Norme anticovid, non contrasta con la libertà di circolare il divieto di spostamento interregionale
La Cassazione nega il rinvio costituzionale della norma che durante la pandemia vietava a meno di motivi eccezionali il passaggio di persone tra diverse zone regionali perché era limitazione giustificata da motivi di salute pubblica
La Cassazione penale, alla luce della giurisprudenza costituzionale sulla legittimità della compressione del diritto costituzionale della libertà personale in casi di quarantena obbligatoria, ha escluso la violazione della libertà costituzionale di circolazione a fronte del divieto anticovid di spostamento interregionale imposto dal decreto legge 2/2021. Il no della Suprema Corte a operare il rinvio pregiudiziale costituzionale (e all’alternativa richiesta di disapplicazione della norma recepita nel relativo Dpcm e delle disposizioni ministeriali di dettaglio) si fonda proprio sulla giurisprudenza della Consulta che ha escluso l’illegittimità costituzionale che limitava la libertà personale con l’obbligo della permanenza in casa finalizzato a evitare il protrarsi del contagio della Sars.
In sintesi - con la sentenza n. 36912/2025 - la Cassazione ha ritenuto di non annullare la condanna del ricorrente per falso in atto pubblico per aver falsamente attestato la ricorrenza di una delle condizioni che facevano venir meno il divieto di spostamento. E men che mai ha ritenuto sussistente il rilievo di anticostituzionalità mosso dal ricorrente alla norma del noto Dpcm del 14 gennaio 2021.
Infatti, come spiega la Corte nel caso della libertà di circolazione non esiste la doppia riserva di legge e di giurisdizione (cioè previste da norme di legge e oggetto di esame da parte di un giudice) in quanto eventuali limitazioni disposte per motivi di sicurezza o di salute pubblica sono già ipotesi previste dalla stessa norma costituzionale recata con l’articolo 16 della Carta.
Sul punto la Corte fa rilevare che proprio la giurisprudenza costituzionale invocata dal ricorrente non ha ravvisato l’incidenza sulla libertà personale delle norme che imponevano la permanenza domiciliare. Infatti, il ricorrente insisteva per la violazione dell’articolo 13 della Costituzione da parte del divieto di spostamento e, solo in subordine, ne assumeva la rilevanza a fronte del disposto dell’articolo 16 che assicura la libertà delle persone di circolare.
Il ricorso
Il ricorrente, citando le pronunce della Corte Costituzionale nn. 198 e 37 del 2021 e 127 del 2022, si è dichiarato in disaccordo con le conclusioni di quest’ultima decisione che aveva respinto l’eccezione di incostituzionalità, anche per violazione dell’articolo 13 della Costituzione, delle disposizioni sulla quarantena obbligatoria. Il ricorso si sviluppa, poi, sostanzialmente su due fronti.
Il primo è quello di insistere sulla frizione tra Dpcm 14 gennaio 2021 e articolo 13 della Carta, denunciando la compressione della libertà personale causata dal provvedimento governativo, che non potrebbe mai essere giustificata invocando l’articolo 32 della stessa Costituzione, al fine di giustificare la «permanenza domiciliare». L’incidenza del divieto governativo sulla libertà personale – assume la parte – renderebbe necessario l’intervento del giudice penale e la procedimentalizzazione dell’inflizione del divieto.
L’altro fronte, sviluppato in via subordinata nel ricorso, è quello di denunziare la violazione dell’articolo 16 della Costituzione in quanto non sussisterebbero, in relazione alla pandemia da Covid-19, le ragioni attinenti alla salvaguardia della salute pubblica che potrebbero giustificare limitazioni alla circolazione, limitazioni comunque da considerarsi sproporzionate.
La risposta
In primis l’attacco alla disposizione del Dpcm in quanto non equiparabile a norma di legge non ne giustifica la disapplicazione visto che ha di fatto recepito un Dl poi trasposto in legge. E la norma di legge non può essere disapplicata dal giudice comune senza adire la Consulta.
In primo luogo, la disposizione censurata non confligge con l’articolo 13 della Costituzione, perché non limitava la libertà personale, ma incideva sulla sola libertà di circolazione, che è tutelata dall’articolo 16.
In questa direzione si è mossa la Corte costituzionale proprio in una delle sentenze che il ricorrente ha citato, la n. 127 del 2022, che ha escluso la frizione con la libertà fondamentale suddetta per una misura della disciplina emergenziale ben più incisiva sulla libertà personale rispetto al divieto di spostamento interregionale, ossia la quarantena obbligatoria.
Dice la Cassazione, se la Corte costituzionale ha escluso ogni possibile profilo di compromissione dell’obbligo di permanenza domiciliare rispetto alla tutela costituzionale della libertà personale, le riflessioni svolte dal Giudice delle leggi possono essere agevolmente trasposte al caso dello spostamento tra Regioni –misura certamente meno limitativa per il soggetto che vi era sottoposto rispetto alla quarantena obbligatoria − evincendone che si trattava di imposizione estranea allo “scudo protettivo” dell’articolo 13 e da classificare piuttosto come compressione della libertà di locomozione tutelata dall’articolo 16 della Carta.
Le conclusioni
Così ricollocata la questione, se ne ricava agevolmente che non vi è alcuna frizione tra il divieto di spostamento interregionale e la tutela della libertà di circolazione, perché l’articolo 16 non contempla la doppia riserva, di legge e di giurisdizione, ma prevede solo che la legge possa comprimere la libertà di circolazione «per motivi di sanità e sicurezza». Motivi certamente sussistenti nel caso del Covid 19.







