Licenziamento disciplinare per attività extralavorative contrarie alla prestazione
Legittima la sanzione espulsiva per il dipendente che svolge con limitazioni il proprio lavoro in base all’accertamento del medico aziendale e però si dedica ad attività che ne compromettono ulteriormente la salute
Con la sentenza n. 28367/2025 la sezione Lavoro della Cassazione civile ha confermato la rilevanza sul rapporto tra datore e dipendente di comportamenti extralavorativi tenuti da quest’ultimo quando siano idonei a compromettere, anche solo in una visione futura, il corretto adempimento della prestazione lavorativa.
Nel caso specifico si trattava di un licenziamento disciplinare comminato a un lavoratore che a causa delle sue condizioni di salute era stato esonerato dall’alzare carichi al di sopra della spalla e comunque a maneggiarne di peso superiore ai 18 chilogrammi. La sanzione espulsiva era stata levata in quanto il dipendente oggetto di un’investigazione commissionata dalla società datrice era stato visto sollevare - nella sua attività extralavorativa di allenatore - pesi superiori alla limitazione accordata sul luogo di lavoro e anche più gravosi dei 18 chili. Limiti che tenevano conto e rispettavano le specifiche condizioni fisiche del lavoratore.
Quindi il ricorrente aveva posto in atto “attività e allenamenti incompatibili con le prescrizioni mediche” con le quali il medico aziendale competente lo aveva ritenuto idoneo a mansione specificatamente limitata.
La Cassazione spiega che ha rilevanza nel rapporto di lavoro quel comportamento extralavorativo che possa compromettere la diligente esecuzione della prestazione cui è tenuto il dipendente. E che, come nel caso concreto, sono contrari al dovere di lealtà verso il datore comportamenti non episodici o casuali potenzialmente idonei a comportare un aggravamento delle patologie sofferte dal proprio dipendente.
La Cassazione perciò respinge il ricorso e afferma che il dipendente licenziato ha consapevolmente violato gli specifici obblighi contrattuali di fedeltà, correttezza e buona fede tenendo una condotta idonea sia contraria ai propri doveri sia che configura appunto giusta causa di licenziamento consistente nella compromissione delle aspettative della parte datoriale riguardo a un futuro puntuale adempimento degli obblighi assunti dal lavoratore.
Infine, va precisato che nel caso risolto il lavoratore lamentava per essere stato oggetto di investigazione la violazione della propria privacy, ma sul punto la Cassazione non approfondisce in quanto nella vicenda la vera base probatoria della condotta del lavoratore sta nella stessa ammissione di quest’ultimo in relazione alla contestata attività sportiva, incompatibile con le condizioni di salute accertate dal medico aziendale. Inoltre, dalla palmare acquisizione dei fatti posti a base del licenziamento perché oggetto di post e video pubblicati dallo stesso lavoratore sui social.






