No a notifica e prelazione imposte dall’Ungheria per esportare materiali da costruzioni
Si tratta di violazioni contro la libera circolazione delle merci all’interno della Ue e quando tali regole procedurali e i possibili sbarramenti all’operazione sono applicati a Paesi terzi ciò viola la politica commerciale comune
Libera circolazione delle merci: la procedura istituita dall’Ungheria per l’esportazione di materie prime e materiali da costruzione viola il diritto dell’Unione
Con la sentenza sulla causa C-499/23 la Cgue ha risolto il caso sollevato dalla Commissione europea contro l’Ungheria per le regole procedurali di esportazione che tale Stato membro ha adottato relativamente ai materiali da costruzione e materie prime. Affermando che viola il principio della libera circolazione delle merci la procedura istituita dall’Ungheria.
Il ricorso per inadempimento
Nel contesto della pandemia da Covid-19 e della penuria di materie prime a livello mondiale, l’Ungheria ha adottato una procedura che prevede un obbligo di notifica delle esportazioni di materiali da costruzione e la possibilità, per lo Stato ungherese, di esercitare un diritto di prelazione e di acquisto nei loro confronti.
La Commissione europea ha proposto un ricorso per inadempimento contro l’Ungheria dinanzi alla Corte di giustizia, sostenendo in particolare che la procedura di cui trattasi costituisce una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa e ingiustificata e che essa viola, per questo motivo, il principio della libera circolazione delle merci. Poiché le restrizioni si estendono alle esportazioni verso Paesi terzi, la Commissione fa valere che l’Ungheria ha inoltre violato la competenza esclusiva dell’Unione europea nel settore della politica commerciale comune.
La difesa ungherese
Tuttavia, l’Ungheria ritiene che la procedura di cui trattasi non costituisca una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa, poiché il suo effetto è troppo aleatorio o troppo indiretto. In ogni caso, essa sarebbe giustificata da motivi di pubblica sicurezza, in quanto il suo obiettivo principale è proteggere le infrastrutture critiche assicurando il loro approvvigionamento in materiali da costruzione.
La decisione
La Corte accoglie integralmente il ricorso della Commissione e constata l’inadempimento dell’Ungheria. Essa rileva che le misure controverse introducono un onere amministrativo aggiuntivo, prevedono una sanzione in caso di inosservanza dell’obbligo di notifica, causano un prolungamento dei termini per la consegna e, in caso di attuazione del diritto di prelazione e di acquisto riservato allo Stato ungherese, impediscono definitivamente la transazione di esportazione.
Pertanto, tali misure hanno per oggetto esplicito di limitare le esportazioni di materiali da costruzione e, in quanto tali, costituiscono misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’esportazione, vietate, di norma, dal principio della libera circolazione delle merci.
La Corte respinge gli argomenti dedotti dall’Ungheria al fine di giustificare le restrizioni in questione, con la motivazione che tale Stato membro non è riuscito a dimostrare che la penuria di materie prime e materiali da costruzione di cui trattasi costituisce una minaccia effettiva e sufficientemente grave per uno degli interessi fondamentali della collettività.
Per tale medesimo motivo, l’Ungheria non può neppure legittimamente invocare la pubblica sicurezza al fine di giustificare le restrizioni relative alle esportazioni verso paesi terzi. Pertanto, adottando tali misure, essa ha altresì violato la competenza esclusiva dell’Unione nel settore della politica commerciale comune.
Infine, la Corte constata che, con l’adozione delle misure prima della scadenza del periodo di sospensione di tre mesi e con l’assenza di notifica alla Commissione del progetto di normativa modificato, l’Ungheria non ha osservato la procedura d’informazione prevista nel settore delle regolamentazioni tecniche.







