Reato vendere criptovalute senza “licenza”: sono “prodotti finanziari”
La Cassazione, sentenza n. 40072 depositata oggi, ha confermato la condanna di un cittadino cinese a quattro anni di reclusione per il reato di riciclaggio in continuazione con quello previsto dal Tuf all’art. 166, comma 1, lett. c)
La vendita di criptovalute è assimilabile all’offerta di un vero e proprio “prodotto finanziario”, ragion per cui può essere effettuata soltanto da soggetti abilitati secondo le prescrizioni del Testo unico della finanza: altrimenti scatta il reato di prestazione abusiva di servizi di investimento. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 40072 depositata oggi, confermando la condanna di un cittadino cinese a quattro anni e quattro mesi di reclusione (oltre 12mila euro di multa) per il reato di riciclaggio unificato dal vincolo della continuazione con quello previsto dal Tuf all’art. 166, comma 1, lett. c).
L’imputato si era difeso sostenendo di svolgere semplicemente un servizio di “compro/vendo USDT/criptovaluta in modo decentralizzato”, ossia in un’attività di cambio tra valuta avente corso legale (contanti) e valuta virtuale e viceversa. In alcun modo dunque assimilabile alla nozione di “prodotto finanziario” e di “strumento finanziario” contenuta nel TUF, la quale presuppone un’aspettativa di rendimento legata ad un impiego di capitale.
La II Sezione penale invece sottolinea che “la vendita di bitcoin veniva reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, tanto che si davano informazioni idonee a mettere i risparmiatori in grado di valutare se aderire o meno all’iniziativa, proponendosi l’imputato quale acquirente e gestore per conto di anonimi fornitori di portafogli di moneta virtuale”. Inoltre, vi erano le prove di un’attività di reinvestimento della provvista ricevuta da parte dell’imputato, a volte anche consistente in moneta virtuale. L’attività, dunque, era soggetta agli adempimenti dell’artt. 91 e seguenti TUF, la cui omissione integra un esercizio abusivo della professione.
Inoltre, la Corte di appello aveva correttamente contestato il reato di riciclaggio partendo da una serie di elementi indiziari: il contenuto delle intercettazioni; i consistenti flussi di contante; l’uso delle criptovalute come strumento di trasformazione e la consapevole accettazione del rischio sull’origine illecita delle somme (legate alla vendita di droga). Anche la misura elevata delle commissioni rappresentava una “chiara manifestazione della illecita provenienza del denaro investito”. Mentre la “qualità per lo più di cittadini extracomunitari, di nazionalità cinese, di coloro che effettuavano gli investimenti”, era indizio di sottrazione al pagamento di redditi conseguiti in Italia. Secondo la Cassazione, del resto, per la configurabilità del delitto di riciclaggio “è sufficiente che il reato presupposto, quale essenziale elemento costitutivo del riciclaggio, sia individuato quantomeno nella sua tipologia, senza che debba ritenersene necessaria la ricostruzione in tutti gli estremi storico-fattuali”.
Altro punto contestato è la confisca della criptovaluta per oltre mezzo milione di euro. Secondo il ricorrente i bitcoin non potevano essere qualificati come prodotto del reato, rappresentando piuttosto “il capitale affidato dai clienti per gli investimenti e non il vantaggio economico conseguito dall’imputato”. Per la Suprema corte se giustamente il giudice di secondo grado ha escluso che le cripto fossero il profitto del reato (consistente nell’aggio che il ricorrente traeva per sé dal compimento delle operazioni fraudolente); altrettanto “correttamente”, però, ha riconosciuto che la valuta virtuale rappresenta il “prodotto del reato, in quanto se il denaro contante conferito è l’oggetto materiale della condotta, la criptovaluta ne rappresenta il bene sostitutivo e, dunque, il risultato dell’operazioni di riciclaggio”. “La lecita vestizione delle somme provenienti dal delitto presupposto – prosegue - costituisce, infatti, il risultato empirico dell’attività delittuosa”. Proprio in forza di tale variegata condotta le risorse di provenienza delittuosa, assumono una diversa veste giuridica e naturalistica, in quanto dotate – a seguito dell’operata trasformazione – di una loro autonoma individualità sia per causa che per effetto.


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