Maltrattamenti dai vigili urbani, Italia condannata
I maltrattamenti subiti da una donna fermata da agenti di polizia municipale sono costati all'Italia una nuova condanna per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo che vieta trattamenti inumani e degradanti. Con la sentenza depositata ieri (ricorso n. 21759/15), la Corte di Strasburgo ha anche accertato che l'Italia non ha assicurato indagini adeguate per far luce sulla vicenda. Non solo. L'Italia dovrà versare alla ricorrente, vittima della violazione della Convenzione, 12mila euro per i danni non patrimoniali e 8mila per le spese sostenute.
Questi i fatti. Una donna era stata fermata perché sospettata di guida in stato di ebbrezza. Condotta nella stazione della Polizia municipale, secondo la sua ricostruzione, aveva subito maltrattamenti che le avevano procurato una frattura al pollice e altre contusioni. La donna, che non aveva potuto utilizzare il telefono, aveva sporto denuncia, ma il giudice per le indagini preliminari aveva chiuso il procedimento con non luogo a procedere. Così, la donna ha deciso di rivolgersi alla Corte europea che le ha dato ragione.
Per Strasburgo, le autorità nazionali hanno l'obbligo di proteggere le persone che subiscono limitazioni della libertà personale e, nei casi in cui vi siano denunce per maltrattamenti, lo Stato deve assicurare lo svolgimento di indagini adeguate e accurate per verificare i fatti. Così non era stato nel caso che ha portato la donna a Strasburgo.
La Corte ha anche chiarito che nei casi in cui viene contestata la violazione dell'articolo 3 e la vittima si trova sotto il controllo di autorità di polizia, spetta allo Stato in causa “fornire una spiegazione soddisfacente e convincente circa le circostanze nelle quali si sono verificate le lesioni” e dimostrare che l'uso della forza è stato limitato a quanto strettamente necessario rispetto alla condotta delle vittime. E questo tenendo conto che le persone che sono in custodia della polizia o che sono semplicemente condotte in una stazione di polizia per un controllo sono in una situazione di particolare vulnerabilità.
Questo vuol dire – osserva la Corte - che gli Stati hanno un obbligo positivo e devono garantire che il proprio personale agisca in modo professionale. Nel caso in esame, secondo Strasburgo, il Governo non ha dimostrato la necessità dell'uso della forza, trincerandosi unicamente dietro lo stato di agitazione della donna.
Sono poi mancate indagini complete, richieste in tutti i casi in cui è in gioco una violazione dell'articolo 3 e, d'altra parte, lo stesso Governo in causa, per i fatti avvenuti all'interno della stazione di polizia, ha solo mostrato un rapporto degli stessi agenti della polizia municipale.
Un ulteriore tassello, poi, che getta ombre sulla completezza delle indagini è la circostanza – sottolineata dalla Corte – che la richiesta di archiviazione del procuratore aveva una motivazione molto succinta e scritta in modo standardizzato.
Stesse critiche per la decisione del giudice che non ha motivato il no alla richiesta della vittima circa lo svolgimento di indagini supplementari.
Di qui la conclusione che l'Italia ha violato l'articolo 3 sia per gli aspetti sostanziali sia per quelli procedurali.
Corte europea per i diritti dell'uomo, sentenza 12 ottobre 2017 sul ricorso n. 21759/15