Marchi e IVA: l’ultimo interpello delle Entrate e la linea sottile tra cessione di ramo d’azienda e singoli diritti
Ogni operazione va valutata caso per caso, prendendo in considerazione non solo gli attivi ceduti, ma anche la loro funzione economica nell’ambito dell’attività aziendale
Il recente interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 210/2025 torna a porre sotto i riflettori la delicata distinzione tra cessione di un ramo d’azienda e trasferimento di singoli beni, con particolare riferimento a marchi e diritti di proprietà intellettuale.
Nel caso analizzato, una società del settore cosmetico ha acquisito marchi e diritti collegati, pur possedendo già la licenza all’utilizzo di formule, packaging, materiali promozionali e attrezzature di produzione. L’Agenzia ha chiarito che si trattava di un trasferimento di singoli diritti, soggetto a IVA come prestazione di servizi, con applicazione dell’imposta di registro in misura fissa di 200 euro. Questa pronuncia va in direzione opposta rispetto ad interpelli precedenti, quali il n. 546/2020 e il n. 151/2022, nei quali operazioni analoghe erano state qualificate come trasferimenti di ramo d’azienda. La differenza cruciale tra l’ultimo interpello e quelli precedenti risiede nell’assenza del magazzino dei prodotti tra gli assets strategici alienati. Quando ciò che viene trasferito è un compendio unitario di elementi essenziali alla continuità dell’attività, l’insieme dei beni e diritti costituisce un complesso aziendale autonomo, esente da IVA e soggetto a imposta di registro proporzionale, con aliquote variabili tra il 3% e il 9%.
Invero, la normativa europea, attraverso la Direttiva 2006/112/CE, consente agli Stati membri di escludere dall’IVA la cessione di aziende o parti di esse. L’Italia ha esercitato questa facoltà, stabilendo che i rami d’azienda non sono soggetti a IVA, ma scontano l’imposta di registro proporzionale quando si tratta di complessi aziendali localizzati nel territorio nazionale, indipendentemente dal luogo di formazione degli atti.
Tuttavia, la linea di confine tra cessione di ramo d’azienda e trasferimento di singoli diritti resta sottile: ogni operazione va valutata caso per caso, prendendo in considerazione non solo gli attivi ceduti, ma anche la loro funzione economica nell’ambito dell’attività aziendale. Nel merito, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato più documenti di prassi afferenti all’alienazione di marchi e altri assets tangibili e intangibili.
La risposta ad istanza di interpello n. 546/2020 riguardava l’acquisizione, da parte di una società attiva nel settore della profumeria, di un complesso di marchi, formule, disegni, domini, diritti di proprietà intellettuale precedentemente ottenuti solo in licenza pluriennale, nonché del magazzino afferente ai marchi. L’Ufficio aveva statuito che l’operazione avesse ad oggetto un ramo d’azienda e non un gruppo di singoli beni, in quanto tali elementi combinati tra loro configuravano un’organizzazione potenzialmente idonea allo svolgimento di un’attività economica a sé stante: “i beni ceduti sono preordinati all’obiettivo strategico dell’Istante di acquisizione della proprietà diretta e dello sviluppo di marchi propri, in modo da vedere rafforzata la propria continuità aziendale. […] L’istante non si limita ad acquisire solo un singolo marchio o una serie di marchi ma intende acquisire il segmento di mercato dei profumi e cosmetici detenuto dal cedente, attualmente in liquidazione volontaria, al fine di continuare l’attività di produzione e commercializzazione”.
La successiva risposta n. 151/2022 aveva confermato che l’alienazione dei marchi relativi a un prodotto farmaceutico contestualmente all’autorizzazione all’immissione in commercio e al magazzino residuo, costituiva una cessione di ramo d’azienda esclusa dall’applicazione dell’IVA, in quanto l’insieme di questi elementi configura un’organizzazione idonea affinché l’acquirente prosegua la commercializzazione del prodotto.
Di segno totalmente opposto è invece il parere espresso attraverso la risposta ad istanza di interpello n. 210/2025. Nel caso esaminato, a essere oggetto di cessione erano il marchio di prodotti nel settore della cosmesi, nonché i diritti di proprietà intellettuale ad esso collegati (inclusi disegni e modelli). Parimenti a quanto analizzato nella precedente risposta 546/2020, la società cessionaria già deteneva i diritti di licenza sulle formule dei profumi realizzati, sul packaging, sul nome delle linee e sul materiale promozionale, oltre sull’utilizzo delle attrezzature di produzione. Attraverso l’acquisizione, l’istante voleva eliminare il rischio che la licenza non venisse rinnovata.
Sulla base del contratto di compravendita stipulato, l’Agenzia ha escluso il sussistere di un complesso di elementi idoneo alla prosecuzione di un’autonoma attività d’impresa. Secondo l’Ufficio l’operazione non configura quindi il trasferimento di un ramo d’azienda, bensì la cessione di singoli diritti di sfruttamento di un marchio e distintamente di diritti di proprietà intellettuale, con conseguente assoggettamento ad IVA quale prestazione di servizi e applicazione dell’imposta di registro in misura fissa.
Alla luce del mutato orientamento rispetto ai documenti pubblicati in passato, e visto che l’elemento differenziale era la mancanza di magazzino dei prodotti tra gli attivi inclusi nel perimetro dell’operazione, ci si interroga sulla rilevanza strategica dello stock come bene che, congiuntamente a marchi e diritti, permetta all’acquirente di proseguire autonomamente l’attività.
Certamente l’incertezza derivante dall’evoluzione della posizione dell’Agenzia conferma la necessità di ricorrere ad un approccio case-by-case, valutando accuratamente la sostanza dell’operazione. Invero, come attestato da acceso dibattito giurisprudenziale, la contestazione di tali tipologie di transazioni, con il conseguente recupero di maggiori imposte, oltre sanzioni ed interessi, è prassi frequente.
In particolare, attraverso l’ordinanza n. 10283/2022, la Corte di Cassazione si era pronunciata su una controversia che traeva origine dall’accertamento di maggior IVA dovuta in capo al contribuente, in ragione dell’errata qualificazione di un’operazione come trasferimento di immobili invece che come cessione di ramo d’azienda, da cui conseguiva il disconoscimento della detrazione dell’imposta assolta sul già menzionato acquisto del complesso immobiliare. Il rilievo dell’Ufficio era basato sull’argomentazione che il ramo d’azienda fosse stato “artificialmente scomposto” affinché il cessionario potesse beneficiare della detrazione IVA.
La vicenda si è conclusa con la decisione di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea una questione pregiudiziale riguardante l’interpretazione delle Direttive comunitarie. Secondo la Cassazione, la norma nazionale che impone di considerare solo gli elementi testuali degli atti soggetti ad imposta di registro ai fini della qualificazione delle operazioni, escludendo quelli extratestuali, confliggeva con le Direttive comunitarie che permettono di verificare anche ulteriori elementi oggettivi. Il Giudice comunitario ha tuttavia dichiarato l’irricevibilità del rinvio pregiudiziale.
Ciononostante, la successiva sentenza n. 12450/2024 afferente ad una controversia analoga si è conclusa a sfavore del contribuente con il recupero dell’IVA indebitamente detratta: la Cassazione ha statuito che fossero comunque irrilevanti i limiti posti dall’articolo 20 T.U.R., secondo cui si vanno verificati solo gli elementi desumibili dall’atto e non quelli extratestuali. Invero, tale norma, applicandosi esclusivamente all’imposta di registro, non incide sull’accertamento dell’IVA, che deve considerare tutte le circostanze del caso.
Preme evidenziare che la Suprema Corte ha soltanto recentemente mutato il proprio orientamento attraverso la sentenza n. 20879/2025. Nel pronunciarsi sulla lite sorta in seguito ad un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia per recuperare una maggiore imposta di registro su un’operazione riqualificata come cessione di ramo d’azienda, i giudici hanno accolto il ricorso delle società, annullando l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro. La decisione si basa sul tenore letterale dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 e pertanto sulla sola valutazione degli elementi testuali dell’atto presentato alla registrazione, il che esclude in radice la tesi dell’amministrazione basata sull’artificiale scomposizione dell’operazione.
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*Skevi Licollari, Partner, Dottore Commercialista Revisore Legale, Rödl & Partner