanti dal matrimonio è configurabile come illecito civile, e dà luogo al risarcimento del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.), laddove si accerti la lesione, in conseguenza di detta violazione, di un diritto costituzionalmente protetto, e si dia prova del nesso di causalità fra la violazione e il danno. Con la precisazione secondo cui, da un lato, la relativa azione di risarcimento è del tutto autonoma rispetto alla domanda di separazione e di addebito, ed esperibile a prescindere da dette domande, e, dall'altro lato, ai fini dell'astratta configurabilità della responsabilità risarcitoria in capo al coniuge per la violazione dei doveri derivanti dal matrimonio, non vengono in rilievo comportamenti di minima efficacia lesiva, ma unicamente quelle condotte che per la loro intrinseca gravità si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona.
Deve pertanto escludersi che la mera violazione dei doveri matrimoniali, o anche la pronuncia di addebito della separazione, possano di per sé ed automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, così come deve affermarsi la necessità che sia accertato in giudizio il danno patrimoniale e non patrimoniale subito per effetto della lesione, nonché il nesso eziologico tra il fatto aggressivo e il danno.
D'altronde, il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa ma deve essere debitamente allegato e provato da chi lo invoca.
Nell'ambito del rapporto trai coniugi, pertanto, la violazione del dovere di fedeltà, sebbene possa indubbiamente essere causa di un dispiacere per l'altro coniuge, e possa provocare la disgregazione del nucleo familiare, non automaticamente è risarcibile, ma in quanto l'afflizione superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca nell'altro coniuge, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, primi tra tutti il diritto alla salute o alla dignità personale e all'onore.
Corte d'Appello di Perugia, sentenza 29 marzo 2022, n. 156

ASSICURAZIONE CONTRO I DANNI
Assicurazione contro i danni - Obbligo di avviso di sinistro – Violazione – Conseguenze (Codice civile, articoli 1913, 1915)
Adita in tema di assicurazione contro i danni la Corte d'Appello di Cagliari sottolinea come l'inosservanza, da parte dell'assicurato, dell'obbligo di dare avviso del sinistro, secondo le specifiche modalità ed i tempi previsti dall'articolo 1913 c.c., ed eventualmente dalla polizza, non può implicare, di per sé, la perdita della garanzia assicurativa, occorrendo a tal fine accertare se detta inosservanza abbia carattere doloso o colposo, dato che, nella seconda ipotesi, il diritto all'indennità non viene meno, ma si riduce in ragione del pregiudizio sofferto e provato dall'assicuratore, ai sensi dell'articolo 1915, II, c.c..
In particolare, l'onere di provare la natura, dolosa o colposa dell'inadempimento spetta all'assicuratore: nel caso previsto dall'articolo 1915, I, c.c., l'assicuratore dovrà provare il fine fraudolento dell'assicurato; in quello regolato dall'articolo 1915, II, dovrà invece dimostrare che l'assicurato volontariamente non abbia adempiuto all'obbligo di dare l'avviso, nonché la misura del pregiudizio sofferto.
Ne consegue che per l'assicuratore, ai fini di far dichiarare la perdita del diritto all'indennità o la sua riduzione, per violazione dolosa o colposa dell'obbligo di tempestivo avviso di sinistro, non è sufficiente invocare tale violazione, ma è doveroso fornire la prova dell'effettivo pregiudizio ricevuto.
Corte d'Appello di Cagliari, sentenza 30 marzo 2022, n. 161

CIRCOLAZIONE STRADALE
Circolazione stradale – Investimento di un pedone – Responsabilità (Codice civile, articoli 1227, 2054)
Nell'affrontare il tema della responsabilità civile da circolazione stradale sottolinea la Corte d'Appello di Messina come, in ipotesi di investimento di un pedone, non opera la presunzione di cui all'articolo 2054, II, c.c. bensì quella di cui al primo comma della medesima disposizione codicistica.
In tale contesto normativo l'anomalia della condotta del pedone che, in caso di investimento al di fuori delle strisce di attraversamento, consente di ritenere superata la presunzione di responsabilità esclusiva del conducente prevista "iuris tantum" dal citato primo comma, non coincide con la mera inosservanza dell'obbligo di dare la precedenza ai veicoli in transito, ma esige la dimostrazione che egli, violando le regole del Codice della Strada, si sia portato imprevedibilmente dinanzi alla traiettoria di marcia del veicolo investitore.
L'accertamento del comportamento colposo del pedone investito da veicolo non è dunque sufficiente per l'affermazione della sua esclusiva responsabilità, essendo pur sempre necessario che l'investitore vinca la richiamata presunzione di colpa posta a suo carico dimostrando di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Con la precisazione che la detta presunzione di colpa non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana, e dunque non preclude, anche nel caso in cui il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione, l'indagine sull'imprudenza e pericolosità della condotta del pedone investito, che va apprezzata al fine del concorso di colpa ai sensi dell'articolo 1227, I, c.c..
Corte d'Appello di Messina, sezione II, sentenza 31 marzo 2022, n. 197

USURA
Usura – Disciplina civilistica – Sanzioni (Codice civile, articolo 1815; codice penale, articolo 644; legge 7 marzo 1996, n. 108)
Secondo quanto afferma in sentenza il Tribunale di Bari l'usura (di là dal suo rilievo penale ex articolo 644 c.p. ed ex leggen. 108/1996), da un punto di vista civilistico, trova il suo referente normativo nell'articolo 1815 c.c. che sanziona la pattuizione di interessi usurari con l'eliminazione degli interessi applicati; con la precisazione secondo cui tutti gli interessi, siano essi corrispettivi o moratori, sono assoggettabili alla disciplina dell'usura.
Gli interessi corrispettivi e moratori, peraltro, non possono essere cumulati tra loro nel conteggio, operando l'uno in sostituzione dell'altro.
Infatti, gli interessi corrispettivi costituiscono la controprestazione del mutuante per il godimento diretto di una somma di denaro, gli interessi moratori hanno, invece, natura di clausola penale, costituendo una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento: si tratta di unità eterogenee tra loro alternative e di conseguenza non cumulabili.
Il tasso di mora, infatti, ha un'autonoma funzione risarcitoria per il fatto, solo eventuale e imputabile al mutuatario, del mancato o del ritardato pagamento e la sua incidenza va rapportata al protrarsi ed alla gravità della inadempienza, del tutto diversa dalla funzione di remunerazione propria degli interessi corrispettivi.
Per procedere alla corretta verifica del tasso applicato, è necessario individuare il cosiddetto TEG (Tasso Effettivo Globale) rispetto al tasso-soglia, nel cui computo devono considerarsi gli interessi corrispettivi, gli interessi moratori, i costi accessori, ovvero tutte le spese connesse al finanziamento.
La disciplina antiusura si applica anche agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso.
Tribunale di Bari, sezione IV, sentenza 29 marzo 2022, n. 1153

CONDOMINIO
Condominio - Tabelle millesimali - Revisione e modificazione
(Codice civile, articoli 1118, 1123, 1428; disp. att. c.c., articoli 68, 69)
Afferma in sentenza il Tribunale di Palermo come la mancata approvazione delle tabelle millesimali e del regolamento condominiale non produca l'annullabilità delle deliberazioni del consesso assembleare qualora i condomini abbiano adottato un criterio di riparto alternativo rispondente comunque al principio sotteso alla disposizione ex articolo 1123, I, c.c. (secondo cui le spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza devono essere sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno).
In tema di condominio, invero, è consolidato il principio di diritto secondo cui le tabelle millesimali possono esistere (o non esistere) indipendentemente dal regolamento condominiale, la loro allegazione rappresentando un fatto meramente formale che non muta la natura di entrambi gli atti.
Il criterio per determinare le singole quote, infatti, preesiste ed è indipendente dalla formazione della tabella millesimale, derivando dal rapporto tra il valore della proprietà singola e quello dell'intero edificio.
L'unità sistematica tra l'articoloo 1118 c.c. e l'articolo 1123, I, c.c. non impedisce, trattandosi di norme derogabili, che siano convenzionalmente previste discipline diverse e, nel dettaglio, criteri di imputazione delle spese su base diversa da quella millesimale e criteri di imputazione che si fondino su meccanismi diversi da quelli indicati dal Legislatore.
E così, in tema di revisione e modificazione delle tabelle millesimali, qualora i condomini, nell'esercizio della loro autonomia, abbiano espressamente dichiarato di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto negli articoli 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., dando vita alla "diversa convenzione" di cui all'articolo 1123, I, ultima parte, c.c., la dichiarazione di accettazione ha valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell'articolo 69 disp. att. c.c., che attribuisce rilievo esclusivamente alla obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari dell'edificio ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle.
Ove, invece, tramite l'approvazione della tabella, anche in forma contrattuale (mediante la sua predisposizione da parte dell'unico originario proprietario e l'accettazione degli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante l'accordo unanime di tutti i condomini), i condomini stessi intendano non già modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, bensì determinare quantitativamente siffatta portata, la semplice dichiarazione di approvazione non riveste natura negoziale, con la conseguenza che l'errore il quale, in forza dell'articolo 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l'errore vizio del consenso, di cui agli articoli 1428 e ss. c.c., ma consiste, per l'appunto, nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito.
Tribunale di Palermo, sezione II, sentenza 29 marzo 2022, n. 1336

CONTRATTO DI LOCAZIONE
Contratto di locazione – Canone – Inadempimento - Pandemia da Covid19 - Rilevanza
(Codice civile, articolo 1544; legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 5)
Il Tribunale di Bologna si sofferma nell'analisi della rilevanza giuridica della pandemia da Covid-19 nell'ambito dei rapporti sinallagmatici.
Si muove dalla premessa secondo cui, una volta escluso che la pandemia comporti l'estinzione dell'obbligazione, si è ipotizzato che essa possa rilevare nei contratti sinallagmatici al fine di una valutazione ai sensi dell'articolo 1455 c.c., nonché per escludere il corso degli interessi, o ancora per il venire meno dell'oggetto (in casi particolari), ovvero per il rifiuto di una rinegoziazione.
Soffermandosi con riferimento al profilo della risoluzione, avuto particolare riguardo al contratto di locazione, sottolinea il Tribunale come il Legislatore abbia privato il Giudice della discrezionalità di cui all'articolo 1455 c.c., al fine di valutare la non scarsa importanza dell'inadempimento del conduttore nel corrispondere il canone, in quanto l'articolo 5 Legge sull'equo canone (n. 392 del 1978) prevede la regola delle due mensilità.
Orbene, in ragione della pandemia, si sottolinea in sentenza, tale criterio non è adottabile nella sua meccanicità e, per il periodo pandemico, di conseguenza, la valutazione dell'inadempimento che dà luogo alla risoluzione deve essere ricondotta alla discrezionalità dell'articolo 1455 c.c.; all'interno della valutazione dell'inadempimento di non scarsa importanza andrà anche considerato il periodo pandemico.
Allo stesso tempo precisa il Giudice come la pandemia da Covid-9 abbia rappresentato una perdita per tutto il sistema produttivo e come tale perdita non possa scaricarsi (per intero o in prevalenza) sulla proprietà altrimenti la parte conduttrice finirebbe per far gravare sulla parte proprietaria tutto o gran parte del carico della perdita.
Tribunale di Bologna, sezione II, sentenza 30 marzo 2022 n. 780

RESPONSABILITÀ CIVILE DELLA PA
Responsabilità civile della Pa – Beni demaniali – Custodia
(Codice civile, articolo 2051)
Il Tribunale di Napoli si sofferma sul corretto inquadramento della responsabilità che sorge in capo alla Pa (nella specie, un Comune) per le lesioni personali riportate da una persona per effetto di una caduta causata da una non corretta manutenzione del marciapiedi di una pubblica strada.
Secondo il Tribunale la figura di responsabilità ex articolo 2051 c.c. trova la sua ratio applicativa nello stesso presupposto qualificante ed indefettibile della norma: la sussistenza, in capo al responsabile, di un effettivo e reale potere fisico sulla cosa capace di arrecare il danno.
Solo tale condizione di oggettiva e continua padronanza del bene, da apprezzarsi prima di tutto su di un piano fisico-materiale, può giustificare, secondo quanto emergente dallo spirito della previsione de qua, l'immediata imputazione del danno al custode (secondo taluni a titolo di responsabilità oggettiva, secondo altri di responsabilità per colpa presunta).
Ciò posto, precisa l'adito Giudice come appaia difficilmente contestabile che, nel caso di strade pubbliche soggette ad uso diretto di tutti i cittadini, la Pa nonostante ne sia formalmente titolare, non abbia la possibilità di esercitare un potere di controllo materiale sul bene del tipo di quello richiesto dall'articolo 2051 c.c..
Invero, la sua posizione è difficilmente assimilabile a quella di un normale custode di una cosa (privata) affidata alla sua esclusiva disponibilità, in quanto la stabile destinazione al pubblico transito della via stride in modo insanabile con la permanenza di una continua e stringente signoria materiale su di essa da parte della Pa.
Consegue così l'affermazione secondo cui è affrettato dedurre meccanicamente dalla circostanza formale della titolarità del bene l'elemento sostanziale della sussistenza di una effettiva posizione custodiale in capo all'amministrazione, rilevante ex articolo 2051 c.c..
Il Tribunale opta quindi per il più risalente orientamento dell'insidia e trabocchetto con la precisazione secondo cui l'articolo 2051 c.c. può trovare applicazione nei confronti della Pa esclusivamente con riguardo a quei beni demaniali che non siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei terzi, ma vengano utilizzati dall'amministrazione medesima in situazione tale da rendere possibile un concreto controllo ed una vigilanza idonei ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo, ovvero, ancora, qualora trattasi di beni demaniali o patrimoniali che per la loro limitata estensione territoriale consentano un'adeguata attività di vigilanza sugli stessi.
Tribunale di Bari, sezione VI, sentenza 30 marzo 2022, n. 3212

STAMPA
Stampa – Diritto di cronaca – Diritto di critica – Limiti
(Costituzione, articoli 2, 3, 21; codice penale, articolo 51)
Il Tribunale di Milano evidenzia come, per considerare la divulgazione di notizie lesive dell'onore, lecita espressione del diritto di cronaca, ed escludere così la responsabilità civile per violazione del diritto all'onore, devono ricorrere le seguenti tre condizioni: a) la verità oggettiva (o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi; b) la sussistenza di un interesse pubblico all'informazione, vale a dire la cosiddetta pertinenza; c) la forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione (la cosiddetta continenza), posto che non si deve mai eccedere lo scopo informativo da conseguire dovendo l'articolo giornalistico essere improntato a serena obiettività, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio e nel rispetto di quel minimo di dignità cui ha pur sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, evitando forme di offese indiretta.
E cioè a dire, soltanto la correlazione rigorosa tra fatto e notizia di esso soddisfa all'interesse pubblico dell'informazione, che è la ratio dell'articolo 21 Cost., di cui il diritto di cronaca è estrinsecazione, e riporta l'azione nell'ambito dell'operatività dell'articolo 51 c.p., rendendo la condotta non punibile nel concorso degli altri due requisiti della continenza e pertinenza.
Invero il potere-dovere di raccontare e diffondere a mezzo stampa notizie e commenti, quale essenziale estrinsecazione del diritto di libertà di informazione e di pensiero, incontra limiti in altri diritti e interessi fondamentali della persona, come l'onore e la reputazione, anch'essi costituzionalmente protetti dagli articolo 2 e 3 Cost..
Non solo. Precisa ancora l'adito Tribunale come i presupposti per il legittimo esercizio del diritto di critica, allo stesso modo del diritto di cronaca, rispetto al quale consente l'uso di un linguaggio più pungente ed incisivo, siano: a) l'interesse al racconto, ravvisabile anche quando non si tratti di interesse della generalità dei cittadini, ma di quello generale della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la pubblicazione di stampa; b) la continenza, nel senso che l'informazione di stampa non deve trasmodare in argumenta ad hominem né assumere contenuto lesivo dell'immagine e del decoro; c) la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti, nel senso che deve essere assicurata l'oggettiva verità del racconto, la quale tollera, perciò, le inesattezze considerate irrilevanti se riferite a particolari di scarso rilievo e privi di valore informativo.
E così, in tema di responsabilità civile per diffamazione, il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi; per riconoscere efficacia esimente all'esercizio di tale diritto, occorre tuttavia che il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive.
Tribunale di Milano, sezione I, sentenza 31 marzo 2022 n. 2819

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