Patto di compensazione nel contratto di anticipazione bancaria e concordato preventivo
In mancanza di prove della sottoscrizione di una convenzione riguardante l'anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto, includente il cosiddetto patto di compensazione, appare coerente la decisione del Tribunale di Reggio Emilia di condannare l'istituto di credito convenuto al pagamento delle somme richieste dalla società attrice assoggettata a procedura concorsuale (Tribunale di Reggio Emilia, Civile, Sezione 2, Sentenza 20 gennaio 2021, n. 49)
LA VICENDA GIUDIZIARIA
Nel 2017, una società a responsabilità limitata, sottoposta dall'ottobre del 2013 a concordato preventivo, decideva di citare in giudizio la banca con la quale intratteneva rapporti di conto corrente, al fine di ottenere la restituzione delle somme di denaro che alcuni suoi clienti, successivamente all'assoggettamento alla procedura concorsuale, avevano versato sul suo conto e che l'Istituto di credito rifiutava di rendere, pretendendo di poterle compensare con il proprio credito, sorto in virtù di un contratto di sconto concluso in precedenza.
La convenuta veniva dichiarata contumace e terminata l'istruttoria veniva fissata l'udienza per le precisazioni delle conclusioni e discussione orale, ai sensi dell'articolo 281 sexies del codice di procedura civile, con la concessione di un termine per la presentazione di memorie scritte.All'esito dell'udienza tenutasi nel gennaio del 2021, dopo aver dato atto del contrasto giurisprudenziale sorto sul tema della compensazione delle anticipazioni su ricevute bancarie, a seguito della sottoposizione del correntista ad una procedura fallimentare, il giudice reggiano riconosceva che, sia aderendo alla tesi della non operatività della compensazione, sia a quella favorevole, la domanda attorea doveva comunque essere accolta.
Uniformandosi al proprio precedente orientamento (descritto nella citata sentenza 1714/2014), il Tribunale sottolineava la necessità di verificare la sussistenza di una convenzione scritta, avente data certa e stipulata prima della pubblicazione dell'istanza prenotativa ex articolo 161 comma VI della Legge Fallimentare, contenente una specifica clausola di compensazione, denominata anche patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto.
Pertanto, non essendo stata fornita alcuna prova dell'esistenza del patto di compensazione, nel caso di specie, con sentenza del 20 gennaio 2021 n. 49, il giudice di Reggio Emilia condannava la banca convenuta al pagamento delle somme richieste dalla società attrice, oltre interessi ex articolo 1284 del Codice Civile e al pagamento delle spese processuali in suo favore.
LE MOTIVAZIONI DEL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA: LA SENTENZA 49/2021
La recentissima decisione del giudice di Reggio Emilia consente di ragionare su alcune importanti tematiche civilistiche e fallimentari, in particolare sulla disciplina della compensazione e sulle differenze tra il contratto di sconto e l'anticipazione sulle ri.ba. regolata in conto corrente.Come è emerso le paragrafo precedente, la domanda principale alla quale il Tribunale reggiano è stato chiamato a rispondere è se sia possibile riconoscere in capo alla banca il diritto di compensare i propri debiti nei confronti dell'imprenditore fallito (o comunque assoggettato ad altra procedura concorsuale) con i propri crediti verso lo stesso.In linea generale, all'interno del Libro IV del Codice Civile, dedicato alla disciplina delle obbligazioni, si trova la Sezione III, intitolata "Della compensazione".
La norma di apertura, l'articolo 1241, afferma che quando due soggetti sono reciprocamente obbligati, l'uno verso l'altro, i relativi debiti si estinguono per le corrispondenti quantità.
La distinzione tra compensazione propria ed impropria è ben spiegata dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 6214/2004 , secondo la quale tale istituto presuppone l'autonomia dei rapporti giuridici dai quali sorgono i rispettivi crediti – e si parla, in questo caso, di compensazione propria –, tuttavia, può accadere che debiti e crediti nascano dal medesimo rapporto obbligatorio e si parla, in questa seconda ipotesi, di compensazione impropria.
Effetto primo della compensazione è quello dell'estinzione dei debiti dal giorno della loro coesistenza, come afferma testualmente l'articolo 1242 del Codice Civile.
Affinché sia possibile la compensazione, ai sensi dell'articolo 1243, è necessario che i debiti abbiano ad oggetto una somma di denaro o altra quantità di cose fungibili dello stesso genere e che siano ugualmente liquidi ed esigibili.
Il comma II della disposizione stabilisce che, qualora il debito non sia liquido, ma di facile e pronta liquidazione, la compensazione può essere disposta dal giudice.
È questa la differenza tra compensazione legale e compensazione giudiziale, anch'essa esplicata dalla Cassazione con la risalente pronuncia n. 1924/1975, la quale ha sottolineato che la diversità tra le due forme di compensazione "risiede nel fatto che mentre nella prima la liquidità del credito opposto in compensazione è anteriore al giudizio, nella seconda, invece, il credito non è liquido, ma viene liquidato dal giudice nel processo".
Fatte queste precisazioni di ordine generale, occorre tuttavia precisare che anche il Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267, meglio noto come Legge Fallimentare, prevede all'articolo 56 - applicabile anche al concordato preventivo, per espresso rinvio da parte del successivo articolo 169 - la "compensazione in sede di fallimento".
Ai sensi del comma I, "i creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento".Si tratta, come ha rimarcato la Cassazione con pronuncia n. 7961/1997, di una disciplina derogatoria rispetto a quella di cui all'articolo 1243 del Codice Civile, in quanto "consente l'operatività della compensazione nel fallimento anche quando il credito verso il fallito non sia scaduto prima della relativa dichiarazione", facendo comunque salve le limitazioni di carattere generale.
Detto brevemente questo, è bene ricordare anche la definizione del contratto di sconto, negozio giuridico che, nel caso di specie, banca e società avevano sottoscritto ed in base al quale la prima riteneva possibile applicare la compensazione tra gli importi anticipati e gli importi incassati dalla correntista.
Ai sensi dell'articolo 1858 del Codice Civile, lo sconto è il contratto in base al quale "la banca, previa deduzione dell'interesse anticipa al cliente l'importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, mediante la cessione, salvo buon fine, del credito stesso".
Come altri contratti di liquidità, anche tale tipologia risponde all'esigenza di un'immediata disponibilità di denaro contante, ma come giustamente osservato dalla corte di Cassazione, ad esempio con la decisione n. 10689/2000 , elementi essenziali dello sconto sono la prededuzione dell'interesse da parte della banca ed una convenzione di cessione del credito pro solvendo.
La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente concluso (si citano le sentenze n. 1041/1999, 13278/2000 ed anche 4085/2001) che "connotazione fondamentale del contratto di sconto è proprio il collegamento funzionale tra l'anticipazione della somma e la cessione pro solvendo del credito".
Detto con le parole della più recente sentenza di merito del Tribunale di Firenze n. 862/2014 , "l'anticipazione rappresenta il corrispettivo della cessione stessa".
Sulla base di queste nozioni, si può già intuire come la fattispecie concretamente sottoposta all'attenzione del giudice di Reggio Emilia, data da anticipazioni su ricevute bancarie regolate in conto corrente, non risponda alla disciplina del contratto di sconto.
Con sentenza del 26 febbraio 1999 n. 1671 , la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha espressamente affermato che "la ricevuta bancaria […] non può essere oggetto di un contratto di sconto, in quanto carente dei connotati indefettibili dei titoli di credito, individuabili nella letteralità, nell'incorporazione del diritto, nella destinazione alla circolazione".
Questi ultimi sono strumenti volti a favorire la circolazione del credito e non trovano una specifica definizione all'interno del Codice Civile. Dal tenore letterale dell'articolo 1992 si evince che i titoli di credito sono documenti che attribuiscono al soggetto che li possiede legittimamente il diritto ad una specifica prestazione.
Delle sopra menzionate tre caratteristiche, invece, risulta essere priva la ricevuta bancaria, la quale, secondo costante giurisprudenza di merito e di legittimità (si vedano, fra le tante, le sentenze citate poco sopra), "contiene dichiarazioni scritte, firmate e rilasciate dal creditore, con il quale questi attesta di aver ricevuto una somma di denaro versata a mezzo banca a saldo di una determinata fattura e costituisce lo strumento attraverso il quale la banca procede alla riscossione dell'importo ivi indicato, secondo le istruzioni impartite dal cliente".
La più volte menzionata pronuncia del Tribunale di Firenze n. 862/2014 evidenzia come la consegna di una ricevuta bancaria, pur condividendo con il contratto di sconto "una funzione di erogazione di credito mediante anticipazione in favore del cliente dell'importo del credito da questi vantato verso terzi", non implica alcuna cessione del credito e pertanto la titolarità del diritto permane in capo al creditore.
Evidenziate, dunque, le principali differenze tra i due istituti ed esposta a grandi linee la disciplina della compensazione, contemplata dal Codice Civile e dalla Legge Fallimentare, è bene prendere in esame le conclusioni riportate dal Tribunale di Reggio Emilia nella decisione n. 49/2021 , oggetto della presente analisi.
Si è visto nel paragrafo precedente che l'istituto di credito convenuto in giudizio aveva trattenuto le somme versate dai clienti di una società sua correntista e assoggettata a concordato preventivo ex articolo 161 comma VI della Legge Fallimentare dall'ottobre del 2013, ritenendo di poterle compensare con il proprio credito, originato da un precedente contratto di anticipazione su effetti commerciali.
Nella parte motiva della sentenza, il Tribunale ha fatto subito presente come la soluzione favorevole alla società attrice, la quale aveva chiesto la restituzione delle somme incassate successivamente il suo assoggettamento alla procedura concorsuale, sarebbe stata la stessa a prescindere dall'adesione all'orientamento contrario o favorevole all'applicabilità della disciplina della compensazione.
Il giudice ha infatti riconosciuto che nel primo caso non si sarebbe posto alcun problema di sorta.
A questo proposito, vale la pena citare la sentenza n. 1671/1999 della Corte di Cassazione , la quale pur aderendo alla tesi negativa ha spiegato che "a norma dell'art. 56 L. F. i creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento; è tuttavia necessario che i fatti costitutivi dei diversi crediti (la cui consistenza segna il momento di operatività della fattispecie estintiva ai sensi dell'art. 1242 c.c.) si collochino entrambi nella fase antecedente all'apertura del concorso, posto che, in vista della tutela della par condicio creditorum, il patrimonio vincolato al concorso resta insensibile ad ogni evento successivo incidente con effetto depauperatorio su di esso".
Più articolata la risposta offerta dal giudice reggiano, nell'ottica della tesi favorevole all'operatività della compensazione, sostenuta dalla giurisprudenza maggioritaria.
Richiamandosi ad una propria passata decisione, la n. 1714/2014, e ad altre della Corte di Cassazione, tra le quali le nn. 3336/2016 e 17999/2011, il Tribunale di Reggio Emilia ha concluso che "in tema di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente, se le relative operazioni sono compiute in epoca antecedente all'ammissione del correntista alla procedura di concordato preventivo, è necessario accertare – qualora il correntista successivamente ammesso al concordato preventivo agisca per la restituzione dell'importo incassato dalla banca – se la convenzione relativa all'anticipazione contenga una clausola attributiva del diritto di incamerare le somme riscosse in favore della banca (c.d. patto di compensazione o di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto): solo in tale ipotesi la banca ha diritto a compensare il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse, con il proprio credito verso lo stesso cliente conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente".
Posto che detta clausola deve essere contenuta in un contratto bancario, avente forma scritta ab substantiam, il giudice reggiano si è posto il problema della sua opponibilità nei confronti di terzi, giungendo alla conclusione che, secondo il combinato disposto di cui agli articoli 169 e 45 del R.D 267/1942, esso deve avere data certa, anteriore alla pubblicazione dell'istanza ex articolo 161 comma IV nel Registro delle Imprese.
L'articolo 45 della Legge Fallimentare, com'è noto, stabilisce che le formalità necessarie a rendere gli atti opponibili ai terzi, compiute dopo la dichiarazione di fallimento, non hanno effetto nei confronti dei creditori.Risulta evidente come tale norma avvalori la conclusione del Tribunale di Reggio Emilia, sopra riportata. Come ha giustamente osservato la Cassazione, nella pronuncia 3987/2003, tale norma traduce in sede fallimentare i principi generali contemplati dall'articolo 2915 del Codice Civile.
Dieci anni più tardi, con sentenza 19025/2013 , i giudici di legittimità hanno ancor meglio precisato che l'articolo 45 si propone di "assicurare la completa cristallizzazione del patrimonio del fallito, preservandolo da pretese di soggetti che vantino titoli formatisi dopo la sentenza dichiarativa di fallimento ed impedendo che altre siano fatte valere, nel concorso fallimentare, rispetto a quelle facendo parte del suddetto patrimonio alla data della medesima dichiarazione".
Alla luce di quanto sin qui esposto e soprattutto in mancanza di prove della sottoscrizione di una convenzione riguardante l'anticipazione su ri. ba. regolata in conto, includente il cosiddetto patto di compensazione, appare più che logico e coerente la decisione del Tribunale di Reggio Emilia di condannare l'istituto di credito convenuto al pagamento delle somme richieste dalla società attrice e alla rifusione in suo favore delle spese processuali.
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*A cura dell'Avv. Camilla Insardà, il contributo è tratto da IL MERITO, Numero 6 - 10 giugno 2021