Responsabilità medica per le morti da Covid solo se è «colpa grave»
Con l’introduzione, in sede di conversione in legge (76/2021), dell’articolo 3-bis del Dl 44/2021 si è ampliato l’ambito della causa di non punibilità, già prevista per i vaccinatori, a tutti gli esercenti professioni sanitarie
Con l’introduzione, in sede di conversione in legge (76/2021), dell’articolo 3-bis del Dl 44/2021 («Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da Covid-19, in materia di vaccinazioni anti Sars-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici») si è ampliato l’ambito della causa di non punibilità, già prevista per i vaccinatori, a tutti gli esercenti professioni sanitarie (con finalità preventiva, diagnostica, terapeutica, palliativa, riabilitativa o di medicina legale: articolo 5 L. 24/2017) i quali, per i fatti di omicidio e lesioni colpose commessi durante lo “stato” di emergenza epidemiologica sin dalla sua dichiarazione - delibera Cdm del 31 gennaio 2020 - e che trovano causa nella “situazione” di emergenza, sono punibili solo per colpa grave - da valutarsi tenendo conto, tra l’altro, della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da Sars-CoV-2 e sulle terapie appropriate, della scarsità delle risorse umane e materiali disponibili in relazione al numero dei casi da trattare (es. numero di posti letto in terapia intensiva, disponibilità di farmaci e tecnologie o di personale medico/infermieristico di turno), nonché del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per l’emergenza. La disposizione, retroattiva e ultrattiva in quanto di favore e temporanea, prevede una limitazione della rilevanza, per omicidio o lesioni colpose (escluse quelle dolose o i diversi reati di epidemia o di rifiuto di atti d’ufficio) della sola colpa grave, in qualsiasi forma essa si sia manifestata in relazione a condotte (così S.U. 40986/2018) tenute durante lo stato di emergenza (si pensi, ad esempio, alla scelta di chi curare prima o all’impiego di farmaci off label) e a eventi (morte o lesioni) connessi o meno a patologie covid che, ove anche realizzatisi a emergenza cessata, trovino in quella situazione la propria causa (foss’anche abbassamento dei livelli assistenziali in ragione del carattere prioritario, diffusivo e incontrollato della pandemia).
Il legislatore individua tre indici di gravità della colpa (limitazione delle conoscenze scientifiche, certezza e uniformità di giudizio, scarsità delle risorse umane e materiali e minor grado esperienza e del personale impiegato non specializzato) onerando il giudice di valutarli insieme , p.es., al numero di pazienti contemporaneamente coinvolti nelle cure, agli standard organizzativi della singola struttura in rapporto alla gestione dello specifico rischio clinico, volontarietà della prestazione, tempo a disposizione per assumere decisioni/agire, oscurità del quadro patologico, grado di atipicità, eccezionalità o novità della situazione) per garantire certezza e uniformità di giudizio. Si tratta di valutazioni di merito che, seppur non in grado di escludere sempre l’avvio di indagini preliminari (con notizia di reato a carico di ignoti o anche noti), specie in ragione del sotteso accertamento di un nesso eziologico con la situazione di emergenza (articoli 40 e 41 c.p.) possono evitare l’instaurazione quantomeno di processi (attraverso archiviazioni de plano o all’esito di contraddittorio ma comunque in tempi ragionevoli) ove non si riesca prima facie a muovere un rimprovero soggettivo qualificato al sanitario. C’è anzi da sperare che, al netto di eventuali maquillage, la disposizione assurga a modello di riferimento per una disciplina generalizzata della responsabilità penale del sanitario che, a prescindere dal nesso cronologico e causale con contesti emergenziali, superi l’attuale formulazione dell’art. 590-sexies c.p. (limitato alle ipotesi di imperizia e condizionata al rispetto di linee guida accreditate o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate alla specificità del caso concreto) non certo per garantire uno “scudo penale” ma per conferire piuttosto carattere di concretezza e vincolatività al principio generale già desumibile dall’art. 2236 c.c. (Sez. Un., 8770/2018) tuttora rimesso all’apprezzamento giurisprudenziale