Lavoro

Le tutele dei lavoratori caregiver

*Estratto da “Compliance - Il Mensile”, 27 ottobre 2025, n. 30 - p. 10

La Corte di Giustizia UE estende il principio di parità di trattamento a chi assiste un familiare disabile

Con sentenza dell’11 settembre 2025, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha offerto una lettura innovativa e di grande impatto del principio di parità di trattamento, estendendo le garanzie previste dalla Direttiva 2000/78/CE anche ai lavoratori caregiver, ovverosia coloro che prestano assistenza continuativa a un familiare con disabilità.

La pronuncia - emessa a seguito di rinvio pregiudiziale della Corte di Cassazione italiana - segna un punto di svolta nell’elaborazione del diritto antidiscriminatorio, riconoscendo che tali categorie di lavoratori possono invocare non solo la tutela contro le discriminazioni dirette, ma anche quella contro le discriminazioni indirette e il diritto ad accomodamenti ragionevoli.

I FATTI DI CAUSA E IL RINVIO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA

La vicenda trae origine dal ricorso presentato da una lavoratrice, operatrice di stazione e madre di un minore affetto da grave disabilità, che aveva chiesto di essere assegnata in modo permanente a un posto di lavoro con orario fisso, eventualmente anche di minore qualifica.

La richiesta mirava a consentirle di occuparsi del figlio, affetto da invalidità totale e impegnato in un programma di cure pomeridiane con orario stabilito.

La società non aveva accolto la richiesta di adeguamento permanente, pur avendo temporaneamente concesso alcune modifiche delle condizioni di lavoro - consistenti nella designazione di una sede fissa e nella concessione di un regime orario preferenziale rispetto agli altri operatori di stazione, soggetti a turni alternati.

In particolare, la società sosteneva di non essere tenuta - in assenza di disabilità personale della lavoratrice - ad applicare la normativa relativa agli accomodamenti ragionevoli.

Preso atto del rifiuto, la lavoratrice ha adito il Tribunale di Roma, al fine di far dichiarare la discriminatorietà della condotta posta in essere dal suo datore di lavoro.

La vicenda ha percorso per intero il circuito giudiziario romano, passando dapprima dalla Corte d’Appello capitolina, per approdare infine ai giudici di piazza Cavour, i quali, ravvisando un possibile contrasto con il diritto dell’Unione, hanno rimesso la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

In particolare, la Corte di Cassazione ha sottoposto ai giudici europei l’interrogativo se la tutela antidiscriminatoria prevista dalla Direttiva 2000/78/CE - con particolare riferimento al divieto di discriminazione indiretta e al dovere di adottare accomodamenti ragionevoli - potesse estendersi anche ai lavoratori che subiscono svantaggi legati alla disabilità di un familiare assistito.

LA DECISIONE DELLA CORTE EUROPEA

La Corte di Giustizia ha risposto affermativamente, fondando la propria decisione su una lettura teleologica ed estensiva della Direttiva e dei principi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

In particolare, i giudici di Lussemburgo hanno chiarito che il divieto di discriminazione indiretta fondata sulla disabilità si applica anche al lavoratore che non sia egli stesso disabile, qualora il trattamento meno favorevole sia conseguenza delle esigenze di cura verso un familiare con disabilità.

Secondo la Corte, il principio di parità di trattamento di cui all’art. 2 della direttiva 2000/78 non si limita a proteggere una “categoria di soggetti”, ma opera rispetto ai fattori di rischio di discriminazione individuati dall’art. 1. Ne consegue che, se il lavoratore subisce uno svantaggio a causa della disabilità del figlio o del coniuge, deve potersi avvalere delle stesse tutele garantite alla persona direttamente disabile.

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