Penale

Negligenza informativa dell’imputato, non prova la volontà di sottrarsi alla conoscenza del processo

Il presupposto per procedere in assenza dell’imputato ritenendo che si sia sottratto volontariamente alla conoscenza della pendenza del processo non è integrato automaticamente dall’assenza di contatti col difensore che ha nominato

di Paola Rossi

La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 40489/2025 - ha accolto il ricorso dell’imputato che chiedeva la rescissione del giudicato in quanto la notifica dell’atto di citazione in giudizio era stata effettuata presso il difensore di fiducia nominato durante le indagini preliminari e indicato come domiciliatario, ma che precedentemente alla prima udienza aveva rinunciato al mandato sottolineando di non aver avuto mai più contatti con la persona assistita e di non conoscerne la dimora. Veniva nella stessa udienza nominato dal giudice procedente un difensore d’ufficio che ha rappresentato l’imputato nell’ulteriore corso del processo, sino alla pronuncia della sentenza di condanna divenuta irrevocabile.

La Cassazione boccia il ragionamento del giudice di merito che investito dell’istanza di rescissione del giudicato ha invece sostenuto che l’imputato si fosse volontariamente sottratto alla conoscenza del processo in quanto aveva mancato di informarsi presso il difensore e quindi di conoscere la pendenza del processo.

Il vulnus della decisione ora annullata sta proprio nel sillogismo tra colpevole inattività nell’informarsi sul procedimento e volontaria sottrazione alla conoscenza della pendenza del processo poiché quest’ultima costituisce proprio uno dei presupposti previsti dall’articolo 420 bis del Codice di procedura penale per procedere in assenza dell’imputato.

L’altro presupposto alternativo, al fine di dichiarare legittimamente l’assenza dell’imputato, è l’effettiva conoscenza della pendenza del processo e che l’assenza all’udienza sia dipesa da scelta volontaria e consapevole. Il giudice è tenuto ad accertare uno o l’altro presupposto in base alle concrete modalità della notificazione, degli atti compiuti dall’imputato prima dell’udienza, della nomina di un difensore di fiducia e di ogni altra circostanza rilevante.

Ebbene la circostanza che l’imputato abbia nominato un difensore di fiducia nel corso delle indagini preliminari e abbia eletto domicilio presso il suo studio non costituisce indice dell’effettiva conoscenza della pendenza del processo e della vocatio in iudicium notificata presso il domiciliatario, quando, come nella specie, il difensore abbia rinunciato al mandato a seguito della definitiva perdita di contatti con l’imputato.

Ma nel caso concreto dove lo stesso difensore rinunciatario aveva dichiarato di non aver mai più avuto contatti dopo la fase delle indagini preliminari in cui l’imputato lo aveva fiduciariamente incaricato non appare compiutamente dimostrato che questi avesse avuto conoscenza della vocatio in iudicium.

Il giudice però nell’affermare che si versasse in un’ipotesi di “volontaria sottrazione” alla conoscenza del processo si era ancorato al rilievo della mancanza di diligenza informativa a fronte della nomina di un difensore di fiducia e della elezione di domicilio presso di questi. Ma mancando ulteriore accertamento di fatto da parte del giudice sulla volontarietà dell’assenza risulta violato il principio per cui: “la manifesta mancanza di diligenza informativa da parte dell’imputato può costituire circostanza valutabile nel caso concreto, ma non può essere di per sé determinante per potere affermare, in modo automatico, la ricorrenza della volontaria sottrazione”.

Conclude perciò la sentenza precisando che: «se si esaspera il concetto di “mancata diligenza” sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza, si farebbe una mera operazione di cambio nome e si tornerebbe alle vecchie presunzioni, il che ovviamente è un’operazione non consentita»

Così la Cassazione sceglie di dare continuità all’orientamento maggioritario secondo cui la negligenza informativa dell’imputato - che non abbia mantenuto i contatti con il proprio difensore e si sia reso di fatto irreperibile - non costituisce di per sé prova della volontaria sottrazione alla conoscenza della pendenza del processo, valorizzabile ex articolo 420-bis, comma 3, del Codice di procedura penale.

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