Quando l’avvocato può trattenere le somme del cliente: i chiarimenti del CNF
Il Consiglio Nazionale Forense precisa i casi in cui l’avvocato può trattenere somme ricevute da terzi per conto del cliente in deroga all’art. 31 del Codice deontologico
Con la sentenza n. 114/2025, pubblicata il 14 ottobre sul sito del Codice deontologico forense, il CNF ha chiarito in quali casi l’avvocato può trattenere somme ricevute da terzi per conto del cliente, in deroga alla regola generale dell’art. 31, comma 1, CDF, secondo cui il professionista deve “mettere immediatamente a disposizione della parte assistita le somme riscosse per conto della stessa”.
La vicenda
Il caso trae origine dal ricorso proposto da un legale avverso la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina del Veneto che gli aveva inflitto la sospensione di due mesi dall’esercizio dell’attività professionale per avere, tra l’altro, trattenuto somme versate dalla controparte, senza il consenso del cliente nel cui interesse erano state riscosse.
Il cliente presentava esposto, lamentando che il legale avesse trattenuto tali somme senza il suo consenso, nonostante avesse già ricevuto dal medesimo cliente numerosi acconti. Il CDD ravvisava le violazioni deontologiche e in particolare riteneva illegittimo il trattenimento in assenza di consenso delle somme, in presenza peraltro di acconti già corrisposti dal cliente.
L’avvocato, dal canto suo, sosteneva di aver agito nel rispetto della condizione di cui alla lett. b) dell’art. 31 del CDF, a mente del quale l’avvocato ha diritto di trattenere le somme da chiunque ricevute imputandole a titolo di compenso “quando si tratti di somme liquidate giudizialmente a titolo di compenso a carico della controparte e l’avvocato non le abbia già ricevute dal cliente o dalla parte assistita”.
Il principio del CNF
Il CNF ha colto l’occasione per ribadire che la disciplina dell’art. 31 CDF stabilisce un principio generale – l’obbligo dell’immediata restituzione delle somme riscosse per conto del cliente – al quale si può derogare solo nei casi tassativamente indicati. Ovvero: “a titolo di rimborso delle spese o delle anticipazioni sostenute, anche senza il consenso del cliente, a cui deve però dare avviso (art. 31 co. 2 cdf); a titolo di compenso professionale, con il consenso del cliente sul trattenimento (art. 31 co. 3 lett. a cdf) oppure sull’importo del compenso stesso (art. 31 co. 3 lett. c cdf), ovvero se si tratti di somme liquidate giudizialmente a titolo di compenso a carico della controparte e l’avvocato non le abbia già ricevute dal cliente o dalla parte assistita (art. 31 co. 3 lett. b cdf), con la precisazione che, se le abbia incassate solo in parte o comunque in misura inferiore a quella poi liquidata giudizialmente, egli può legittimamente trattenere la (sola) differenza”.
La decisione
Nel caso di specie, il CNF esamina la riconducibilità della condotta in esame alla previsione di cui alla lett. b) dell’art. 31 CDF che consente al difensore di trattenere, imputandole a compensi, le somme liquidate dal giudice e corrisposte dalla controparte soccombente ritenendola problematica. “Tale facoltà – rammenta il Consiglio - non è esperibile qualora l’avvocato abbia già ricevuto dal cliente le somme in discorso” e nella fattispecie, “si verifica che le somme liquidate dal Giudice, e corrisposte da controparte, sono significativamente maggiori di quelle indicate come compensi nel preventivo”. “Il punto, allora – prosegue il CNF - è quello di stabilire se all’avvocato sia fatto divieto di trattenere le somme corrisposte dalla controparte soccombente e liquidate dal Giudice quando il cliente gli abbia versato solo parte di tali importi o quando, ancora, il preventivo a suo tempo consegnato abbia indicato delle somme inferiori a quelle che il Giudice ha poi liquidato e la controparte corrisposto. In difetto di una espressa ed univoca previsione, la norma in discorso non può essere interpretata nel senso di inibire all’avvocato di trattenere quantomeno la differenza in positivo delle somme liquidate dal giudice e corrisposte dalla controparte soccombente perché, in tal caso, si perverrebbe all’assurdo di avvantaggiare il cliente, per certi aspetti sine titulo e comunque irragionevolmente, dell’importo ulteriore rispetto a quanto indicato nel preventivo. Trattasi di conseguenza paradossale perché la parte non può avvantaggiarsi di quanto la sua controparte abbia effettivamente corrisposto a titolo di spese legali liquidate dal giudice stante che si tratta di importi che rappresentano il compenso dell’attività di difesa e non possono spettare a soggetti diversi dal difensore”.
Da queste premesse, il CNF deduce “che la condotta dell’incolpato non è con certezza riconducibile alla previsione del comma 1 dell’art. 31 CDF essendo, almeno, dubbio che possa o meno farsi ricorso alla facoltà di trattenimento prevista dalla lettera b del comma 3 almeno per una parte (peraltro significativa) delle somme in contestazione”. Quindi pur ritenendo confermata l’affermazione di responsabilità disciplinare relativamente agli altri illeciti contestati, rimanendo dubbia la ricorrenza della causa di esclusione della responsabilità di cui alla lett. b dell’art. 31, il CNF decide di rivedere la sanzione, riconducendo la condotta nell’alveo della minore gravità, e rimodulandola nella censura, in luogo della sospensione.



