Civile

Proventi illeciti, per la ripresa a tassazione conta la data di “possesso” dei fondi

Lo ha chiarito la Cassazione, con l’ordinanza n. 307 depositata oggi, affermando un principio di diritto

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di Francesco Machina Grifeo

Ai fini fiscali, i redditi derivanti da attività illecita rientrano nel periodo d’imposta in cui divengono effettivamente disponibili. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 307 depositata oggi, con la quale ha respinto il ricorso del contribuente contro un avviso di accertamento per recupero a tassazione, ai fini Irpef, di proventi illeciti conseguiti attraverso reati di corruzione mentre era Direttore pro tempore di un Ufficio locale della Agenzia delle Entrate.

Gli introiti, percepiti nel 2006, erano stati riclassificati come “redditi diversi” ai fini IRPEF ed era scattato l’avviso. Il contribuente però lo aveva impugnato, sostenendo che i redditi avrebbero dovuto formare oggetto di accertamento in relazione all’anno 2005, e non al 2006.

La Commissione Tributaria Provinciale e successivamente la Regionale gli diedero ragione annullando l’avviso per tardività dell’accertamento (oltre i 4 anni). Proposto ricorso, la Cassazione diede ragione al Fisco rinviando la causa alla CTR del Veneto che, a sua volta, accolse l’appello delle Entrate, imputando correttamente i redditi al 2006.

A questo punto il funzionario ha proposto nuovamente ricorso alla Suprema corte. La Sezione tributaria dopo aver ricostruito il quadro normativo vigente al momento, ha ricordato che il termine “possesso“ utilizzato dall’art. 1 del TUIR, nel suo significato minimo comune, evoca la riferibilità a un soggetto di determinati redditi e la titolarità in capo a lui degli inerenti poteri di disposizione. E allora, in base a quanto accertato dalla CTR veneta, il possesso dei redditi recuperati a tassazione fu acquisito dal contribuente soltanto nel 2006. Nel corso di quell’anno infatti i proventi dell’attività illecita, consistita in una pluralità di episodi corruttivi, confluirono sui conti correnti bancari intestati a lui e alla moglie.

Il collegio regionale ha precisato che ai fini fiscali non rileva il momento di commissione dei singoli fatti di reato («momento corruttivo»), bensì quello in cui è avvenuta l’acquisizione dei redditi oggetto di ripresa. Ragion per cui, prosegue la decisione, la soluzione adottata dalla CTR “appare giuridicamente corretta”.

Del resto, secondo l’orientamento ormai costante nella giurisprudenza di legittimità, il delitto di corruzione costituisce fattispecie a “duplice schema“, che si perfeziona alternativamente con l’accettazione della promessa o con la dazione-ricezione dell’utilità, fermo restando che, nell’ipotesi in cui alla promessa faccia sèguito la dazione, il reato si consuma ove venga realizzata anche quest’ultima condotta, costituente un approfondimento dell’offesa tipica (ex multis, Cass. Pen. n. 15641/2023).

Nessun errore di diritto, dunque, è ravvisabile nell’iter motivazionale della sentenza impugnata che sulla scorta di un apprezzamento di merito, insindacabile in cassazione, ha individuato nel 2006 l’anno in cui i proventi di reato entrarono nella sfera di disponibilità del contribuente.

In definitiva, per la Cassazione va affermato il seguente principio di diritto: «In tema di ripresa a tassazione, ai fini dell’IRPEF, di redditi costituiti da proventi di attività illecita, per l’individuazione del periodo d’imposta al quale imputare tali redditi deve farsi riferimento al momento in cui viene acquisita la disponibilità dei detti proventi, coincidente con la realizzazione del presupposto impositivo fissato dall’art. 1 del D.P.R. n. 917 del 1986».

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