Proroga Balneari: Assonat e Confindustria Nautica riammesse in giudizio
Le Sezioni Unite (ordinanza n. 786 depositata oggi), hanno accolto il ricorso degli enti di categoria disponendo un nuovo giudizio davanti ai giudici di Palazzo Spada
Il Consiglio di Stato non avrebbe dovuto estromettere Assonat e Confindustria Nautica - in quanto “enti esponenziali di interessi collettivi differenziati e qualificati” - dai giudizi che hanno portato alla definitiva bocciatura delle richieste di proroga delle concessioni balneari. Le Sezioni Unite (ordinanza n. 786 depositata oggi), accogliendo il ricorso degli enti di categoria, hanno disposto un nuovo giudizio davanti ai giudici di Palazzo Spada.
Una decisione in linea con quella del 23 novembre scorso in cui le S.U. (sentenza n. 32559/2023) avevano riammesso Sib-Confcommercio, Assonat e Regione Abruzzo in quanto “portatori di interessi economici e dei territori”.
La decisione contestata è quella con cui l’Adunanza plenaria (sentenza n. 18/2021) ha sancito lo stop definitivo alle proroghe perché contrarie alla normativa europea (cd. direttiva Bolkestein) fissando (in via eccezionale) come termine ultimo il 31 dicembre 2023. A questa decisione era seguita la sentenza n. 4072/2022 del Cds che, accogliendo l’appello del Comune di Lecce, aveva respinto l’originario ricorso del titolare di uno stabilimento balneare pugliese in località “Spiaggiabella” che aveva chiesto di beneficiare del regime di proroghe fino al 2033.
Nella sentenza impugnata, si legge nella decisione, è stata omessa qualsiasi valutazione degli statuti delle associazioni ricorrenti, i cui interventi sono stati globalmente dichiarati inammissibili, con conseguente loro estromissione dal giudizio, non già all’esito di una verifica negativa in concreto delle condizioni di ammissibilità dei loro interventi, ma come effetto di un aprioristico diniego di giustiziabilità dell’interesse collettivo proprio delle stesse associazioni ed enti.
Per il Collegio, dunque, non siamo davanti ad un mero ed incensurabile error in procedendo, ma ad un diniego o rifiuto di giurisdizione per avere la sentenza impugnata negato alle associazioni ricorrenti la legittimazione ad intervenire nel giudizio, sulla base non di specifici e concreti impedimenti processuali ma di valutazioni che, in definitiva, negano in astratto la titolarità in capo alle stesse associazioni di posizioni soggettive differenziate, qualificabili come interessi legittimi.
Mentre la giurisprudenza amministrativa ha da tempo delineato le coordinate della tutela giurisdizionale degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità di persone e categorie (anche professionali) affidata agli enti associativi esponenziali, iscritti in elenchi speciali previsti dalla legge o in possesso dei requisiti a tal fine individuati dalla giurisprudenza. È infatti costante l’orientamento, si legge nella decisione, che ammette la loro legittimazione attiva a intervenire nel processo amministrativo (anche in appello) alle condizioni che: a) la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati; b) l’interesse tutelato con l’intervento sia comune a tutti gli associati, che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all’associazione, che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio; restando preclusa ogni iniziativa giurisdizionale sorretta dal solo interesse astratto al corretto esercizio dei poteri amministrativi o per mere finalità di giustizia.
In sostanza, ribadiscono le S.U., siamo di fronte ad un diniego o rifiuto della tutela giurisdizionale sulla base di valutazioni che, negando in astratto la legittimazione delle associazioni ricorrenti a intervenire nel processo, senza esaminare i loro statuti o la presenza di eventuali controindicazioni specifiche, conducono a negare anche la giustiziabilità degli interessi collettivi (legittimi) da essi rappresentati, relegandoli in sostanza al rango di interessi di fatto. La decisione, di conseguenza, è affetta dal vizio di eccesso di potere sotto il profilo dell’arretramento della giurisdizione rispetto ad una materia devoluta alla cognizione giurisdizionale del giudice amministrativo.
La Cassazione, in accoglimento del primo motivo di Confindustria Nautica e Assonat (nel quale è ritenuto assorbito anche il secondo motivo del ricorso) ha così cassato la sentenza 4072/2022 (depositata il 23/05/2022) e l’ha rinviata al Consiglio di Stato.
Per il Presidente di Confindustria Nautica, Saverio Cecchi: “Si tratta di una seconda vittoria, ancora più rilevante di quella ottenuta dalle associazioni balneari del dicembre scorso, poiché in questo caso abbiamo impugnato la sentenza di merito che aveva dato applicazione ai criteri che fin da subito abbiamo ritenuto erronei e fuorvianti” . “L’ulteriore censura rispetto alle decisioni del Consiglio di Stato - conclude Cecchi - deve far riflettere la politica cui, in particolare per la nautica da diporto, chiediamo di riconoscere quanto stabilito dalla stessa Direttiva Bolkestein e cioè la non applicabilità alla portualità turistica”.