Comunitario e Internazionale

Mae, il giudice nazionale valuta la rilevanza della condanna in un Paese terzo per i medesimi fatti

La Corte Ue chiarisce il perimetro dell'esercizio della facoltà di negare l'esecuzione in base al principio del ne bis in idem

di Paola Rossi

Per la Corte di giustizia dell'Unione europea il giudice nazionale ha la"facoltà" di non dare esecuzione a un mandato di arresto europeo se la persona perseguita ha già subito una condanna - per i medesimi fatti - in un Paese terzo. Così la Corte Ue chiarisce, con la sentenza sulla causa C-665/20, che in una tale situazione non scatta l'"obbligo" di rifutare l'esecuzione del Mae come previsto dall'accordo quadro all'articolo 3, punto 2, che regola il divieto di "ne bis in idem" in ambito interamente europeo, quando cioè la condanna è stata comminata in altro Paese membro dell'Unione europea. Ma non in un Paese terzo. Infatti, in tal caso, la norma dell'accordo quadro cui far riferimento è quella dell'articolo 4, punto 5.

La Corte dopo aver indicato il corretto perimetro normativo in cui far rientrare la fattispecie chiarisce poi il perimetro della valutazione che il giudice è chiamato fare per decidere se l'esecuzione del Mae comporterebbe, per la persona imputata nello Stato Ue emittente, un nuovo giudizio sui medesimi fatti che sono stati posti alla base della condanna subita in un Paese extracomunitario. Se il reciproco riconoscimento tra i Paesi membri dei rispettivi sistemi penali tende a dare affidamento al giudice nazionale che deve eseguire il Mae in ordine al giudizio subito e alle sue conseguenze, comprese quelle per cui la pena non sia eseguibile; ciò non può valere automaticamente quando il processo e la pena soggiacciono alla legge di un Paese esterno all'Ue.

Per cui sarà il giudice nazionale a dover bilanciare le finalità pubbliche di contrasto al crimine con la tutela della persona contro il rischio di essere giudicata due volte per i medesimi fatti. Si tratta di un vero e proprio esame concreto da svolgere caso per caso.

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