Casi pratici

Le garanzie del contratto di compravendita

Compravendita: garanzie legali e convenzionali

immagine non disponibile

di Laura Biarella

la QUESTIONE
Quali sono le nozioni di vizio e di mancanza di qualità promesse o essenziali ? Quali limitazioni incontrano le garanzie del venditore? Quale tutela vanta il compratore nell'ambito della disciplina del codice civile? Ed in quella consumeristica? A carico di chi sono i lavori deliberati prima del rogito, nell'ambito della compravendita immobiliare?

Il Codice civile prevede tre specifici rimedi a tutela della posizione dell'acquirente nel contratto di compravendita: la garanzia per evizione, la garanzia per vizi della cosa venduta e la garanzia per mancanza delle qualità promesse o essenziali.
Tali istituti soddisfano, secondo l'opinione prevalente, una finalità giuridica unitaria, quella di consentire al contratto di compravendita la realizzazione della propria funzione economico-giuridica, consistente principalmente nell'acquisto definitivo della res da parte del compratore (art. 1470 c.c.). In particolare, quanto alla natura giuridica delle garanzie della vendita, si é osservato che esse attengono a violazioni del contratto che danno luogo a responsabilità del venditore per inadempimento contrattuale, essendo egli soggetto all'obbligo di trasferire la cosa libera da diritti altrui o da vizi che possano pregiudicarne la piena acquisizione da parte dell'acquirente.

La garanzia per vizi della cosa

L'art. 1476, n. 3, c.c. prevede, tra le obbligazioni a carico del venditore, oltre alla garanzia per evizione, la garanzia per vizi della cosa.
A differenza della garanzia per evizione, la quale attiene alla condizione giuridica della cosa, la garanzia per vizi concerne le ipotesi di alterazione patologica e di anomalia della res, tali da arrecare un pregiudizio del diritto del compratore al pieno ed esatto godimento del bene oggetto del trasferimento.
Infatti, ai sensi dell'art. 1490 c.c., il venditore deve garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso cui é destinata (inidoneità assoluta) o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (inidoneità relativa).
In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che per vizio si intende il difetto inerente al processo di produzione, fabbricazione o conservazione della cosa, cioé l'imperfezione materiale o strutturale che incida sull'utilizzabilità o sul valore del bene. Ricorre l'inidoneità assoluta quando la deficienza sia tale da impedire l'utilizzazione ordinaria della res ovvero, secondo alcuni, l'eventuale uso speciale indicato nell'atto traslativo. Si ha inidoneità relativa, invece, quando sussiste una perdita di valore del bene superiore al limite di normale tollerabilità: il superamento di tale limite andrebbe valutato, secondo un orientamento, in base al criterio generale di cui all'art. 1455 c.c., in tema di importanza dell'inadempimento; di contro, secondo altra impostazione, la valutazione della gravità dell'inadempimento andrebbe effettuata non in base ai criteri generali, ma in applicazione della lex specialis, di cui all'art. 1490. Ai sensi dell'art. 1490, comma 2, la garanzia può essere esclusa o limitata convenzionalmente, ma le clausole in deroga non hanno effetto nel caso in cui il venditore abbia taciuto in male fede i vizi della cosa. Tuttavia, se i vizi erano conosciuti o facilmente conoscibili dal compratore, la garanzia non é dovuta, ai sensi del disposto dell'art. 1491 c.c.
Affinché l'acquirente possa ricorrere ai rimedi posti in sua tutela dall'ordinamento, senza incorrere nella decadenza dalla garanzia in esame, egli ha l'onere di denunciare i vizi della cosa al venditore, entro il termine di otto giorni dalla scoperta, salvo diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge (art. 1495 c.c.). Tale denuncia é un atto giuridico in senso stretto di natura recettizia, attraverso il quale il compratore rende nota all'alienante la presenza dei vizi.
Non é richiesta la specificazione della causa o della natura del vizio, essendo sufficiente una denuncia generica che informi il venditore. Tale dichiarazione non é, inoltre, soggetta a particolari formalità, pur essendo onere dell'acquirente precostituirsi la prova dell'effettuazione della denuncia in modo tempestivo. Siffatto onere di denuncia viene meno nel caso di riconoscimento ovvero di occultamento dei vizi da parte dell'alienante.
Si ha riconoscimento del vizio quando il venditore dichiara che il fenomeno contestatogli costituisce difetto della cosa venduta, anche se ne attribuisca la causa a un fatto diverso da quello denunciato dal compratore. Ricorre la fattispecie di occultamento dei vizi, invece, nel caso, non di semplice silenzio serbato dall'alienante, ma di una particolare attività illecita posta in essere dallo stesso al fine di nascondere il vizio.

I rimedi a tutela dell'acquirente
In caso di vizi della res tradita, i rimedi previsti dalla disciplina codicistica sono rappresentati dall'azione di risoluzione del contratto, c.d. azione redibitoria, e dall'azione di riduzione del prezzo, c.d. azione estimatoria (art. 1492 c.c.). A tali azioni, qualificate anche azioni edilizie, si accompagna il risarcimento del danno, se il venditore non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa (art. 1494 c.c.).
L'azione redibitoria viene inquadrata nell'ambito dell'azione di risoluzione per inadempimento, della quale condividerebbe la natura, differenziandosene per l'irrilevanza della colpa del venditore e per l'onere della preventiva denuncia del compratore.
Si tratta di un rimedio ripristinatorio, volto a realizzare l'attuazione della garanzia, attraverso lo scioglimento con efficacia ex tunc del vincolo contrattuale.
La peculiare natura giuridica di tale azione ne spiega la diversità di disciplina rispetto all'azione generale di risoluzione, diversità consistente nell'irrilevanza dell'elemento soggettivo dell'alienante, nell'onere della preventiva denunzia dei vizi a opera del compratore, nei ristretti termini di decadenza e di prescrizione entro cui può essere esercitata.
L'azione estimatoria (o actio quanti minoris), invece, mira al riequilibrio delle prestazioni, per il caso in cui il compratore opti per il mantenimento in vita del contratto, e a riportare l'acquirente nella situazione economica in cui si sarebbe trovato se il bene fosse stato immune da vizi. Partendo dalla premessa secondo cui la scelta tra le due azioni é irrevocabile con la proposizione della domanda giudiziale, ai sensi dell'art. 1492, comma 2, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, sotto il profilo processuale, é inammissibile la domanda di riduzione prospettata in subordine rispetto a quella principale di risoluzione, poiché entrambe le azioni si ricollegano ai medesimi presupposti, consistenti nella presenza dei vizi di cui all'art. 1490.
Tale norma pone una disciplina completa della materia, senza che possa prospettarsi un'integrazione di essa con le regole generali dell'art. 1455. In senso opposto, si era, tuttavia, affermato che il giudice avesse facoltà di ritenere sempre implicita, nella richiesta di tutela redibitoria, quella meno intensa dell'azione estimatoria, ma tale impostazione sembra superata dalla giurisprudenza prevalente.
Le azioni poste a tutela del compratore nel caso di vizi della cosa venduta (azioni di risoluzione, di riduzione del prezzo e risarcitoria) sono soggette a un termine di prescrizione annuale, termine che decorre dalla conclusione del contratto, nel caso in cui il compratore abbia la disponibilità della res, ovvero dalla consegna.
L'art. 1494 riconosce, inoltre, al compratore il diritto a ottenere il risarcimento del danno, oltre alla risoluzione del contratto e alla riduzione del prezzo.
L'azione risarcitoria ha natura soggettiva e presuppone, oltre alla sussistenza del vizio, anche la condotta colpevole del venditore, consistente nell'aver conosciuto i vizi o nell'averli ignorati per negligenza. La legge pone una presunzione sull'esistenza dell'elemento soggettivo colposo, con la conseguenza che é onere dell'alienante fornire la prova liberatoria, consistente nell'aver ignorato i vizi nonostante l'uso dell'ordinaria diligenza.

La garanzia per mancanza di qualità promesse o essenziali

La vendita di cosa viziata di cui all'art. 1490 va tenuta distinta dalla vendita di cosa priva delle qualità, disciplinata dall'art. 1497 c.c.
Come chiarito dalla giurisprudenza, infatti, il vizio redibitorio é cosa diversa dalla mancanza di qualità promesse o essenziali, poiché il primo attiene a difetti strutturali inerenti al processo di produzione, fabbricazione o conservazione della cosa, la seconda attiene alla natura stessa della res, consistendo nella mancanza di tutti quegli attributi che esprimono la funzionalità, l'utilità o il pregio del bene, requisiti che influiscono sulla classificazione della cosa in una specie piuttosto che in un'altra, pur senza pregiudicarne l'individualità e l'appartenenza al suo originario genere merceologico.
Per qualità essenziali si intendono quelle indispensabili per l'uso cui la cosa é normalmente destinata, dovendo il venditore rispondere per la loro mancanza anche in assenza di espressa pattuizione, sulla base di un criterio di ragionevolezza e buona fede.
Le qualità promesse, invece, sono quelle caratteristiche qualitative inerenti a un uso atipico, diverso da quello proprio della res empta, ovvero a un uso tipico, ma da effettuarsi in particolari condizioni; sono quei requisiti del bene, oggetto di contrattazione esplicita o implicita, alla cui sussistenza il venditore si sia specificamente impegnato.

I rimedi a tutela dell'acquirente

Ai sensi dell'art. 1497, nel caso di mancanza delle qualità promesse o essenziali, il compratore può chiedere la risoluzione del contratto, nel rispetto dei termini di prescrizione e decadenza previsti dall'art. 1495.
Tale rimedio, posto a tutela dell'acquirente, si distingue dall'azione di annullamento per errore, alla quale ha diritto di ricorrere il compratore che lamenti la falsa rappresentazione delle qualità essenziali della cosa, nella fase genetica del contratto.
L'azione esperibile per mancanza delle qualità, invece, costituisce sic et simpliciter un'ipotesi di inadempimento del venditore, in mancanza di qualsiasi errore della controparte, in ordine alle caratteristiche del bene oggetto del contratto; la mancanza di qualità attiene alla fase esecutiva del rapporto, consistendo in una inesattezza del bene rispetto alle caratteristiche necessarie o pattuite, ben chiare fin dall'inizio all'acquirente.
L'art. 1497, nel prevedere il rimedio della risoluzione del contratto (purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi), predispone una tutela dell'acquirente non dissimile da quella prevista dall'art. 1492, per l'ipotesi di vizi della cosa.
Tuttavia, mentre la dottrina ha espresso una certa tendenza a parificare la tutela del compratore nelle due fattispecie, la giurisprudenza ha sempre evidenziato la diversità tra l'azione di risoluzione ex art. 1497 e il rimedio redibitorio dell'art. 1492.
Al di là, infatti, dell'espresso richiamo che l'art. 1497 fa ai termini di prescrizione e decadenza previsti dall'art. 1495 per le azioni edilizie, la Cassazione ha evidenziato come l'esercizio dell'azione di risoluzione per vizi della cosa non presuppone l'esistenza della colpa del venditore; tale requisito é, invece, richiesto per l'azione di risoluzione per difetto delle qualità promesse ex art. 1497, norma che richiama, a differenza dell'art. 1492, le disposizioni generali dell'istituto della risoluzione per inadempimento, fondato sul principio della colpa dell'inadempiente (Cassazione civ., Sez. II, 21 gennaio 2000, n. 639).
Resta, tuttavia, controversa, in dottrina e giurisprudenza, l'esperibilità, nel caso di mancanza delle qualità, dell'azione estimatoria : a parere di parte della dottrina, attesa la sostanziale identità ontologica tra le fattispecie di cui agli artt. 1490 e 1497, tale rimedio sarebbe esercitabile, nonostante il silenzio del Legislatore.
In entrambi i casi, infatti, saremmo dinnanzi a un difetto della cosa, preesistente alla conclusione del contratto, che può costituire fonte di responsabilità del venditore: si impone, quindi, l'estensione analogica al fenomeno previsto dall'art. 1497 delle norme sulla garanzia per i vizi.
La giurisprudenza prevalente resta contraria a tale riconoscimento, poiché, come detto, riconduce l'azione di risoluzione dell'art. 1497 alle norma generali sull'inadempimento ex artt. 1218 e 1453 c.c.
Infine, le Sezioni Unite civile della Cassazione (11 luglio 2019, n. 18672) hanno chiarito che nel contratto di compravendita, costituiscono, ai sensi dell'art. 2943, comma IV, c.c., idonei atti interruttivi della prescrizione dell'azione di garanzia per vizi, prevista dall'art. 1495, comma III, c.c., le manifestazioni extragiudiziali di volontà del compratore compiute nelle forme dell'art. 1219, comma I, c.c., con la produzione dell'effetto generale contemplato dall'art2945, comma I, c.c.

La risoluzione della compravendita in presenza di vizi, oltre restituzione somme e risarcimento danni

La Corte di Cassazione, II Sezione Civile, nella Sentenza del 3 giugno 2020, n. 10453, confermando le statuizioni del collegio territorial, ha ribadito il principio secondo cui, in caso di compravendita di una vettura con vizi, l'acquirente può chiedere la risoluzione del contratto, con la condanna alla restituzione delle somme corrisposte e al risarcimento danni, illustrandone, e meglio chiarendo, i presupposti e le condizioni. In particolare, in sede di gravame, la Corte d'appello, che lo aveva accolto parzialmente, dichiarando risolto il contratto e condannando la società venditrice al pagamento della somma di euro 21500,00, oltre agli interessi legali, aveva qualificato le azioni proposte come azione di risoluzione ai sensi dell'art. 1519-quater, comma VII, c.c., e come azione tradizionale di risoluzione fondata sul vizio redibitorio ai sensi del combinato disposto degli artt. 1490 e 1492 c.c., giudicando fondato il motivo attinente al difetto di funzionamento del motorino di avviamento che, all'atto dell'accensione, provocava un anomalo rumore. Al riguardo il giudice di secondo grado, premesso che la vettura era stata consegnata nel giugno 2002, quando era in vigore l'assetto normativo di cui agli artt. 1519-bis e seguenti del codice civile, osservò che l'affermazione del giudice di prime cure secondo la quale il difetto non incideva sulla funzionalità o sulla durata del bene non era adeguatamente supportata dalle risultanze probatorie. Inoltre, neanche l'intervento sostitutivo del pezzo aveva eliminato il difetto di conformità, in quanto il rumore di strofinio in fase di avviamento, tenuto conto della natura del bene, dell'affidabilità che lo stesso deve garantire al consumatore e delle prestazioni che da una vettura del costo di oltre 20000 euro possono ragionevolmente aspettarsi, rendeva la vettura non conforme al contratto.

Vendita di "aliud pro alio"

I vizi redibitori e la mancanza di qualità della cosa venduta vanno tenuti distinti dalla consegna di aliud pro alio, fattispecie che ricorre quando la res tradita appartiene a un genus diverso da quello convenuto oppure presenta difetti che le impediscono di assolvere alla sua naturale funzione economico-sociale, facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto. Più in dettaglio, i vizi redibitori e la mancanza di qualità, le cui azioni sono soggette ai termini di prescrizione e decadenza ex articolo 1495 c.c., si distinguono dall'ipotesi di consegna di aliud pro alio, che dà luogo a un'ordinaria azione di risoluzione contrattuale svincolata dai termini predetti e che ricorre quando il bene consegnato sia completamente diverso da quello venduto, perché appartenente a un genere differente da quello posto a base della decisione del compratore di effettuare l'acquisto, oppure presenti difetti che gli impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti, facendola degradare in una sottospecie del tutto dissimile da quella dedotta in contratto (cfr. Cassazione civ., Sez. II, 12 gennaio 2017, n. 653 e 31 maggio 2017, n. 13782).
L'istituto in esame, non espressamente disciplinato dal codice civile, é figura di creazione giurisprudenziale, alla quale si ritengono applicabili le norme generali sulla responsabilità contrattuale, di cui agli artt. 1453 ss. c.c.

I beni di consumo: la garanzia legale e la garanzia convenzionale

Il Codice del Consumo (articoli 128 e seguenti), limitatamente alle transazioni tra professionista e consumatore, prevede una particolare disciplina del diritto di garanzia che l'acquirente può vantare nei confronti del venditore in seguito alla consegna di un bene difettoso o che presenti caratteristiche non conformi a quanto pattuito nel contratto. Tale disciplina normativa trova applicazione unicamente per i cosiddetti contratti di consumo, stipulati tra chi rivesta la qualifica di "consumatori" e professionista (ovvero operatori professionali) e aventi ad oggetto la compravendita di beni di consumo, a cui tuttavia vengono equiparati pure i contratti di permuta, di somministrazione, di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque attinenti alla fornitura di beni di consumo che vengono prodotti. Più in dettaglio, la disciplina in commento definisce "beni di consumo", qualsiasi bene mobile, anche da assemblare, ad eccezione di:

1) i beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie, anche mediante delega ai notai;

2) l'acqua e il gas, quando non confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantità determinata;

3) l'energia elettrica.

Il professionista, nella specie in veste di venditore, è tenuto a consegnare al consumatore acquirente soltanto quei prodotti che corrispondono alle caratteristiche pattuite nel contratto di compravendita.
Il diritto di garanzia non viene riconosciuto qualora i vizi fossero stati ben noti al consumatore nel momento dell'acquisto, oppure comunque evidenti da non poter essere occultati.
Salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità. Pertanto, qualora il vizio appaia a seguito del primo semestre di acquisto, spetta al consumatore acquirente dar prova che il difetto non sia sorto a causa di un cattivo o inesatto utilizzo del bene.

Le garanzie del venditore
Il contraente - acquirente di cui agli artt. 1490 e segg. c.c. e il consumatore – acquirente di cui agli artt. 128 e segg. del Codice del Consumo, vanta diritti ben differenti. La Direttiva europea 1999/44/EU ha infatti impresso una prospettiva nuova e dissimile rispetto a quella che era ormai tradizionale, sia per gli aspetti concernenti le obbligazioni principali del venditore, sia per quanto attiene al sistema dei rimedi accordati e dei termini per poterli attivare.
Il consumatore, a fronte di un prodotto viziato, ovvero privo delle qualità promesse oppure essenziali, può invocare la responsabilità contrattuale del venditore, la quale consiste nel diritto alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto. La disciplina contenuta negli artt. 129 e 130 del Codice del Consumo, fornisce all'acquirente-consumatore dei rimedi più estesi rispetto a quelli concessi dal codice civile: quando il bene consegnato al consumatore non sia fedele al contratto, questi ha immediatamente diritto alla riparazione o alla sua sostituzione, e senza sostenere spesa alcuna in ambedue le ipotesi e, soltanto successivamente, potrà richiedere una congrua riduzione del corrispettivo, ovvero la risoluzione del contratto.
La collocazione imposta ai rimedi, registra in posizione primaria la riparazione o la sostituzione del prodotto, preordinati alla conservazione del contratto. Più in dettaglio, la riparazione, o la sostituzione, devono essere realizzati entro un congruo termine, e senza notevoli inconvenienti per l'acquirente, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale sia stato comperato. Viene inoltre precisato che le spese sostenute per ripristinare la conformità del bene al contratto sono addossate al professionista: pertanto sia i costi per la spedizione, che per la mano d'opera e, infine, per i pezzi di ricambio. Il consumatore, a fronte dei due rimedi in questione, può optare ugualmente tra l'uno o l'altro, salvo che il rimedio richiesto sia oggettivamente impossibile ovvero eccessivamente oneroso rispetto all'ulteriore.
A differenza di quanto avviene in ambito del codice civile, il consumatore potrà domandare la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto qualora non abbia diritto ai due rimedi posti in primo piano dal legislatore consumeristico, ovvero la riparazione o la sostituzione, in quanto impossibili ovvero eccessivamente onerosi, oppure se questi non sono stati eseguiti dal professionista in un tempo congruo, ovvero non sono stati effettuati senza arrecare notevoli inconvenienti in capo al consumatore. Pure in siffatta ipotesi spetta all'acquirente l'opzione tra i due rimedi secondari, come anche si evince dall'ultimo comma dell'art. 130 c. cons., a norma del quale non si fa luogo alla risoluzione del contratto a fronte di un vizio di conformità di lieve entità per il quale non è stato possibile, oppure risulti eccessivamente oneroso esperire la riparazione, ovvero la sostituzione, del prodotto.

I rimedi: riparazione, sostituzione, risoluzione

La riparazione ovvero la sostituzione del bene, devono avvenire, secondo le disposizioni in esame, entro un "termine congruo". Il consumatore vanta anche la possibilità di richiedere una congrua riduzione del prezzo, ovvero la risoluzione del contratto di compravendita, nei casi ove:

- la riparazione e la sostituzione risultino impossibili o eccessivamente onerose;

- il professionista venditore non provveda ad effettuare la riparazione oppure la sostituzione entro un termine congruo;

- la riparazione o la sostituzione comportino, in capo al consumatore, notevoli inconvenienti.

Nella determinazione della riduzione del prezzo o la restituzione del prezzo pagato (ovviamente solo in ipotesi di risoluzione contrattuale) la legge impone di considerare l'usura del bene. Ed ancora, qualora si riscontrino di vizi di modesta entità non è praticabile la risoluzione del contratto.

Costi di spedizione, manodopera, materiali necessari alla riparazione o alla sostituzione, non possono dar luogo ad alcun onere in capo al consumatore.

Termini
Il venditore risponde per i difetti che insorgono nel termine di due anni decorrenti dalla consegna del bene, mentre il vizio deve essere comunicato entro due mesi dal momento della scoperta, a pena di decadenza. Il Codice dl Consumo non richiede formalità alcuna in merito alle formalità della comunicazione. Il termine di 2 mesi previsto dal Codice del Consumo, dal momento della scoperta, non è previsto qualora il venditore conosceva, al momento della vendita, il vizio ovvero lo aveva occultato. L'azione diretta a far valere i difetti non dolosamente occultati dal venditore sì prescrive, in ogni caso, nel termine di ventisei mesi dalla consegna del bene. Il consumatore, che sia convenuto per l'esecuzione del contratto, può tuttavia far valere sempre i diritti di cui all'articolo 130, comma II, e cioè, in ipotesi di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene attraverso riparazione o sostituzione, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto, ma purché il difetto di conformità sia stato denunciato entro due mesi dalla scoperta e prima della scadenza dei ventisei mesi dall'acquisto.

Beni usati

Nella specifica ipotesi di acquisto di beni non nuovi, quindi già usati, è possibile limitare la durata minima della garanzia ad un solo anno, qualora le parti concordano tale termine. La Corte di Giustizia dell'Unione europea (Sez. V, 13 luglio 2017, n. 133/16), ha affermato che in ipotesi di vendita di beni usati, gli Stati membri possono limitare a un anno il periodo di responsabilità del venditore, tuttavia non possono abbreviare la possibilità di agire in giudizio a un periodo inferiore a due anni. Ad fornire tale precisazione sulla direttiva 1999/44/Ce, relativa a taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, è stata la Corte di giustizia dell'Unione europea che si è espressa, decisamente, a favore dei consumatori. La tutela del consumatore, infatti, passa anche attraverso l'eliminazione di termini di prescrizione troppo brevi per le azioni di risarcimento del danno. Nel caso esaminato dalla Corte europea, si trattava di una controversia relativa all'acquisto di un'automobile usata da parte di un cittadino dei Paesi Bassi residente in Belgio.

La garanzia convenzionale nei beni di consumo

L'art. 128 del Codice del Consumo definisce "garanzia convenzionale ulteriore", ogni impegno di un venditore o di un produttore, assunto nei confronti del consumatore, senza costi supplementari, di rimborsare il prezzo pagato, sostituire, riparare, o intervenire altrimenti sul bene di consumo, nel caso ove esso non corrisponda alle condizioni enunciate nella dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicità. Pertanto il contratto di vendita può anche prevedere una garanzia cd. convenzionale o commerciale, il cui contenuto vincola il venditore anche qualora la promozione sia avvenuta attraverso una pubblicità. Il certificato di garanzia deve essere redatto in modo chiaro e comprensibile, informando sul contenuto della garanzia in questione e sugli elementi essenziali per attivarla, quali ad esempio la durata nonché l'estensione territoriale della copertura.

La garanzia civilistica e consumeristica: la diversità nei termini

La disciplina della vendita di beni di consumo rappresenta un rilevante ampliamento della tutela dell'acquirente non appagato dall'acquisto, come emerge dalla normativa sui termini, i quali finiscono per costituire una sorta di rimedio ulteriore a disposizione del consumatore, il quale, in tal modo, non subisce la compressione dei propri diritti a causa di congegni procedimentali, così come accade nella vendita di diritto comune. Più in dettaglio, e come già suaccennato, ai sensi dell'art. 132 del Codice del Consumo, il professionista risulta responsabile per ogni vizio di conformità che si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna: la responsabilità del venditore si prolunga, in tal modo, per un biennio dalla materiale disponibilità del bene, se questo è costituito da un prodotto nuovo. Nell'ipotesi ove il consumatore scopra i difetti del bene acquistato soltanto a seguito dell'utilizzo del medesimo, il comma III dell'art. 132 citato, introduce una presunzione, di carattere relativo, di sussistenza al tempo della consegna di quei vizi che si manifestano nei sei mesi successivi. In altre parole, una volta che il soggetto consumatore abbia allegato che il vizio si è manifestato entro i sei mesi dalla consegna, e sempreché lo abbia denunziato nel termine di due mesi dalla scoperta, ricade sul professionista - venditore l'onere di fornire la prova contraria consistente nella circostanza che il difetto, pur manifestatosi nel termine di mesi sei dalla consegna, si è concretizzato in un momento susseguente. Evidentemente il legislatore ha voluto invitare il consumatore, il quale voglia avvalersi dell'inversione dell'onere della prova, a controllare il prodotto acquistato a stretto giro.

Il comma II dell'art. 132 del D.Lgs. n. 206 del 2005, regola gli aspetti afferenti al termine di decadenza, statuendo che:
a) la parte decade dal diritto di far valere la garanzia legale, qualora non denunzi la mancanza di conformità del bene al contratto entro due mesi dalla scoperta dello stesso;
b) il compratore è esonerato dall'onere di denuncia qualora il professionista abbia riconosciuto la sussistenza del difetto ovvero lo abbia occultato.

Il termine decorre dal giorno in cui si è avuta la certezza circa l'esistenza effettiva del vizio, a meno che, al momento del perfezionarsi del contratto, il consumatore ne era a conoscenza, ovvero non poteva ignorarlo con l'ordinaria diligenza, posto che in tali due ipotesi viene meno la responsabilità del professionista.

Come sopra già esposto, l'azione volta a far valere i difetti non dolosamente occultati dal professionista venditore si prescrive, in ogni caso, in ventisei mesi dalla consegna del prodotto: diversamente da quanto avviene nell'ambito del codice civile, in quello consumeristico è stata introdotta una differenziazione tra il termine di durata della garanzia (fissato in due anni dalla consegna), e quello di prescrizione dell'azione, che risulta maggiore. In questo modo, il legislatore ha inteso prolungare il periodo di prescrizione nell'ipotesi in cui il difetto di conformità si sia manifestato nei giorni che immediatamente anticipano la scadenza della garanzia, dando la possibilità alla parte contrattuale più debole, che abbia riscontrato il difetto l'ultimo giorno utile, di avere a disposizione per intero il termine di decadenza, nella finalità di denunziare il vizio al professionista.

Immobili: i lavori deliberati prima del rogitoI lavori di manutenzione straordinaria dell'edificio condominiale devono essere posti a carico del soggetto che era proprietario dell'immobile al momento in cui i lavori vennero deliberati, con la conseguenza che, in ipotesi di compravendita di un appartamento condominiale posteriore a tale deliberazione, qualora i lavori vengano eseguiti e pagati dopo la stipula del contratto di compravendita, se ne deve far carico il venditore. Lo ha statuito il collegio della II Sezione Civile della Corte di Cassazione, nell'Ordinanza n. 11199 del 28 aprile 2021. Per i giudici di legittimità, quando dall'ente condominiale venga decisa l'esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione delle parti comuni dell'edificio e, a seguito della delibera assembleare condominiale che abbia disposto l'esecuzione di tali interventi, sia compravenduta un'unità immobiliare, i costi di tali lavori gravano su chi risultava proprietario al momento dell'approvazione della delibera, anche se in seguito le opere siano state, in tutto o in parte, realizzate in epoca successiva alla stipula del contratto di compravendita.

Per l'effetto, l'acquirente ha diritto di rivalersi verso il venditore, se il condominio abbia preteso il pagamento di dette spese dal compratore, in forza dell'articolo 63, comma 4, delle disposizioni di attuazione del Codice civile, a dizione della quale chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente. Ad ogni buon conto, è pacifico che rimane possibile, nel contratto di compravendita, pattuire che i costi dei lavori decisi prima del contratto di compravendita siano posti a carico della parte acquirente, tuttavia ma si tratta di una pattuizione che spiega rilevanza unicamente nell'ambito dei rapporti interni tra venditore e acquirente e che non è opponibile al condominio (l'amministratore del condominio, in forza della solidarietà passiva tra il precedente e l'attuale condomino, affermata nell'articolo 63, può escutere indifferentemente l'uno o l'altro).

Consegue quindi la necessità di tenere distinte, da un lato, le spese necessarie alla manutenzione ordinaria, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell'edificio o alla prestazione di servizi nell'interesse comune oppure a impedire o riparare un deterioramento delle parti comuni dell'edificio e, dall'altro lato, le spese afferenti a lavori che consistano in un'innovazione o che comunque comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere rilevante, superiore a quello inerente alla manutenzione ordinaria dell'edificio e cagionate da un evento non evitabile mediante la quotidiana opera di preservazione delle parti comuni dell'edificio.

Nella prima ipotesi, l'obbligazione si ritiene sorta non appena si effettui l'intervento ritenuto necessario dall'amministratore e, quindi, in coincidenza con il concreto compimento dell'attività gestionale. Differentemente, per le opere di manutenzione straordinaria e le innovazioni, la deliberazione dell'assemblea, chiamata a determinare quantità, qualità e costi dell'intervento, assume valore costitutivo della relativa obbligazione in capo a ciascun condomino. Verificandosi l'alienazione di una unità immobiliare posta nel condominio dopo l'adozione di una delibera assembleare con la quale sia decisa l'esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione, ove non sia diversamente convenuto nei rapporti interni tra venditore e compratore, i relativi costi devono essere sopportati dal venditore, anche se in seguito i lavori siano stati, in tutto o in parte, effettuati in epoca successiva al rogito. Con conseguente diritto dell'acquirente che sia escusso dal condominio a rivalersi nei confronti del proprio dante causa. Considerazioni conclusiveAlla luce del quadro normativo e dell'elaborazione giurisprudenziale in materia di compravendita, é agevole notare che le garanzie del venditore, predisposte a tutela della posizione del compratore, pur svolgendo una finalità giuridica unitaria, consistente nell'acquisto definitivo della res da parte dell'acquirente, sono destinate a manifestarsi secondo modalità esplicative diverse.

In particolare, per il caso di vizi della cosa venduta,nell'ambito del codice civile, la tutela si realizza attraverso l'esercizio dell'azione redibitoria, di risoluzione del contratto, ovvero dell'azione estimatoria, di riduzione del prezzo, oltre all'eventuale risarcimento del danno: si tratta di azioni che, se pur concernendo violazioni del contratto che danno luogo a responsabilità del venditore per inadempimento contrattuale, esprimono delle peculiarità di disciplina rispetto ai principi generali in tema di inadempimento, peculiarità consistenti nell'irrilevanza del profilo soggettivo dell'inadempiente, nell'onere di denunzia dei vizi e nei ristretti termini di decadenza e di prescrizione. Se l'irrilevanza dell'elemento soggettivo esprime un'agevolazione per il compratore sotto il profilo probatorio, l'onere di denunzia dei vizi e l'esercizio delle azioni edilizie entro gli angusti termini di decadenza e di prescrizione mirano a porre delle limitazioni alla garanzia del venditore, in ragione dell'esigenza di certezza e di celerità nella definizione dei traffici giuridici. Analogamente accade per il caso di mancanza delle qualità promesse o essenziali.

In tale fattispecie, infatti, il Legislatore, nonostante l'espresso rinvio alle norme generali sulla risoluzione per inadempimento, contenuto nell'art. 1497, destinato a far rivivere il requisito soggettivo della colpa dell'inadempiente, ha confinato la tutela del compratore entro i limitati termini di decadenza e di prescrizione dell'art. 1495, per analoghe esigenze di rapidità e sicurezza nella circolazione dei beni.L'introduzione di nuove forme di tutela del consumatore, quale parte debole di un rapporto contrattuale, ha evidenziato che uno dei settori del diritto in cui, sia a livello comunitario che nazionale, è stata maggiormente avvertita l'esigenza di proteggere il consumatore-acquirente risulta l'ambito delle vendite dei beni di consumo, dove appunto le tutele sono evidentemente maggiori rispetto a quelle contenute nel più ristretto e limitato ambito civilistico, potendosi evidentemente riscontrare in tutti gli aspetti sia sostanziali che procedimentali. Ad esempio, il codice del consumo chiarisce bene che accanto alla garanzia gravante ex lege sul venditore, relativa alla conformità del bene al contratto, il consumatore può avere a disposizione una garanzia convenzionale, prevista all'art. 133 c. cons., la quale costituisce un manifesto quid pluris, e grazie alla quale può vantare diritti differenti ed ulteriori rispetto a quelli previsti nei confronti del venditore finale.Infine la II Sezione Civile della Suprema Corte, nell'aprile 2021, ha chiarito che, ove si verifichi l'alienazione di una unità immobiliare posta in un condominio dopo l'adozione di una delibera assembleare con la quale sia decisa l'esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione, ove non sia diversamente convenuto nei rapporti interni tra venditore e compratore, i relativi costi devono essere sopportati dal venditore, anche se in seguito i lavori siano stati, in tutto o in parte, effettuati in epoca successiva al rogito. Con conseguente diritto dell'acquirente che sia escusso dal condominio a rivalersi nei confronti del proprio dante causa.

Correlati

Sezione 2

Avv. Mario Benedetti - Partner BLB Studio Legale e e Dott.ssa Claudia Genuardi - Associate BLB Studio Legale 

Riviste