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Prodotti alimentari, la stretta nazionale sulle origini va motivata

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Le leggi nazionali possono imporre indicazioni ulteriori, rispetto a quanto previsto dall'Unione europea, sull'origine (o la provenienza di un alimento) purché vi sia un nesso, oggettivamente comprovato, tra tale origine (o provenienza) ed alcune qualità del prodotto. Lo ha stabilito la Corte Ue, sentenza nella causa C-485/18, affrontando il ricorso di Lactalis, contro il Governo francese, per l'annullamento di un decreto che, tra l'altro, impone l'etichettatura dell'origine (francese, europea o extra-europea) del latte (anche del latte usato quale ingrediente negli alimenti preimballati).

Secondo la multinazionale, un simile decreto viola il regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (Regolamento (UE) n. 1169/2011). Interpellato sul punto, il Consiglio di Stato ha sottoposto la questione alla Cgue.

I giudici di Lussemburgo, in primis, ricordano che il regolamento n. 1169/2011 prevede, in maniera armonizzata, l'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienza degli alimenti diversi da talune categorie di carni, e quindi segnatamente del latte e del latte usato quale ingrediente, qualora una simile omissione potrebbe indurre in errore i consumatori.

Tuttavia, la Corte osserva che tale armonizzazione non osta a che gli Stati membri adottino disposizioni che prevedono ulteriori indicazioni obbligatorie d'origine o di provenienza, se queste ultime rispettano le condizioni elencate nel regolamento. E cioè : da un lato, le informazioni aggiuntive devono essere giustificate da motivi attinenti alla protezione della salute pubblica, dei consumatori, alla prevenzione di frodi, alla protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, o delle indicazioni di provenienza e denominazioni d'origine controllata, nonché alla repressione della concorrenza sleale. Dall'altro, la loro adozione è possibile solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità degli alimenti e la loro origine (o provenienza) sempreché la maggior parte dei consumatori attribuisca un valore significativo a tali informazioni.

In secondo luogo, la Corte precisa che tali requisiti devono essere esaminati in successione. Occorre quindi, in un primo tempo, verificare l'esistenza di un nesso comprovato tra talune qualità del prodotto alimentare e la sua origine o provenienza. Successivamente, si dovrà stabilire se la maggior parte dei consumatori attribuisca un valore significativo a tali informazioni. Di conseguenza, l'esistenza del nesso non può basarsi solo sugli elementi soggettivi, attinenti al valore dell'associazione che la maggior parte dei consumatori può stabilire tra talune qualità dell'alimento e la sua origine o provenienza.

In terzo e ultimo luogo, per quanto attiene alla nozione di «qualità» degli alimenti, la Corte osserva che tale nozione rinvia esclusivamente alle qualità che sono legate all'origine o alla provenienza di un dato alimento e che distinguono, di conseguenza, quest'ultimo dagli alimenti che hanno un'altra origine o un'altra provenienza.

E ciò, precisa la Corte, non avviene per la capacità di resistenza di un alimento quale il latte al trasporto e ai rischi di alterazione nel corso del tragitto, che non può quindi rilevare ai fini della valutazione dell'esistenza di un eventuale «nesso comprovato tra talune qualità dell'alimento e la sua origine o provenienza» né, di conseguenza, al fine di consentire l'imposizione di un'indicazione d'origine o di provenienza per quanto riguarda detto alimento.

Cgue - Sentenza nella causa C-485/18

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